L’autonomia del rapporto previdenziale (anche) nell’appalto illecito

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Bollettino ADAPT 9 ottobre 2023, n. 34
 
Nel cassare – con rinvio ad altro Collegio per la decisione – la sentenza della Corte di Appello di Perugia, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2655 dello scorso 14 settembre 2023, ha affrontato nuovamente il tema relativo alla legittimazione processuale degli Enti previdenziali a far accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro di fatto tra un lavoratore, occupato in esecuzione di un appalto di cui viene eccepita l’illiceità, e l’utilizzatore beneficiario della sua prestazione.
 
Infatti, a seguito di un accertamento ispettivo riguardante il biennio 2003-2004 e contestante la non conformità al diritto positivo del contratto di appalto in essere tra un appaltatore ed un committente, l’INPS di Terni aveva richiesto il pagamento dei contributi riferiti ai lavoratori interessati dal fenomeno interpositorio non consentito.
 
Persa in primo grado l’opposizione alle cartelle esattoriali emesse per i contributi non pagati, il committente si era rivolto alla Corte d’Appello di Perugia, per ottenere la vittoriosa riforma della decisione resa dal Tribunale di Terni a fronte di quanto disposto dall’art. 29, comma 3-bis del d.lgs. n. 276/2003, per il quale il solo lavoratore coinvolto nell’appalto illecito è legittimato a chiedere l’instaurazione del rapporto di lavoro con il committente.
 
Gli argomenti utilizzati dal Collegio del gravame per accogliere il ricorso presentato dal committente riposavano, in buona sostanza, su un dato letterale ed uno di natura sistematica: in relazione al primo, rilevando come la formulazione del predetto art. 29 non annoverasse gli Enti previdenziali tra i legittimati attivi all’istanza di riconoscimento del rapporto di lavoro di fatto intercorso tra lavoratore occupato in un appalto ed il suo utilizzatore; per quanto riguarda il profilo sistematico, sottolineando la natura di annullabilità dell’azione riconosciuta al solo lavoratore, a differenza del precedente regime regolatorio di cui all’art. 1 della legge n. 1369/1960, per il quale chiunque poteva eccepire la nullità del rapporto di lavoro tra lo pseudo appaltatore ed il proprio dipendente.
 
Nel motivare il proprio ricorso in Cassazione, l’INPS aveva contestato la decisione della Corte di Appello nella parte in cui aveva disatteso gli artt. 27 e 29, commi 1, 2 e 3-bis del d.lgs. n. 276/2003, rilevando, da un lato, l’autonomia del rapporto previdenziale rispetto alle determinazioni del singolo lavoratore, e, dall’altro, la non preclusività legislativa dell’azione previdenziale, stante l’indisponibilità del diritto contributivo.
 
In accoglimento del ricorso presentato dall’INPS, la Suprema Corte ha ribadito il proprio orientamento (cfr. sentenze del 15 maggio 2019, n. 13013 e del 28 novembre 2019, n. 31144), per il quale l’omesso versamento dei contributi costituisce una questione pregiudiziale su cui il giudice può decidere incidenter tantum, aderendo altresì alle ragioni del ricorrente in relazione tanto all’indisponibilità del diritto previdenziale quanto all’autonomia di questo rispetto al rapporto di lavoro, derivandone l’irrilevanza e l’indifferenza delle determinazioni ed eventuali azioni del lavoratore in relazione alla sua richiesta di instaurare il rapporto di lavoro con il committente.
 
Ciò in quanto, a mente dell’ordinanza in commento, mentre la fattispecie di annullabilità del fittizio rapporto di lavoro, delineata dall’articolo 29, comma 3-bis del d.lgs. n. 276/2003, non è ostativa all’esercizio dell’azione di nullità del rapporto previdenziale, la causa petendi dell’azione previdenziale di accertamento dell’effettivo rapporto di lavoro intercorso tra le parti, con conseguente versamento dei contributi, trova nell’art. 2094 c.c. il suo punto di partenza, non già nel citato art. 29, di chiara impostazione processuale e non dispositiva.
 
In altri termini, la parte del d.lgs. n. 276/2003 rivolta agli esiti dei fenomeni interpositori non va intesa in senso precettivo, essendo semmai volta solo ad indicare percorsi processuali – legittimando il singolo lavoratore ad agire, per esempio – posto che il corretto richiamo normativo della relazione esistente tra lavoratore e colui che ne beneficia delle prestazioni rese, anche in un appalto illecito, resta l’art. 2094 c.c., come da sempre insegnato dalla dottrina (per tutti, O. Mazzotta, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Milano, 1979).
 
Autonomia del rapporto previdenziale ed indisponibilità dei diritti di cui sono titolari gli Enti previdenziali costituiscono il duplice fondamento giuridico cui è approdata la Corte di Cassazione per svincolare le sorti del rapporto di natura previdenziale dall’omologo di tipo lavorativo, sulla stregua di vistose differenze esistenti sia per quanto riguarda i soggetti creditori dell’obbligazione datoriale – nell’un caso il lavoratore, nell’altro l’Ente contributivo – sia gli interessi sottesi – quello privatistico ad esser riconosciuto dipendente del committente, a fronte dell’omologo pubblicistico al pagamento dei contributi ed, in generale, al sostegno del sistema pensionistico nazionale.
 
L’esposto orientamento giurisprudenziale si è espresso non solo nelle fattispecie interpositorie illecite – trovando adesione anche nella prassi amministrativa (cfr. circolare INL 10/2018), per quanto al prezzo di innegabili forzature del principio cardine sull’unicità della figura datoriale nel nostro ordinamento, sancito proprio dalle SS.UU. della Cassazione con la nota decisione del 26/10/2006, n. 22910 (in tema, cfr. CARINCI M. T., L’unicità del datore di lavoro – quale parte del contratto di lavoro creditore della prestazione e titolare di tutte le posizioni di diritto, potere, obbligo ad esso connesso – è regola generale nell’ordinamento giuslavoristico, in ADL, 2007, 4-5, 1019 ss.) – ma anche in diversi ambiti, quale, nel caso di appalto lecito, in relazione al termine di prescrizione quinquennale dell’obbligazione contributiva solidale che decorre dalla cessazione dell’appalto, proprio in ragione dell’autonomia della prestazione previdenziale, e della relativa obbligazione, rispetto a quella retributiva, come deciso, tra le altre, dalla Suprema Corte con l’arresto del 4 luglio 2019, n. 18004, laddove per l’obbligazione solidale retributiva il termine di decadenza resta, appunto, biennale.
 
Alla luce di quanto fin qui riportato e considerando un’analisi prospettica più ampia rispetto alla decisione in commento, può essere interessante notare come la tesi dell’autonomia previdenziale rispetto ad altri profili e/o obblighi lavoristici risulti funzionale a comprensibili ed imperative esigenze di bilancio pubblico, volte ad assicurare, quando non addirittura favorire, l’esazione ed il recupero dei contributi, fondamentali per soddisfare i molteplici bisogni ed interessi di cui pullulano le odierne società complesse.
 
Giovanna Carosielli 

Funzionario ispettivo ITL Bologna*
@GiovCarosielli
 
*Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.

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