La quarantena per positività al Covid-19 rientra nel computo del periodo di comporto?

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 14 febbraio 2022, n. 6
 
Lo scorso 5 gennaio, il Tribunale di Asti ha accolto il ricorso con cui una dipendente impugnava il licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogato dal suo datore di lavoro, azienda operante nel settore Terziario. Nella fattispecie in esame, la lavoratrice licenziata, dopo essere stata a contatto con una collega risultata positiva al COVID-19, veniva in un primo momento sottoposta a quarantena, e successivamente – dopo aver effettuato un tampone risultato positivo – veniva assoggettata ad isolamento fiduciario dal SISP (Servizio Igiene e Sanità Pubblica).
 
Stante lo scenario sopra esposto, l’azienda comminava il licenziamento imputando alla dipendente il superamento del periodo di comporto, stabilito in 180 giorni dall’art. 186 CCNL Terziario, contratto collettivo applicato dal datore di lavoro, il quale imputava alla ricorrente di aver usufruito di un periodo di malattia parti a 183 giorni nell’anno solare e di aver dunque oltrepassato il periodo di conservazione del posto di lavoro, come previsto dall’art. 2110 cod. civ. La ricorrente adiva l’Autorità Giudiziaria per contestare la legittimità del licenziamento, adducendo due assunti a fondamento del ricorso:
 
1) in primis, dal numero totale dei giorni di malattia dovevano essere decurtati quelli intercorsi tra il 25 novembre 2020 ed il 4 dicembre 2020, dovendo tale lasso di tempo essere considerato come infortunio sul lavoro;
2) in secundis, lo stesso periodo era da inquadrare nella fattispecie individuata dall’art. 26, comma 1 del decreto-legge n. 18/2020, essendo stata la ricorrente “in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva”.
 
La Società si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso proposto dalla lavoratrice e deducendo la legittimità del licenziamento. In particolare, il datore di lavoro ha contestato sia il fatto che il contagio della ricorrente sia avvenuto in luogo di lavoro – atteso il rispetto da parte del datore di tutte le misure preventive – sia l’applicabilità dell’art. 26, comma 1 del Decreto Cura Italia, affermando che tale norma dovesse applicarsi esclusivamente ai periodi di quarantena e di permanenza domiciliare fiduciaria e non ai casi in cui il lavoratore avesse contrato il virus.
 
Alla luce delle argomentazioni proposte, il Tribunale di Asti ha preliminarmente rilevato che la norma richiamata dalla ricorrente (l’art. 26) rientrasse all’interno di una serie di misure finalizzate al contenimento della diffusione del COVID-19, emanate dal legislatore durante il perdurare della pandemia. Il Giudice ha anche sottolineato come l’articolo sopra richiamato mirasse in particolare a tutelare “quei lavoratori che sono costretti a rimanere assenti dal lavoro in quanto attinti dalle misure di quarantena e di isolamento fiduciario prevedendo, da un lato, l’equiparazione di detta assenza alla malattia e, dall’altro, escludendone la computabilità̀ ai fini del periodo di comporto”.
 
Il Giudice ha così spiegato che la ratio sottostante alla norma esaminata fosse proprio quella di “non far ricadere sul lavoratore le conseguenze dell’assenza dal lavoro che sia riconducibile causalmente alle misure di prevenzione e di contenimento previste dal legislatore e assunte con provvedimento dalle autorità̀ al fine di limitare la diffusione del virus Covid-19, in tutte le ipotesi di possibile o acclarato contagio dal virus e a prescindere dallo stato di malattia, che può coesistere o meno con il contagio (caso dei positivi asintomatici)”. Da ultimo, il Tribunale sancisce che “ciò che contraddistingue la malattia da Covid-19 dalle altre malattie è l’impossibilità, imposta autoritativamente, per il lavoratore di rendere la prestazione lavorativa e per il datore di lavoro di riceverla per i tempi normativamente e amministrativamente previsti, tempi che – ancora una volta – prescindono dall’evoluzione della malattia ma dipendono dalla mera positività o meno al virus.
 
Dunque, su tali considerazioni, il Tribunale ha così dichiarato la nullità del licenziamento, disponendo la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro ed il pagamento – a suo favore – di un’indennità a titolo di risarcimento, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, in ogni caso non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
 
La pronuncia del Tribunale di Asti rappresenta una delle prime declaratorie giurisprudenziali sul tema ed è marcatamente innovativa nel punto in cui dichiara la non computabilità delle assenze causate dall’aver contratto il COVID-19. Proprio in virtù di ciò, lo stesso Tribunale ha dichiarato la compensazione delle spese di lite, stante “l’assoluta novità delle questioni trattate e la mancanza di precedenti”.
 
In conclusione, pare opportuno sottolineare come il c.d. Decreto Fiscale, collegato alla Legge di Bilancio 2022, abbia parzialmente modificato la norma richiamata dalla ordinanza qui brevemente commentata, prevedendo che a decorrere dal 1° gennaio 2022 il periodo di quarantena non venga più equiparato alla malattia e, di conseguenza, non venga più remunerato dall’INPS.
 
Riccardo Quacherini

ADAPT Junior Fellow

La quarantena per positività al Covid-19 rientra nel computo del periodo di comporto?
Tagged on: