La CGUE sul caso Ryanair tra pessimismo della ragione ed ottimismo della volontà

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 6 giugno 2022, n. 22
 
Di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa sulla legge previdenziale applicabile ai dipendenti di Ryanair occupati stabilmente presso l’aeroporto di Bergamo (C. giust. 19 maggio 2022, causa C-33/21, Ryanair).
 
La vicenda ha tratto origine da due ordinanze di rimessione della Corte di Cassazione, la quale, richiesta di pronunciarsi su quale legge previdenziale fosse invocabile – la italiana ovvero l’irlandese – per i dipendenti basati presso l’aeroporto di Orio al Serio a Bergamo e sprovvisti del certificato E101, ha interrogato il Collegio di Lussemburgo in ordine all’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), punto ii), regolamento 1408/71, riferito alla «persona occupata prevalentemente nel territorio dello Stato in cui risiede», alla luce dell’interpretazione estensiva fornita dalla giurisprudenza continentale dell’articolo 19, punto 2, lettera a), regolamento 44/2001, relativo al luogo di abituale svolgimento della parte essenziale della prestazione lavorativa.
 
Nel merito, a seguito di accertamenti ispettivi condotti dall’Inps e dall’Inail di Bergamo, era stato contestato il mancato versamento dei contributi previdenziali nel periodo dal giugno 2006 al febbraio 2010 e degli oneri assicurativi, per il rischio non aereo, dal gennaio 2008 al gennaio 2013 per i dipendenti Ryanair. Questi ultimi, infatti, per quanto assunti in forza di un contratto di lavoro irlandese e diretti da istruzioni provenienti dall’Irlanda, erano occupati presso tale aeroporto, nel quale vi restavano ogni giorno almeno 45 minuti presso un locale (crew room) in cui gestivano ed organizzavano il turno lavorativo, effettuando le attività precedenti e successive al medesimo, conservavano gli incassi ed i documenti relativi al volo ed al personale, comunicavano con la sede legale irlandese.
 
La compagnia aerea eccepiva l’applicazione della legge straniera e, seppur tardivamente, esibiva i certificati E101 – attuali A1 –, ovverosia l’attestazione, rilasciata dall’Ente previdenziale irlandese, che la legge previdenziale applicabile a detti lavoratori fosse l’irlandese, appunto. Tuttavia, posto che non per tutti i 219 dipendenti occupati a Bergamo erano stati esibiti i certificati E101, occorreva individuare la legge previdenziale ai lavoratori non coperti da detti certificati. Nei precedenti due gradi di giudizio le contestazioni degli enti previdenziali ed assicurativo erano state respinte, sull’assunto per cui, fino alla vigenza del regolamento 1408/71, l’aeroporto di Bergamo non costituisse una succursale laddove per il periodo successivo, disciplinato dai regolamenti 883/2004 e 987/2009 sulle modalità applicative del medesimo, mancassero elementi fattuali per invocarne l’applicazione, così come il criterio di collegamento della «base di servizio» di cui all’ultima versione del regolamento 883/2004 non fosse applicabile ratione temporis, derivandone il richiamo della legge irlandese anche per i dipendenti non coperti dai certificati E101.
 
In buona sostanza, la questione pregiudiziale sottoposta ai giudici nazionali prima ed a quello continentale poi verte su quale sia la legge previdenziale applicabile al personale aereo non coperto dal certificato E101 ed occupato presso l’aeroporto di Bergamo, ed in particolare se nella fattispecie siano invocabili il regolamento 1408/71 per il periodo giugno 2006-febbraio 2010 e il predetto regolamento 1408 unitamente al regolamento 883/2004 per il periodo gennaio 2008-gennaio 2013.
 
Infatti, l’articolo 13, regolamento 1408/71, riferito al regime di sicurezza sociale applicabile ai lavoratori subordinati, stabiliva che i dipendenti di un’impresa fossero soggetti alla legge dello Stato membro in cui svolgevano la prestazione, pur se residenti altrove ovvero se il datore di lavoro avesse sede in un altro Stato membro. Tuttavia, per il personale viaggiante di imprese esercenti, tra le altre, attività di trasporto aereo di passeggeri ed aventi sede in uno Stato membro, valeva la legge di quest’ultimo Stato, a meno che detto personale non fosse stato dipendente in una succursale o rappresentanza permanente situata in un diverso Stato membro – articolo 14, paragrafo 2, lettera a), ipotesi i), regolamento 1408 cit. – ovvero fosse risultato occupato prevalentemente nel territorio in cui risiede, giusta articolo 14, paragrafo 2, lettera a), ipotesi ii), regolamento 1408 cit..
 
A decorrere dal 1°/05/2010, il predetto regolamento 1408 è stato sostituito dal regolamento 883/2004, a sua volta modificato dal regolamento 988/2009 prima del maggio 2010 e, per il periodo successivo al giugno 2012, dal regolamento 465/2012. L’articolo 11, regolamento 883/2004, si è arricchito, nel 2009, di un ulteriore paragrafo, il 5, nei fatti privilegiando, per il personale di volo, la legge dello Stato membro in cui è situata la base di servizio di cui all’allegato III, regolamento 3922/91, ovverosia del luogo di abituale inizio o fine della prestazione lavorativa e/o del periodo di servizio e nel quale l’operatore non è tenuto a fornire l’alloggio.
 
La risposta al quesito ermeneutico sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia si è articolato in tre profili: innanzitutto, rilevato che il criterio della succursale/rappresentanza permanente presente in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede l’impresa di aviazione civile (articolo 14, paragrafo 2, lettera a), ipotesi i), regolamento 1408/71) è alternativo a quello dello Stato in cui il lavoratore è prevalentemente occupato (articolo 14, paragrafo 2, lettera a), ipotesi ii), regolamento 1408/71), la sentenza in commento ha ricordato che per «succursale» o «rappresentanza permanente» va intesa una «forma di stabilimento secondario che presenti carattere di stabilità e continuità al fine di esercitare un’attività economica effettiva e che disponga, a tal fine, di mezzi materiali e umani organizzati nonché di una certa autonomia rispetto alla stabilimento principale», così come il personale ivi occupato deve essere alle dipendenze, dovendo pertanto sussistere un collegamento significativo con il luogo a partire dal quale il personale adempie in via principale le sue obbligazioni verso il datore di lavoro (C. giust. 2 aprile 2020, cause riunite C-370/17 e C-37/18, CRPNPAC, punti 56 e 57).
 
In ragione di quanto emerso nel corso degli accertamenti ispettivi, quindi, la crew room presente nell’aeroporto di Bergamo deve essere considerata una succursale, con conseguente applicazione della legge previdenziale italiana (sentenza in commento, punti 52-58).
 
Altresì, in relazione alla prima versione dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), regolamento 883/2004, i giudici di Lussemburgo hanno rilevato come tale disposizione, pur priva di norme di conflitto, nel caso di prestazione lavorativa resa in più Stati privilegi la legge dello Stato membro in cui è esercitata la parte sostanziale dell’attività subordinata, tale essendo la «parte quantitativamente sostanziale dell’insieme delle attività del lavoratore subordinato o autonomo, senza che si tratti necessariamente della parte principale dell’attività» (sentenza in commento, punto 63) in presenza almeno del 25% di criteri quali l’orario di lavoro e/o la retribuzione, quantomeno in relazione alla prestazione subordinata.
 
Nel caso concreto, ove tali elementi siano mancati ovvero non abbiano raggiunto la percentuale minima indicata, la Corte di Giustizia ha rimesso al giudice del rinvio il compito di verificare se i dipendenti Ryanair abbiano eseguito in Italia la parte sostanziale della propria attività, con applicazione della legge previdenziale italiana, dovendo, in caso contrario, esser invocata la legge contributiva irlandese.
 
Infine, sempre in relazione al regolamento 883/2004, la Corte di Giustizia ha rilevato come detta fonte del diritto ospiti, dal 2012, una norma di conflitto, atteso che il suo articolo 11, paragrafo 5, prescrive che l’attività svolta da un membro dell’equipaggio di condotta o cabina sia considerata quella eseguita nello Stato membro in cui è presente la base di servizio, tale dovendo esser considerata, nel caso di specie, la crew room predisposta a Bergamo da Ryanair. Ciò in quanto detto ambiente è quello in cui il personale iniziava e terminava la giornata lavorativa e rispetto al quale doveva risiedere a meno di un’ora di distanza, al fine di iniziare celermente l’esecuzione della prestazione. Ne deriva, quindi, l’obbligo del versamento dei contributi ed oneri assicurativi in Italia.
 
Letta nella sua interezza, la recente decisione della Corte di Giustizia costituisce senza dubbio un importante arresto nell’interpretazione del diritto continentale in un settore – il regime previdenziale invocabile nel caso di lavoratori mobili – in cui gli interessi giuridici ed economici dei singoli ordinamenti collidono con quelli produttivi delle imprese, le cui prassi sono spesso indirizzate a massimizzare i benefici indiretti derivanti dal diritto europeo.
 
In particolare, per quanto la decisione nel caso concreto spetti al giudice del rinvio, è di palmare evidenza come l’equiparazione della crew room ad una succursale, vigente il regolamento 1408/71, e ad una base di servizio con l’entrata in vigore del successivo regolamento 883/2004, in uno con la valorizzazione del luogo di svolgimento della parte sostanziale – che non coincide necessariamente con la principale – della prestazione lavorativa di tipo subordinato, possano rappresentare una solida base giuridica su cui innestare un’applicazione sostanzialista della disciplina sulla sicurezza sociale e quindi protettiva dei diritti dei lavoratori e valorizzante una concorrenza leale tra le imprese, che non dovrebbero poter fondare la propria competitività sul minor costo sociale del fattore produttivo lavoro che organizzano.
 
In questo senso, quindi, la decisione in commento va accolta con favore e cauto ottimismo perché, in ogni caso, ha sottratto argomenti a sostegno di interpretazioni ostative, quando non addirittura elusive, del diritto europeo.
 
Tuttavia, se non proprio il pessimismo, quantomeno il realismo della ragione impone di rilevare come la decisione in commento abbia riguardato soltanto i dipendenti Ryanair non coperti da certificato E101, lasciando non fugato il dubbio su quale sarebbe stato l’esito della pronuncia ove la nota compagnia aerea avesse esibito tale certificato per tutti i membri dell’equipaggio di condotta o di cabina.
 
Invero, la vincolatività del certificato E101 (cfr. C. giust. 6 settembre 2018, causa C-527/16, Alpenrind, su cui, fra i tanti, A.P. van der Mei, Overview of recent cases before the Court of Justice of the European Union (July – October 2018)) sembra costituire ancora oggi una sorta di totem giuridico scalfibile soltanto al ricorrere di precise condizioni, quali il rilascio fraudolento del medesimo certificato e la prolungata inerzia dell’ente dello Stato straniero che l’ha emesso (cfr. C. giust. 6 febbraio 2018, causa C-359/16, Altun, su cui, fra i tanti, M. Morsa, Judgment “Altun”: priority to fight against cross-border social security fraud and social dumping or a just a trick mirror?).
 
Occorrerà quindi attendere un’ulteriore pronuncia dei giudici di Lussemburgo per assistere ad un intervento più significativo e diretto sul valore del certificato previdenziale nelle ipotesi di lavoratori subordinati occupati in più Stati membri, sperando altresì che l’attesa non sia né eccessiva, né, soprattutto, vana.
 
Giovanna Carosielli 

Funzionario ispettivo ITL Bologna*

@GiovCarosielli
 
*Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.

La CGUE sul caso Ryanair tra pessimismo della ragione ed ottimismo della volontà