Il futuro dello smart working: nuove evidenze da ricerche oltreoceano

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Bollettino ADAPT 12 settembre 2022, n. 30
 
Nonostante la forte riduzione della copertura mediatica ad esso relativa, e la sua sostanziale assenza all’interno dei programmi dei principali partiti che si presenteranno alle elezioni del prossimo 25 settembre, il lavoro agile o smart working resta uno degli elementi più centrali per quanto concerne la futura organizzazione del lavoro in Italia e non solo.
 
La potenziale trasformazione del lavoro connaturata allo smart working ha infatti una portata ben più ampia del solo contesto nazionale; per questo motivo, un vasto numero di ricerche, sondaggi e studi in proposito continuano a essere condotte a livello europeo ed internazionale.
 
In particolare, la ricerca oggetto di questo articolo è stata pubblicata da parte del National Bureau of Economic Research (NBER) statunitense, già occupatosi estensivamente del tema negli ultimi anni. Essa è basata su un sondaggio online (c.d. “Survey of working arrangements and attitudes”) condotto mensilmente da maggio 2020 in poi tra rispondenti in età lavorativa (20-64 anni) che guadagnavano più di 10000 dollari annui durante il periodo pre-pandemico. I risultati raccolti fino ad aprile 2021 sono descritti e commentati all’interno di un ampio working paper (J. M. Barrero, N. Bloom, S. J. Davis, Why working from home will stick, NBER, 2021, Working paper 28731); tuttavia, di recente sono stati pubblicati dati aggiornati a luglio 2022, utili per comprendere le più recenti tendenze in materia di lavoro da remoto.
 
La prima domanda del sondaggio cerca di stabilire il trend nel quantitativo di giornate da remoto svolte dai rispondenti durante il periodo pandemico. Durante il 2019 la percentuale si attestava intorno al 5%, schizzando al 60% a luglio 2020, per poi iniziare una parabola discendente tra fine 2020 e inizio 2021, attestandosi infine su una percentuale rimasta stabile tra il 35% e il 30% da gennaio a luglio 2022.
 
Nel luglio 2022, la maggioranza dei lavoratori che hanno risposto al sondaggio lavorava per l’intero quantitativo delle proprie ore lavorative presso i locali aziendali, il 15% svolgeva la propria prestazione totalmente da remoto, mentre il 30% disponeva della possibilità di alternare giornate trascorse all’interno e all’esterno dei locali aziendali. Questi risultati, tuttavia, non devono portare a sottostimare la portata trasformativa dell’evento pandemico in termini di lavoro da remoto: tra i lavoratori con mansioni “telelavorabili” circa il 45% dei lavoratori era parte di un rapporto di lavoro “ibrido”, con la possibilità di lavorare almeno parzialmente da remoto, mentre una percentuale decisamente inferiore (30%) svolge la propria prestazione interamente presso i locali aziendali.
 
Rispetto ai dati raccolti nei primissimi mesi della pandemia, si nota poi una notevole crescita nel numero di giornate di lavoro da remoto che i datori di lavoro sono disposti a “concedere” settimanalmente ai propri dipendenti: un numero ancora stabilmente inferiore a quanto desiderato dai lavoratori, ma con un gap in evidente fase di riduzione.
 
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La recente ricerca del NBER si concentra poi sulla distribuzione geografica dei lavoratori che lavorano, interamente o parzialmente, da remoto, tema che era già stato trattato da un precedente paper del medesimo istituto (per un breve commento, vedi D. Porcheddu, L’impatto del lavoro da remoto sulla geografia delle città: spunti dal caso americano, Bollettino ADAPT n. 33/2021). Coerentemente ai risultati contenuti all’interno dello stesso, si registra come la percentuale di lavoratori da remoto sia, sin dall’inizio del periodo pandemico, molto più alta nelle grandi città rispetto ai piccoli centri. I ricercatori del NBER avevano decretato come questa circostanza fosse principalmente dovuta alla maggiore percentuale di lavoratori residenti in zone urbane attivi nella produzione dei cosiddetti “Skilled Scalable Services” ossia attività che presuppongono il massiccio uso di tecnologia informatica e un elevato livello di competenze da parte dei lavoratori coinvolti.
 
La prospettiva settoriale è infatti fondamentale per tentare di comprendere anche il futuro del lavoro da remoto. Coerentemente ai sondaggi condotti da Eurofound tra il 2020 e il 2021 (si veda, in questo senso, la serie Living, working and COVID-19) anche nel contesto statunitense settori in cui i lavoratori svolgono più frequentemente la propria prestazione da remoto sono il settore dell’informazione e quello creditizio-assicurativo, mentre i meno interessati dal fenomeno sono i settori della logistica, del turismo e della ristorazione. La ricerca qui descritta aggiunge a queste rilevazioni quella per cui i settori menzionati sono anche quelli all’interno dei quali i datori di lavoro hanno intenzione di promuovere maggiormente tale modalità lavorativa.
 
Passando ai vantaggi del lavoro da remoto più frequentemente segnalati dai lavoratori, si annoverano il risparmio sui costi del riscaldamento e del pranzo, nonché l’assenza della necessità di spostarsi dall’abitazione al luogo di lavoro. Per quanto concerne invece i vantaggi del lavoro in presenza, vengono menzionate la possibilità di collaborare face-to-face con i propri colleghi e la maggiore presenza di confini tra vita privata e vita lavorativa.
 
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L’ultimo dato scaturente dal sondaggio è quello per cui, se la percentuale di lavoratori da remoto è raddoppiata ogni 15 anni nel pre-pandemia, l’emergenza sanitaria ha portato a un aumento di cui si sarebbe fatta probabilmente esperienza tra circa 30 anni.
 
I risultati della ricerca statunitense sono per la maggior parte in linea con quanto rilevato finora da importanti istituti di ricerca a livello europeo e nazionale, dimostrando come la distribuzione geografica e settoriale, nonché i vantaggi e gli svantaggi collegati a tale modalità di lavoro percepiti dai lavoratori siano, ad oggi, piuttosto uniformi a livello globale.
 
Sarà interessante tenere monitorati tali indicatori, al fine di comprendere qualora eventuali mutazioni nel contesto economico e sociale possano effettivamente portare a significativi cambi di direzione: si pensi ad esempio all’attuale crisi energetica in corso in Europa, e al potenziale aumento dei costi di riscaldamento ed elettricità per i lavoratori che svolgono la propria prestazione dall’abitazione – il quantitativo di giorni di lavoro da remoto richiesti dai dipendenti rimarrà maggiore rispetto a quello che i datori di lavoro sono in media propensi a concedere?
 
Diletta Porcheddu

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@DPorcheddu

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