Il datore di lavoro ai fini prevenzionistici. Cosa cambia dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 9028/2022

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Bollettino ADAPT 4 settembre 2023, n. 29
 
Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione (III sezione penale) è intervenuta, in funzione nomofilattica, su un argomento che sin dalla pubblicazione del Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro (c.d. TUSL) ha offerto spunti di confronto (e di scontro) nelle aule dei tribunali: la corretta individuazione del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008.
 
Va premesso che il TUSL definisce datore  di  lavoro «il  soggetto  titolare del rapporto di lavoro  con  il  lavoratore  o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo  e  l’assetto  dell’organizzazione  nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività’, ha la responsabilità dell’organizzazione   stessa   o  dell’unità  produttiva  in  quanto esercita   i   poteri   decisionali   e  di  spesa […..] in caso di omessa individuazione, o di individuazione non  conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo».
 
L’inciso «o comunque» richiama il principio di effettività enunciato all’art. 299 ed è stato sin dall’inizio interpretato nel senso che la figura del datore di lavoro «formale» (il soggetto con cui il lavoratore sottoscrive la lettera di assunzione) possa non coincidere con quella del datore di lavoro «sostanziale» (il soggetto munito dei poteri decisionali e di spesa che esercita il potere organizzativo e direttivo sui lavoratori).
 
Avvalendosi di questa interpretazione molte imprese, medie e grandi, hanno attribuito a più soggetti aziendali la qualifica di datore di lavoro; altre imprese, anche di modesta complessità organizzativa, hanno individuato un soggetto diverso dal titolare sul quale trasferire la responsabilità datoriale.
 
La sentenza qui in esame vuol far chiarezza su questa fondamentale figura di garanzia e sulle diverse modalità applicative della norma, pervenendo tuttavia ad una soluzione non del tutto chiara o comunque, a sua volta, diversamente interpretabile.
 
La vicenda processuale nasce dall’opposizione alla sentenza di assoluzione del GIP di Savona che, respingendo la richiesta di decreto penale di condanna avanzata dalla Procura, aveva assolto il Consigliere Delegato e CEO di un’Azienda bancaria, imputato della violazione di alcune norme del TUSL durante l’emergenza COVID. (nello specifico: la mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi e la mancata designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione – RSPP).
 
L’imputato si era difeso sostenendo di aver individuato il datore di lavoro in un diverso soggetto aziendale, in linea con la costante giurisprudenza relativa all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2008. Tesi accolta dal Tribunale di Savona che lo assolveva per «non aver commesso il fatto».
 
Contro la sentenza ricorreva in Cassazione la Procura di Savona per violazione di legge, assumendo che il Giudice di merito aveva erroneamente interpretato il dato normativo. Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, a sua volta, concludeva per la manifesta infondatezza del ricorso, risultando a suo avviso errata la riferibilità del reato al divieto di delega, dovendosi nel caso avere riguardo alla mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi ed alla mancata designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
 
La Suprema Corte, preliminarmente, precisava che l’oggetto della vicenda processuale riguardava l’omissione di atti dovuti da parte del Consigliere – CEO e non la validità ed efficacia del documento di valutazione del rischio (DVR). Parimenti, che restava estranea al giudizio l’eventuale responsabilità del datore di lavoro in caso di eventi dannosi successivi alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e sicurezza oppure all’adozione del DVR. La sentenza, secondo la Corte, «doveva dunque essere esaminata partendo dalla distinzione tra titolarità del rapporto di lavoro in senso prevenzionale/sicuristico e titolarità in senso giuslavoristico», come prospettato dalla difesa del soggetto aziendale destinatario della delega il quale sosteneva di non essere responsabile delle violazioni contestate, trattandosi di compiti non delegabili.
 
Richiamando la pregressa giurisprudenza, la Corte osservava che il datore di lavoro ai sensi dell’art. 2 del TULS non va considerato tale con riferimento a tutta l’operatività aziendale, non potendosi sotto-articolare detta figura secondo le funzioni svolte o dei settori produttivi. Precisando che «la medesima organizzazione, ove unitaria, o una sua unità produttiva, possono conoscere la compresenza di più datori di lavoro» e che «l’individuazione di più figure di datore di lavoro all’interno di una stessa impresa sono identificabili in presenza di autonome organizzazioni aziendali cui sia preposto un soggetto chiamato a gestirla con tutti i poteri decisionali e di spesa necessari», stabilendosi, in tal modo, «una relazione biunivoca tra tale soggetto e l’unità organizzativa, tale per cui egli diviene in essa – e solo nell’ambito di essa – datore di lavoro».
 
Con questa motivazione la Cassazione annullava la sentenza rinviando il giudizio al primo giudice di merito, precisando che «in realtà organizzative che presentano simili connotazioni si determina la contestuale presenza di un datore di lavoro al vertice dell’intera organizzazione, che pertanto potrebbe dirsi «apicale» e di uno o più datori di lavoro che potrebbero definirsi «sotto-ordinati»,  per i quali il ruolo datoriale non elide il vincolo gerarchico verso il datore di lavoro apicale pur non intaccando i poteri di decisione e di spesa richiesti dalla autonoma gestione dell’unità produttiva. E che, nell’ipotesi, contraria, in cui tali vincoli si riflettono su tale gestione, sia da escludere che ricorra un datore di lavoro sotto-ordinato, profilandosi piuttosto un dirigente».
 
La sentenza è stata ritenuta da molti commentatori in controtendenza rispetto alle precedenti decisioni della Corte, anche se, in realtà, non si discosta dal solco delle precedenti. Ma offre lo spunto per alcune considerazioni.
 
Va osservato anzitutto che, nella vicenda in esame, l’imputato rivestiva la carica di CEO (Chief Executive Officer) e non di semplice membro del Consiglio di Amministrazione. Lo stesso era dunque, verosimilmente, munito di ampi poteri decisionali e di spesa che si riflettono anche sul settore della sicurezza, essendo il primo responsabile dei risultati economici dell’impresa. In tali casi, risulta spesso problematico dissociare la responsabilità della funzione di vertice dalle decisioni che, anche se indirettamente, incidono sugli obblighi connessi alla sicurezza sul lavoro (ThyssenKrupp docet….).
 
La sentenza conferma la possibilità di distinguere il datore di lavoro formale (che verosimilmente coincide con la definizione di datore di lavoro «in senso giuslavoristico») da quello sostanziale. Con la precisazione, ovviamente condivisibile, che il datore di lavoro preposto ad un’autonoma organizzazione aziendale debba essere munito di tutti i necessari poteri decisionali e di spesa.
 
La sentenza fa altresì salva la possibilità di individuare più datori di lavoro all’interno dell’unica impresa, in caso di più unità produttive autonome collegate dallo scopo sociale e che non si configurino come mere articolazioni del ciclo produttivo. Sotto questo aspetto, sarebbe stato forse più corretto il riferimento alla «unicità dell’impresa» e non a quella del datore di lavoro.
 
Altra considerazione che suscita la sentenza in esame riguarda la circostanza che in alcuni passaggi si usa alternativamente il termine di «delega» e di «individuazione» (della figura datoriale), che hanno un senso ben diverso, come emerge chiaramente dalla ratio del richiamato art.2 del d.lgs.81/2008. Dal quale si evince che le figure di garanzia «nominate» o «delegate» sono il dirigente (lett. d), il responsabile del servizio prevenzione e protezione (lett. f), l’addetto al servizio prevenzione e protezione (lett. g), il medico competente (lett. h) e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (lett. i).  Non sono al contrario delegabili (né nominabili) le funzioni di datore di lavoro e del preposto, dovendo le stesse emergere dal contesto organizzativo e dal complesso dei poteri distribuiti tra i vari soggetti aziendali e l’organo amministrativo, nel rispetto del più volte richiamato principio di effettività.
 
Si è «preposti» non in quanto destinatari di una delega, ma perché le mansioni svolte e la platea dei soggetti con cui il soggetto interagisce lo individuano come tale. Così come la figura del datore di lavoro coincide col soggetto che effettivamente esercita il potere decisionale e di spesa (o con l’intero organo amministrativo, in assenza di un soggetto identificabile come tale).
 
In tale prospettazione, le deleghe in materia di sicurezza, comprese le procure conferite al datore di lavoro come sopra individuato, costituiscono uno strumento di informazione interna ed un mezzo di pubblicità dichiarativa verso i terzi. Al contempo, rappresentano un supporto di chiarezza dei ruoli e delle responsabilità nei casi, non rari, in cui interagiscono più imprese all’interno dello stesso ambiente di lavoro, ovvero in cui la proprietà degli impianti e/o dell’immobile sia diverso da chi ne cura la manutenzione e/o da chi materialmente organizza e dirige il lavoro.
 
Ciò che appare poco convincente, tuttavia, è l’aver impropriamente creato una nuova figura di garanzia, attraverso (l’astratta) configurazione del «datore di lavoro sotto-ordinato», che gerarchicamente risponde al «datore di lavoro apicale». Una tesi giuridica azzardata, che non aggiunge certezze ed anzi, senza volere, rischia di creare maggiore confusione. Se infatti, come precisa la Corte, la figura del datore di lavoro è unica, non ha alcun senso sottolineare l’esistenza di una diarchia gerarchica tra datori di lavoro [apicale e sotto-ordinati], essendo noto che il potere direttivo non si annulla per il solo fatto di aver trasferito ad altri le responsabilità in materia di sicurezza. Ma dandone evidenza si rischia di mettere in dubbio i confini dell’autonomia decisionale dell’uno e dell’altro datore di lavoro, in aperta contrapposizione con la ratio dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2008.
 
La stessa considerazione vale per la figura del preposto, che la recente legge 215/2021 obbliga ad «individuare», quasi a intendere che in assenza di una sua formale individuazione non sia attribuibile a nessuno la relativa responsabilità. Infatti, poiché tutta la normativa della sicurezza sul lavoro ruota intorno al principio della effettività, il preposto nel concreto delle situazioni è sempre individuabile, anche in assenza di un atto formale.
 
Un’ultima considerazione, che non si colloca nella vicenda processuale ma merita comunque attenzione, è se esiste – ed eventualmente, in quali casi – un confine oltre il quale non è possibile dissociare la titolarità dell’impresa dalla responsabilità datoriale.
 
Le ipotesi più critiche riguardano soprattutto le piccole imprese, ma anche le società il cui organo amministrativo è composto da un amministratore unico. Il TUSL non preclude esplicitamente la possibilità, da parte delle piccole imprese, di individuare un datore di lavoro diverso dal titolare, limitandosi ad alleggerirne i compiti burocratici. Ciò è dovuto, soprattutto, al fatto che il sistema della sicurezza è stato costruito sul modello delle grandi imprese in cui l’articolazione organizzativa è particolarmente complessa.
 
In questi casi, quanto più piccola è l’impresa, tanto maggiore è la tendenza del suo titolare a spogliarsi di ogni responsabilità civile e penale in materia di sicurezza, ritenendo [erroneamente] sufficiente la nomina di un RSPP e di un medico competente cui affidare tutti i compiti derivanti dalla legge.
 
Situazioni che emergono sempre più frequentemente nel quotidiano e che spesso travolgono in drammatici conflitti lavoratori e figure di garanzia, ciascuna delle quali convinta di aver ben interpretato il proprio ruolo ed il confine delle proprie responsabilità.
 
Anche su questi casi andrebbe fatta una riflessione e forse sarebbe necessario un chiarimento normativo.
 
Antonio Tarzia

ADAPT Professional Fellow

Il datore di lavoro ai fini prevenzionistici. Cosa cambia dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 9028/2022