E se invece di condizionare la percezione degli ammortizzatori la si incentivasse?

Uno degli argomenti di maggiore discussione nell’aggancio tra le politiche attive e passive del lavoro riguarda la cosiddetta “condizionalità”: cioè assicurare il mantenimento della percezione del sussidio di disoccupazione a condizione che il disoccupato compia azioni concrete e misurabili di ricerca attiva di ricollocazione.

Il d.lgs 150/2015 tratta specificamente questo tema, a partire in particolare dal comma 4, ai sensi del quale “Il beneficiario di prestazioni è tenuto ad attenersi ai comportamenti previsti nel patto di servizio personalizzato, di cui all’articolo 20, nei tempi ivi previsti, restando comunque fermi gli obblighi e le sanzioni di cui al presente articolo”.

I successivi commi 7 e 8, poi, disciplinano le conseguenze connesse al mancato rispetto delle prescrizioni del patto di servizio, graduando una serie di sanzioni a misura della quantità degli inadempimenti rilevata dai servizi pubblici per il lavoro.

 

Con riferimento all’Assicurazione Sociale per l’Impiego, alla Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), alla Indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata (DIS-COLL) e all’indennità di mobilità, si applicano sanzioni progressivamente più forti, che vanno dalla decurtazione di un quarto di una mensilità, in caso di prima mancata presentazione, alla successiva decurtazione di una mensilità, fino all’eventuale decadenza dalla prestazione e dallo stato di disoccupazione.

Il problema è che il meccanismo della condizionalità appare attualmente inceppato (per altro, non si può dire che abbia funzionato in maniera lineare ed efficiente anche nel pregresso regime normativo).

 

Mancano alcuni elementi fondamentali:

1) il decreto del Ministero previsto dall’articolo 2, comma 1, del d.lgs 150/2015, col quale stabilire i termini entro i quali i centri per l’impiego debbano convocare i disoccupati che abbiano chiesto all’Inps la Naspi, richiesta equivalente alla dichiarazione di immediata disponibilità;

2) la determinazione di un flusso procedimentale standard, che riconosca le garanzie di contraddittorio al lavoratore;

3) la fissazione di criteri almeno generali per indicare quali possano essere le tipologie di cause giustificative alla mancata partecipazione del lavoratore alle attività di ricerca attiva o alle proposte di formazione o di lavoro ricevute;

4) la determinazione del sistema dei ricorsi gerarchici.

 

L’ultimo punto appare il più delicato. L’articolo 21, comma 10, dispone che il provvedimento sanzionatorio sia emanato dai centri per l’impiego e che il lavoratore avverso tale provvedimento può presentare ricorso all’ANPAL, che provvede ad istituire un apposito comitato, con la partecipazione delle parti sociali.

Un sistema estremamente farraginoso, nonché carente di alcuni approfondimenti operativi e, dopo il referendum del 4 dicembre 2016, anche di legittimazione.

 

La farraginosità è resa evidente dalla circostanza che un ricorso indirettamente qualificato come gerarchico o, comunque, amministrativo, debba essere presentato a Roma e gestito, allo scopo, da un comitato del quale facciano parte, non si comprende a quale titolo visto che si tratta di un ricorso gerarchico, anche le parti sociali. Molto più razionale sarebbe, ovviamente, far sì che il ricorso sia presentato in strutture vicine al territorio, anche per consentire la già citata garanzia del contraddittorio.

 

L’approfondimento operativo riguarda in particolare le competenze. La norma indica, come visto sopra, che il provvedimento di decurtazione sia adottato dal centro per l’impiego. Ma, si tratta, come è evidente, di un provvedimento amministrativo di natura negoziale, perché incide in maniera diretta sulla sfera giuridica dei destinatari e rientra nell’ambito dei provvedimenti “sanzionatori”, visto che produce l’effetto di ridurre o far decadere la prestazione di sostegno al reddito. Il provvedimento, come tale, allora, rientra nella competenza di organi che dispongono appunto di poteri “negoziali”: nell’ordinamento giuridico sono di dirigenti pubblici. I centri per l’impiego, però, nella gran parte dei casi, non sono diretti da dirigenti, bensì da funzionari. Sul piano operativo, allora, occorrerebbe precisare che i centri per l’impiego pongono in essere un’attività istruttoria, rivolta al dirigente del servizio, che provvede poi all’emanazione del provvedimento.

 

Il problema di legittimazione riguarda il ruolo dell’Anpal. Poiché la riforma della Costituzione non è passata e la materia delle politiche attive per il lavoro è rimasta nella potestà legislativa concorrente delle regioni, che conservano anche l’organizzazione dei servizi, appare difficile considerare legittimo un intervento “gerarchico” dell’Anpal su funzioni regionali. Più razionalmente e legittimamente sul piano della costituzionalità, il provvedimento potrebbe considerarsi soggetto, oggi, al riesame di una struttura regionale e non dell’Anpal.

Per altro, occorre precisare che il ricorso gerarchico di natura amministrativa non può essere preclusivo del ricorso al giudice ordinario (del lavoro?), al quale pare il lavoratore possa comunque rivolgersi sempre, dal momento che oggetto della condizionalità appare un diritto soggettivo alla percezione del sostegno al reddito e non un interesse legittimo.

Mentre tutti questi nodi sono incagliati al pettine, il sistema della condizionalità, comunque, resta al palo e non è partito.

 

Ma, al di là di questi pur rilevanti temi, è evidente la timidezza con la quale le istituzioni affrontano il tema della condizionalità. E’ ovviamente una scelta molto forte quella di incidere negativamente su prestazioni che aiutano finanziariamente i disoccupati nella transazione verso nuovi lavori, specie in una fase di crisi economica, nella quale non risulta assolutamente semplice reperire lavoro. Un conto è, infatti, una condizionalità rigorosa in presenza di numerose e concrete possibilità di reinserimento lavorativo, altro è legare l’applicazione di sanzioni ad aspetti anche formali, come l’assenza a convocazioni ordinarie per colloqui con i servizi, che potrebbero anche non preludere ad alcuna significativa proposta di politica attiva.

 

La condizionalità, allora, potrebbe essere rivista anche nel merito. Fermo restando l’applicazione di decurtazioni significative nel caso di rifiuto di proposte congrue di lavoro (un altro elemento rimasto irrisolto e aleggiante solo nella teoria è la definizione dell’offerta “congrua”), forse la spinta al lavoratore a farsi parte attiva nella ricerca di ricollocazione potrebbe operare per incentivi, invece che per decurtazioni.

Posto che la Naspi sia da parametrare ad una certa percentuale dell’ultimo trattamento stipendiale di fatto goduto, la quantità del sostegno potrebbe essere periodicamente oggetto di significativi “incentivi” per il lavoratore che partecipi attivamente alle iniziative di ricerca attiva, proposte non solo dai soggetti pubblici, ma anche dai privati autorizzati e accreditati, ovviamente tracciate in modo corretto sui sistemi informativi lavoro ed accessibili all’Inps.

 

In questo modo:

1) si mantiene una condizionalità forte, volta ad eliminare dalle banche dati dei disoccupati quelli che in presenza di opportunità lavorative concrete si rifiutino di coglierle, nonché a farli decadere dalle prestazioni;

2) si premia chi davvero cerchi attivamente lavoro, senza il rischio di attivare procedure di decurtazione non direttamente connesse a manifesti comportamenti opportunistici.

In ogni caso, la reiterata mancata presentazione a convocazioni potrebbe essere ancora oggetto di forti decurtazioni.

 

Resta, comunque, il fatto che la condizionalità potrà davvero essere pienamente funzionante solo quando il sistema delle politiche attive, sia che sia gestito dai servizi pubblici, sia che sia svolto dai privati autorizzati/accreditati, sarà in grado di intercettare in pieno la domanda di lavoro, che, invece, per gran parte gira per i canali informali, come è noto.

Da questo punto di vista, sarebbe indispensabile pensare anche ad un sistema che incentivi le aziende a manifestare le vacancy sui canali ufficiali, il che renderebbe il mercato del lavoro più efficiente ed aperto e consentirebbe di applicare con cognizione di causa anche la condizionalità ai lavoratori.

 

Luigi Oliveri

ADAPT Professional Fellow

 

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