Lavorare di domenica: esiste ancora uno sfavore legislativo?*

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Il rinnovato interesse in materia di chiusure domenicali, sfociato nelle recenti proposte di legge presentate dal Governo alla Camera, si traduce in un dibattito già ampiamente affrontato. Infatti la disciplina del riposo settimanale coincidente con il giorno della domenica non presenta, rispetto al quadro legale oggi vigente, specifici vincoli neppure a livello comunitario lasciando carta bianca ai Paesi membri nella scelta (o nella “non scelta”) sulla collocazione del riposo settimanale.

 

Le chiusure domenicali nel quadro normativo

 

La disciplina sulle chiusure domenicali è da sempre stata oggetto di un intenso dibattito. Infatti, nel corso degli anni, si è assistito ad un progressivo rimaneggiamento della materia che ha visto come protagonista una graduale, seppur lenta, liberalizzazione in favore della tutela e della promozione della concorrenza.

 

Già a partire dal ventennio passato, con l’art. 11, comma 5, del d.lgs. n. 114 del 1998 sulla riforma del settore del commercio, si concedeva al singolo comune la possibilità di individuare giorni e zone del territorio nei quali era possibile derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. Suddetti giorni potevano comprendere quelli del mese di dicembre, «nonché ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’anno»[1].

 

Successivamente con l’intervento sull’art. 3, comma 1, lettera d-bis, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, c.d. “Decreto Bersani Visco” (così come modificato dall’art. 35, comma 6, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011, n. 111)[2], si è proceduto, in via sperimentale, alla liberalizzazione degli orari per tutti quegli esercizi commerciali siti in località turistiche e città d’arte non più assoggettati «all’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio».

 

Tuttavia, il vero e proprio cambiamento, confluì nel c.d. decreto “Salva Italia”, varato dal Governo Monti (d. l. del 6 dicembre 2011, n. 201 in materia di “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”)[3], che implementò la definitiva liberalizzazione degli orari di apertura per gli esercizi commerciali nel giorno della domenica e nei festivi. Regime che si estese, quindi, a tutti gli esercizi senza differenziazioni di località turistiche o città d’arte.

 

Orbene, a distanza di circa 7 anni, ritorna in Parlamento il tema delle aperture (e chiusure) domenicali. In particolare, le proposte di legge dell’attuale Governo presentate in Commissione Attività Produttive e in corso di esame dal 6 settembre 2018, mirano proprio a modificare la disciplina delle liberalizzazioni disciplinate dalla manovra “Salva Italia”, procedendo ad una reintroduzione dell’obbligo delle chiusure domenicali e festive[4]. Bisogna tener presente che, tra le proposte di legge presentate, se ne raccolgono ben 5 e non tutte provenienti dai partiti di maggioranza, con differenze anche importanti tra l’una e l’altra proposta (proposta della Lega – A.C. 457 –; proposta del Movimento 5 Stelle – A.C. 526 –; proposta del Partito Democratico – A.C. 470 –; proposta della Regione Marche – A.C. 587 –; proposta di iniziativa popolare – A.C. 1 –).

 

Trattando brevemente le proposte di legge presentate dai partiti di maggioranza, si tenga presente che la proposta di legge A.C. 457 a prima firma Barbara Saltamartini[5], prevede la reintroduzione delle chiusure domenicali e festive di tutti gli esercizi commerciali. Disposizione tuttavia derogabile per le 4 domeniche di dicembre e per altri 4 ulteriori giorni a scelta tra le domeniche e le festività nel corso degli altri mesi dell’anno. In sostanza, il regime derogatorio ammonta a circa 8 giorni all’anno di aperture “extra”. Anche la proposta di legge A.C. 526, a prima firma Davide Crippa, prevede il ritorno all’obbligatorietà delle chiusure domenicali e dei festivi con alcune eccezioni. In particolare si prevede la redazione di un piano di turnazione, con la facoltà per alcuni esercizi commerciali appartenenti al medesimo settore merceologico, di restare aperti nelle domeniche e nei giorni festivi per un totale massimo di 12 giorni di apertura (pari circa al 25% delle attività appartenenti allo stesso settore merceologico). Da una prima lettura delle proposte, la ratio ricavabile è quella di voler stabilire un adeguato bilanciamento tra i diritti dei lavoratori e la tutela dei consumatori, o ancora mirare al riappropiamento di alcuni valori sociali storici come «quello di trascorrere le festività in famiglia o di impiegare il proprio tempo libero passeggiando all’aria aperta o nei piccoli centri».

 

Il riposo settimanale e il lavoro domenicale secondo la legge

 

Nell’analizzare le recenti proposte di legge in materia di chiusure domenicali e festive degli esercizi commerciali, non si possono certo trascurare le disposizioni che regolano il riposo settimanale di regola coincidente con la domenica. Infatti, se è pur vero che l’intervento del Governo mira a modificare la disciplina sulla liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura introdotta dalla legislatura Monti, l’intenso dibattito non fa che articolarsi sulla rilevanza del fenomeno del lavoro domenicale o festivo da un punto di vista sociale, culturale, ma soprattutto giuridico. Infatti, rientrano in gioco questioni già lungamente dibattute a carattere nazionale e sovranazionale quali la  proclamazione del diritto al riposo contro i diritti dei cittadini/consumatori a vedersi garantite determinate attività anche nella giornata della domenica; o ancora al diritto al riposo contro la libertà di iniziativa economica privata.[6]

 

A questo proposito, occorre precisare che il quadro normativo di riferimento è piuttosto complesso e di non immediata lettura, dal momento che cospicue sono state le occasioni in cui il legislatore europeo e nazionale si è occupato del riposo domenicale.

 

Innanzitutto, com’è noto, il diritto internazionale, con la Convenzione OIL n. 14 del 1921 sul riposo settimanale nel settore industriale[7], ha fornito delle indicazioni comuni per i Paesi membri. Infatti, l’art. 2 della Convenzione stabilisce che i lavoratori delle imprese industriali hanno il diritto di godere di un riposo di almeno 24 ore consecutive per ogni periodo di sette giorni di lavoro. Questo riposo sarà concesso contemporaneamente a tutto il personale di ogni stabilimento ed «esso coinciderà, per quanto possibile, con i giorni consacrati dalla tradizione o dagli usi del paese o della regione»[8]. Tuttavia, molti hanno sostenuto che, con il passare degli anni, la Convenzione OIL ha vissuto un progressivo declinare della sua influenza in favore dei legislatori nazionali[9].

 

Nonostante ciò, sul versante della legislazione nazionale, bisogna far menzione dell’art. 3 della legge del 22 febbraio 1934, n. 370, nato ancor prima della Costituzione e vertente sulla disciplina del riposo domenicale e settimanale. Infatti, tale norma racchiudeva un vero e proprio divieto esplicito di lavoro domenicale. Divieto che la stessa Corte Costituzionale, successivamente e in più battute, dichiarò costituzionalmente illegittimo nella parte in cui obbligava i lavoratori della stampa  al riposo domenicale. [10]

 

Di intento diverso, la Carta Costituzionale, che, al suo art. 36, comma 3, stabilisce il diritto irrinunciabile del lavoratore a fruire di un riposo settimanale e ferie annuali retribuite, senza però una precisa collocazione del riposo settimanale nel giorno della domenica[11]. La scelta laica di non indicare la domenica come giorno in cui usufruire del riposo settimanale fu, ai tempi dell’Assemblea costituente, una scelta ponderata e razionalizzata, al fine di evitare la costituzionalizzazione della «scelta della domenica e delle altre feste religiose come giorno di riposo generalizzato»[12]. Secondo una parte della dottrina, la norma costituzionale, pare, in un certo senso, essersi ispirata alla ratio dell’art. 2109 c.c., che stabilendo al comma 1 il diritto in capo al lavoratore di godere di un giorno di riposo ogni settimana, enuncia tuttavia la tendenziale coincidenza di tale giorno con la domenica[13].

 

Successivamente, il legislatore italiano (con effetto abrogativo della legge n. 370 del 1934)[14], proseguì ad una rivisitazione della materia mediante l’attuazione delle direttive europee «concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro». Di tal guisa, l’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 66/2003, rubricato «Riposi settimanali» statuisce che «il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero». Il legislatore del 2003, quindi, cercò di mantenere in vita il bilanciamento tra la disciplina nazionale previgente (che imponeva l’obbligo di riposo domenicale) e i principi comunitari (che invece miravano alla tutela e alla salute dei lavoratori)[15]. A dispetto di ciò, nel 2008, con l’art. 41 della legge n. 133/2008 (Modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro) vennero apportate importanti modifiche alla disciplina del riposo settimanale. Infatti, il nuovo art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 66/2003 vide l’aggiunta delle seguenti parole: «il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni». Questa modifica consentì l’organizzazione dell’orario di lavoro con prestazioni lavorative anche per più di 6 giorni consecutivi purché nei 14 giorni di calendario siano presenti almeno 2 periodi di riposo di 24 ore consecutive. Va da sé come l’introduzione di questa novità creò non pochi dubbi interpretativi circa la regola della domenica come giorno di riposo settimanale. Inoltre, la legge del 2008, intervenne anche sulla disciplina delle deroghe previste all’art. 9 del d.lgs. n. 66/2003[16], nonché sull’apparato sanzionatorio contenuto nell’art. 18-bis in ipotesi di violazione della disciplina sul riposo settimanale. Nella stessa direzione, il comma 2, lett. d), dell’art. 9 che pone un importante potere derogatorio in capo alle parti sociali[17], consentendo ai contratti collettivi di stabilire previsioni diverse, pur sempre nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 17, comma 4[18].

 

Tale dettato normativo ben si armonizza con la direttiva europea di attuazione della disciplina sull’orario di lavoro (Direttiva 2000/34/CE). Infatti, essa, procedendo all’abrogazione dell’art. 5, della precedente direttiva (Direttiva 93/104/CE), che indicava il periodo di riposo come coincidente, in linea di principio, con la domenica, riconosce la possibilità dello spostamento del riposo domenicale con un altro giorno della settimana. Questo inquadramento trova la sua origine in una famosa sentenza emanata dalla Corte di Giustizia secondo la quale la disciplina del riposo settimanale, volta alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, non giustifica la preferenza della coincidenza del riposo settimanale con la domenica rispetto ad un altro giorno della settimana[19].

 

Tirando le fila del discorso, si può affermare come, in linea generale, l’Unione Europea seppur riconosce il valore sociale della domenica, non ne prevede l’obbligatorietà[20] lasciando carta bianca ai Paesi membri nella scelta (o nella “non scelta”) sulla collocazione del riposo settimanale.[21]

 

Conclusioni

 

Alla luce di quanto esposto, dunque, tanto sul piano nazionale quanto su quello sovranazionale, può ritenersi che la coincidenza tendenziale del riposo settimanale con il giorno della domenica sia una logica ormai superata e pertanto disapplicata.

 

Infatti, tanto sotto il piano delle chiusure domenicali (attinenti alla disciplina della concorrenza dei mercati), tanto sotto l’aspetto del riposo settimanale coincidente o meno con la domenica (attinente alla disciplina sull’orario di lavoro) si assiste ad una lenta, ma continua erosione del fenomeno.

 

In tal senso, sarebbe auspicabile, ancor prima di elencare “pro” e “contro” delle attuali proposte di legge, incentivare una riflessione di più ampio raggio basata su analisi concrete: a carattere sociologico, economico e giuridico. Solo così, probabilmente, si potrà iniziare a comprendere, almeno in parte, un fenomeno tanto complesso quanto di ampia portata come quello delle chiusure domenicali vs del riposo settimanale.  Pertanto, partire da una chiara idea di lavoro, alla luce delle grandi trasformazioni del lavoro in atto, può meglio chiarire se ancora oggi si è relegati o meno nel vecchio e dibattuto problema della “crisi della domenica come referente sociologico privilegiato per la fruizione del tempo libero qualificato[22]”.

 

Idapaola Moscaritolo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@idapaola

 

[1] Art. 11. Comma 5, del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114 “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59“.

[2]Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché’ interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale” Testo coordinato con la legge di conversione (4 agosto 2006, n. 248).

[3] Convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[4]Modifiche all’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali” (457)

[5] Il testo integrale della proposta di legge consultabile su www.camera.it

[6] V. in tal senso G. Ricci, Il diritto alla limitazione dell’orario di lavoro, ai riposi e alle ferie nella dimensione costituzionale integrata (fra Costituzione italiana e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT – 79/2010, p. 27.

[7]  Si v. inoltre l’art. 6 della Convenzione OIL n. 106/1957 per il settore del Commercio.

[8] Art. 2, comma 3, Convenzione OIL n. 14/1921

[9] In tal senso si v. la posizione di G. Ricci, Tempi di lavoro e tempi sociali, Giuffrè, 2005, p. 80.

[10] Corte Cost. 15 giugno 1972, n. 105, in G. Cost., 1972 pp.1196. Inoltre cfr. Corte Cost. 15 dicembre 1967, n. 150, in Mass. giur. lav., 1967, p. 343; Corte Cost. 30 giugno 1971, n. 146 in Mass. giur. lav., 1971, 23.

[11] Per un approfondimento sulla disciplina dell’orario di lavoro nella Costituzione v. V. Leccese, L’ orario di lavoro. Tutela costituzionale della persona, durata della prestazione e rapporto tra le fonti, Bari, Cacucci, 2001.

[12] P. Ichino, Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, t. I, Giuffrè, Milano, 1984, 182, nota 103; v. anche De Luca Tamajo, Il tempo nel rapporto di lavoro, in Giorn. dir. lav., rel. ind., 1986, 450.

[13] V. in tan senso V. Ferrante, Orario e tempi di lavoro. Durata della prestazione, lavoro a tempo parziale, contratti di solidarietà, Roma, 2014, p. 71.

[14] G. Ricci, Tempi di lavoro e tempi sociali, op. cit., p. 357

[15] V. in tal senso A. Fenoglio, L’orario di lavoro tra legge e autonomia privata, Torino, 2012, p. 64 e ss.

[16] Per un approfondimento sulla disciplina delle deroghe v. V. Leccese, L’orario di lavoro nel d.lgs. n. 66/2003 tra problemi di costituzionalità e disciplina europea, relazione all’incontro di studio organizzato dal CSM su Il lavoro e la flexicurity (Roma 17-19 gennaio 2011).

[17] Per un approfondimento sui limiti apposti all’esercizio del potere organizzativo del datore sul tempo in favore della contrattazione collettiva v. A. Allamprese, Organizzazione dei tempi di lavoro e contrattazione collettiva. I contratti collettivi nazionali di categoria, in B. Veneziani, V. Bavaro, (a cura di), Le dimensioni giuridiche dei tempi di lavoro, Bari, Cacucci, p. 139 e ss.

[18] In questa cornice, bisogna tener presente la Circolare del Ministero n. 8/2005 che fornì ulteriori chiarimenti sull’orario domenicale ossia che la coincidenza del riposo con la domenica era una coincidenza a carattere puramente tendenziale. Va evidenziato che sulla materia sono intervenuti anche gli interpelli: n. 60 del 2009 e n. 26 del 2011 entrambi orientati nella stessa direzione, e cioè nell’affermare che il riposo domenicale non debba essere obbligatoriamente goduto di domenica.

[19] Causa C- 84/94, Regno Unito c. Consiglio, in Racc. p. I-5755, punto 37 della motivazione.

[20] Sul punto vedi A. Fenoglio, op. cit., p.159.

[21] V. Bavaro pone importanti riflessioni sul valore giuridico del tempo-lavoro produttivo utili per ulteriori spunti di connessione con la tematica. L’autore sostiene che esistono due profili che rappresentano il valore del tempo-lavoro produttivo: “uno relativo all’organizzazione del lavoro e l’altro allo scambio economico-contrattuale del rapporto sinallagmatico”. V. in tal senso V. Bavaro, Un itinerario giuridico sui tempi di lavoro, in RGL, I, p. 213 e ss.

[22] G. Ricci, Tempi di lavoro e tempi sociali, op cit., p. 372.

 

*pubblicato anche su Il Sole 24 Ore – Guida al Lavoro n. 43 del 2 novembre 2018

 

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