Il Jobs Act e quel piccolo, pericoloso, “cadeau” ai mercanti di braccia

La rivisitazione delle norme in materia di somministrazione di lavoro operata dallo schema di decreto legislativo attuativo della legge n. 183/2014 (cd. Jobs Act) sulla revisione delle tipologie contrattuali (artt. da 28 a 38 dello schema di decreto) prevede la riscrittura dell’intero testo normativo e la contemporanea integrale abrogazione degli artt. da 20 a 28 del d.lgs. n. 276/2003 (prevista dall’art. 46, co. 1, lett. b, dello schema).

 

Senza voler qui addentrarci in un commento sistematico del nuovo disegno normativo, che in larga misura riprende i contenuti della Riforma Biagi, alla luce del d.lgs. n. 24/2012, estendendo il campo di applicazione della somministrazione in staff leasing, vogliamo notare, e far notare, che a fronte della richiamata abrogazione scomparirà dal nostro ordinamento il reato di “somministrazione fraudolenta”, oggi previsto dall’abrogando art. 28 del d.lgs. n. 276/2003 che definisce «somministrazione fraudolenta» quella che «è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore».

 

Il significato sostanziale e le gravi conseguenze di tale abrogazione sono probabilmente sfuggiti alla maggior parte dei primi commentatori, impegnati a dibattere su licenziamenti e collaborazioni e sulle nuove potenzialità della somministrazione a tempo indeterminato, acausale anch’essa. La crucialità sistematica di quella piccola norma non risiede tanto nella (tutto sommato) irrisoria ammenda prevista. Con una tecnica legislativa non del tutto tipica della legislazione penale, viene confermato l’intero apparato sanzionatorio contenuto nell’art. 18 dello stesso d.lgs. n. 276/2003 e a questo viene poi aggiunta la pena pecuniaria dell’ammenda pari a 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ogni giorno di utilizzazione fraudolenta, per cui la pena complessivamente applicabile in caso di somministrazione fraudolenta da parte di soggetto che opera in somministrazione abusiva con conseguente utilizzazione illecita è pari a 70 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ogni giorno di utilizzazione fraudolenta.

 

Invero, in un testo normativo tecnicamente complesso sull’argomento, la somministrazione fraudolenta rappresenta l’unico (o comunque il più valido) strumento a disposizione degli organismi di vigilanza per poter ricostituire un rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore finale.

Se, infatti, la somministrazione illecita, come pure l’appalto o anche il distacco di manodopera, non genuino prevede (ora, come anche nel nuovo schema di decreto delegato) la costituzione di un rapporto in capo all’utilizzatore soltanto su iniziativa del lavoratore illegittimamente “fornito”, tale prospettiva si ribalta nella somministrazione fraudolenta nella quale il consilium fraudis – specificamente individuato dalla legge – permette all’ispettore del lavoro di rilevare la nullità del contratto in frode alla legge, ricostituendo d’imperio, come detto, il rapporto in capo al reale datore di lavoro, utilizzatore, in modo illecito e fraudolento, della prestazione lavorativa.

 

Rileva, infatti, una fattispecie penale di dolo specifico, dove non soltanto viene in considerazione l’intenzionalità del reato, ma la specifica finalità dello stesso, chiedendo che vi sia un’intesa fra utilizzatore e somministratore o, quanto meno, la effettiva consapevolezza riguardo all’utilizzo illecito della manodopera (il consilium fraudis appunto), vale a dire nei confronti di un uso illecito del contratto di somministrazione, ma anche dell’appalto o del distacco di manodopera, che viene specificamente finalizzato alla elusione del sistema normativo di protezione configurato in dettagliate tutele legali o contrattuali collettive.

 

Da ciò deriva, quindi, che l’accordo negoziale fra somministratore e utilizzatore i quali abbiano operato in frode alla legge è, per i principi generali dell’ordinamento, radicalmente nullo per illiceità della causa negotii (artt. 1344 e 1418, comma 2, cod. civ.), con la naturale estensione della previsione contenuta nell’art. 21, comma 4, del d.lgs. n. 276/2003, secondo cui quando il contratto di somministrazione è nullo «i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore».

 

Nel caso in cui il testo approvato dal Consiglio dei Ministri in lettura preliminare il 20 febbraio 2015 permanesse nella attuale stesura, dunque, quanto argomentato in ordine alla tutela sostanziale dei lavoratori fraudolentemente somministrati o impiegati in appalto o distaccati non sarà più, evidentemente, possibile. E a poco o nulla vale, a parere di chi scrive, l’incipit dell’art. 36 dello schema di decreto delegato, che prevede la nullità della somministrazione di lavoro (con rapporto considerato in capo all’utilizzatore) qualora il contratto di somministrazione non sia stipulato in forma scritta, lasciando qualsiasi altra casistica fuori da questa possibilità, giacché lex ubi noluit tacuit.

 

Non solo: la depenalizzazione (o meglio, la vera e propria abolizione) del reato di somministrazione fraudolenta, per il principio del favor rei (operante in diritto penale) determinerà oltre alla subitanea decadenza dei procedimenti sanzionatori e ispettivi attualmente in corso, anche la inevitabile messa in discussione (e caducazione) dei rilievi ispettivi (anche in sede di contenzioso) fino ad oggi esperiti, che si fondavano esplicitamente sulla consumazione di tale reato, non più esistente con l’entrata in vigore del decreto delegato, non essendo tale violazione neppure formalmente depenalizzata e colpita da una magari più elevata sanzione pecuniaria amministrativa.

 

Per provocare tutto ciò sarà sufficiente, a rigore, anche soltanto un giorno di entrata in vigore della norma in argomento, a nulla valendo eventuali successive rettifiche.

Basta anche una minima esperienza per considerare che in moltissimi casi il diritto di richiedere la costituzione del rapporto di lavoro nei confronti dell’utilizzatore, lasciato semplicemente in capo al lavoratore, non costituisce per lo stesso una reale tutela sostanziale. Oltre alle difficoltà di esercizio, in moltissime catene di relazioni “non virtuose” – anche senza ipotizzare fenomeni di pressione, che pure drammaticamente esistono – qualcuno sarà pronto a “suggerire” ai lavoratori di non rompere il “giocattolo” (cioè la catena frodatoria di interposizione) se vogliono continuare a “giocare” (ergo, a lavorare).

 

D’altronde, è pur vero che nel nuovo diritto del lavoro delineato dal Jobs Act con il contratto a tempo indeterminato a monetizzazione progressiva (traducendo, nella onestà che l’uso non distorto del linguaggio impone, la locuzione normativa “tutele crescenti”) i timori in capo all’utilizzatore appaiono evidentemente in larga misura ridimensionati. Quale paura potrebbe avere l’utilizzatore fraudolento in un sistema normativo che gli impone la sanzione civilistica della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma al contempo gli consente una recedibilità piena, senza limitazioni specifiche, anche il giorno dopo l’assunzione, semplicemente monetizzabile, con indennizzi per i primi due anni di durata del rapporto di lavoro ridotti di ben due terzi rispetto a quelli previsti dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori?

 

Si noti, per non correre il rischio di ascrivere queste note ad uno scarsamente utile populismo demagogico o sensazionalista, che in questo caso ad essere messa in discussione non è soltanto una serie di diritti soggettivi e irrinunciabili del singolo lavoratore, ma piuttosto la filiera produttiva autentica, penalizzando in prima battuta proprio la somministrazione di lavoro regolare che si cerca di promuovere, non a torto, come modello virtuoso di terziarizzazione produttiva.

 

Parimenti fortemente penalizzato – in seconda, ma non certo secondaria, battuta – risulta tutto l’apparato produttivo serio e diligente che rischia, come se ve ne fosse bisogno, di vedersi enormi fette di mercato sottratte da una spietata e liberalizzata concorrenza sleale e frodatoria caratterizzata da meccanismi di appalti fittizi, irregolari, vere e proprie somministrazioni illecite che fanno del dumping e delle frodi il proprio core business, facendo affidamento non solo sull’aperta complicità, ma spesso anche soltanto su una scarsa conoscenza normativa o su una incosciente inconsapevolezza, da parte di organizzazioni o realtà datoriali anche di considerevole rilievo.

 

Non a caso, in effetti, esattamente quattro anni or sono, fra i chiarimenti e le linee guida offerti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con l’importante Circolare n. 5 dell’11 febbraio 2011, si è avuto cura di affermare con chiarezza che il contenuto della prescrizione obbligatoria che l’ispettore del lavoro deve intimare all’utilizzatore in appalto fraudolento o pseudo-committente fraudolento di regolarizzare alle proprie dipendenze, per la durata dell’effettivo impiego, i lavoratori impiegati nel presunto appalto, rivelatosi illecito e fraudolento, «a contrasto di ogni forma di inaccettabile dumping sociale ed economico».

 

L’elenco dei meccanismi di elusione e di truffa, con i quali nel mercato del lavoro esternalizzato si realizzano frodi, con frequenza impressionante, appare notevole: dai fittizi consorzi (che rappresentano l’ultima forma “evoluta” di compravendita illegittima di forza lavoro) ai distacchi illeciti, dalle false compensazioni nei modelli F24 (allo scopo di bypassare i meccanismi legali e contrattuali di responsabilità solidale) passando per forme di sottooccupazione con lavoro parzialmente “in nero”, fino ad arrivare a fittizi e illeciti distacchi transnazionali, solo per fare qualche esempio.

 

D’altra parte, non appare ingeneroso sottolineare che proprio nel mondo cooperativo da cui proviene l’attuale Ministro del lavoro si ebbe a sottoscrivere un’apposita intesa (il “Protocollo sulla Cooperazione” del 10 ottobre 2007), che interviene nel settore per concentrarsi sulle cosiddette cooperative “spurie” e sugli inevitabili effetti di dumping contrattuale provocato da esse nel sistema di relazioni contrattuali, incidendo pesantemente sulla competitività sana nella cooperazione, in ragione della rincorsa “al ribasso” per la riduzione dei costi, a danno dei lavoratori e del sistema nel suo complesso, attuata mediante appalti inevitabilmente fraudolenti. L’accordo richiamato si propone l’ambizioso obiettivo di concretizzare una «efficace azione di contrasto al fenomeno», muovendo dal presupposto che le cooperative “spurie” nella scelta dei rapporti di lavoro da instaurare coi propri lavoratori disattendono i principi sottesi alla corretta applicazione della legge n. 142/2001. Il raggiungimento di tale obiettivo strategico viene immaginato e programmato attraverso la promozione di una «specifica e diffusa attività di verifica sulla concreta applicazione della normativa» di tutela dei rapporti di lavoro nel settore cooperativo, mediante «un diretto confronto con le parti sociali» spinto alla individuazione delle migliori e più efficaci «iniziative di carattere ispettivo finalizzate al contrasto di fenomeni elusivi», da realizzarsi attraverso gli “Osservatori provinciali permanenti per la cooperazione” (composti dai rappresentanti delle Parti Sociali firmatarie del Protocollo, nonché da funzionari di Ministero del lavoro, Inps e Inail) costituiti nelle Direzioni Territoriali del Lavoro (forse non a caso destinate anch’esse, a quanto sembra, ad essere cancellate proprio come la somministrazione fraudolenta, immolate sull’altare laico della nascente “Agenzia Unica delle Ispezioni”, declinazione palese dell’idea purtroppo diffusa della inutilità, o quanto meno superfluità, nell’epoca del Jobs Act, della presenza di un Ufficio territoriale del Ministero del lavoro a presidio della tutela del lavoro, che invero non transita soltanto attraverso i controlli ispettivi e le verifiche di vigilanza).

 

Chi scrive non riesce a comprendere se manchi una reale volontà di svolta sui gravi fenomeni sopra cennati oppure se, come nel caso della piccola norma destinata a scomparire (art. 28 del d.lgs. n. 276/2003), molto sia frutto della miopia, della distrazione o delle sviste del Legislatore, non sempre avvezzo, evidentemente, a considerare compiutamente, in chiave di effettività, i risvolti concreti e pratici delle proprie determinazioni, specialmente con abrogazioni frettolose di istituti e istituzioni che richiamano alla memoria il vecchio adagio secondo cui il diavolo si nasconde nei dettagli…

 

Andrea Asnaghi

ADAPT Professional Fellow

 @AsnaghiAndrea

 

Pierluigi Rausei

ADAPT Professional Fellow e Docente di Diritto sanzionatorio del lavoro

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo (*)

 @RauseiP

 

* Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.

 

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