L’impatto del lavoro da remoto sulla geografia delle città: spunti dal caso americano

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 27 settembre 2021, n. 33

 

È noto a tutti come, grazie al progressivo “rientro in ufficio” di molti lavoratori del settore pubblico e privato in seguito al miglioramento dell’emergenza sanitaria, il tema del lavoro da remoto sia nuovamente al centro del dibattito pubblico italiano.

La discussione sul c.d. “smart working”, è attualmente fortemente polarizzata: sussiste infatti una vivace contrapposizione fra i c.d. “tecno-scettici”, i quali dubitano fortemente che il lavoro da remoto possa costituire un’efficace modalità di gestione dei rapporti di lavoro nel futuro, e i c.d. “tecno-entusiasti”, i quali, al contrario, sottolineano come una remotizzazione massiccia delle attività professionali possa potenzialmente avere effetti benefici non solo per le parti direttamente coinvolte nei singoli rapporti di lavoro, bensì per l’intera collettività (in tema, da ultimi e tra i tanti, R. Brunetta, M. Tiraboschi, Il lavoro agile o smart working nella pubblica amministrazione: prospettive e criticità, WP ADAPT n. 10/2021).

Tra questi ultimi, il fronte pro- lavoro da remoto spesso elenca la riduzione dei livelli di inquinamento atmosferico, ma anche e soprattutto il ripopolamento delle zone del paese a basso livello di industrializzazione e delle periferie dei gradi centri urbani, con i conseguenti risvolti positivi sullo sviluppo della loro economia territoriale.

 

Se l’argomentazione legata alla riduzione dell’inquinamento atmosferico risulta supportata da dati relativi a quanto osservato durante la fase più critica della pandemia da COVID-19, i quali segnalano una sensibile diminuzione dei livelli di sostanze inquinanti legate alle emissioni dei veicoli a motore (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (2020), La qualità dell’aria in Italia durante il lockdown), non è al momento possibile verificare con certezza quanto concluso relativamente alle potenzialità di trasformazione dei centri abitati del Paese, dato che l’effettivo dispiegarsi degli effetti elencati risulta legato a una prospettiva di medio-lungo periodo.

Tuttavia, al fine di acquisire qualche primo dato utile a meglio comprendere la portata del potenziale impatto del lavoro da remoto sulle città italiane e non solo, risulta d’aiuto una recente ricerca del National Bureau of Economic Research americano, intitolata The Geography of Remote Work, la quale si concentra sugli effetti della diffusione massiccia del lavoro da remoto nelle principali metropoli statunitensi durante la fase maggiormente critica dell’emergenza sanitaria.

 

Innanzitutto, i ricercatori hanno dimostrato come l’indice di “telelavorabilità” delle attività lavorative diffuse all’interno delle città selezionate sia direttamente proporzionale alla loro densità abitativa: è stato calcolato, infatti, che nelle metropoli americane più densamente popolate, circa il 45% delle attività è potenzialmente svolgibile da remoto.

A supporto di tale conclusione, sono stati utilizzati anche i risultati dello U.S. Current Population Survey (CPS) risalenti al maggio 2020, attraverso i quali è stato dimostrato come, in quel periodo, il 50% degli abitanti delle città più densamente popolate lavorasse da remoto, mentre nelle città a minore densità abitativa tale percentuale si attestasse intorno al 20%.

Utilizzando le risultanze di studi precedenti  (F. Eckert, S. Ganapati, C. Walsh, Skilled Scalable Services: The New Urban Bias in Economic Growth,  CESifo WP n. 8705/2020) la ricerca correla la forte diffusione delle attività telelavorabili nelle città densamente popolate alla loro struttura industriale, molto spesso specializzata sulla produzione di “Skilled Scalable Services” (SSS), ossia attività che presuppongono il massiccio uso di tecnologia informatica e un elevato livello di competenze da parte dei lavoratori coinvolti.

 

Durante la primavera del 2020 un alto numero di tali lavoratori occupati in tali settori ha lavorato da remoto: a ciò è conseguita una drastica riduzione degli spostamenti nelle zone della città ad alto tasso di pendolarismo, le quali hanno visto la propria popolazione locale diminuire del 10%, a vantaggio delle zone a basso pendolarismo, la cui popolazione è al contrario aumentata del 5%.

I dati relativi al prezzo di locazione degli immobili delle metropoli americane analizzate nella ricerca, tuttavia, mostrano come molti lavoratori con mansioni remotizzabili non abbiano soltanto limitato il proprio tasso di mobilità all’interno del tessuto cittadino, bensì abbiano talvolta scelto di abbandonare del tutto le zone della città in cui risiedevano, a favore di quartieri più lontani dal centro.

In ultimo, i ricercatori statunitensi rilevano come il sensibile aumento della diffusione del lavoro da remoto abbia provocato una drastica diminuzione dell’uso di servizi ai consumatori quali hotel, ristoranti, caffetterie e barbieri, localizzati nei quartieri con una maggiore percentuale di lavoratori occupati nei settori menzionati: tale dato, peraltro, è soprattutto vero per quanto riguarda le grandi aree urbane, mentre, all’interno delle piccole città, la riduzione della domanda è stata meno forte.

Questo dato, per la verità, conferma le osservazioni contenute in un recente position paper redatto da Assolombarda in collaborazione con ADAPT, (Assolombarda, ADAPT (2021) Il lavoro agile oltre l’emergenza, Ricerca n. 5, p. 24), relativamente all’impatto del lavoro da remoto sul tessuto commerciale dei luoghi dove prima si concentrava lo svolgimento delle attività lavorative – a vantaggio di una rivitalizzazione degli esercizi commerciali nelle aree residenziali.

 

La ricerca appena sintetizzata, dunque, aiuta a comprendere come, anche sul tema della geografia urbana conseguente alla diffusione del lavoro da remoto, la polarizzazione del dibattito spesso non sia utile a mettere chiaramente in evidenza le diverse sfumature da tenere in considerazione.

Il lavoro da remoto è certamente destinato ad essere protagonista della quotidianità di moltissimi lavoratori del futuro, italiani e non: ed è per questo che risulta fondamentale avere una panoramica completa dei suoi potenziali effetti, basandosi per quanto possibile sui dati a disposizione ed evitando prese di posizione ideologiche.

 

Diletta Porcheddu

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@DPorcheddu

 

 

L’impatto del lavoro da remoto sulla geografia delle città: spunti dal caso americano
Tagged on: