Dopo il protocollo: i tre pilastri dello smart working*

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Bollettino ADAPT 13 dicembre 2021, n. 44
 
Possiamo dirlo, il lavoro agile post-pandemico ha un grande merito: è diventato un tema che facilita la concertazione sociale trilaterale (Ministri, Sindacati, Datori) sia nel settore pubblico, sia nel settore privato. E pone il nostro Paese come apripista nell’Unione Europea nell’utilizzo del metodo del dialogo sociale per affrontare le complesse sfide del futuro.
 
Ha il merito, quindi, di suggerire un metodo (non nuovo, ma) intelligente e replicabile per affrontare e gestire le grandi trasformazioni dell’economia e della società. Trasformazioni, queste, determinate dalla pandemia e caratterizzate dall’accelerazione dell’innovazione digitale e dalle nuove sensibilità per l’ambiente e per il benessere, individuale e collettivo. Al punto che gli storici della scienza segnalano un cambio di paradigma. Mentre gli psicologi parlano di una possibile crescita post-traumatica. O forse ha ragione Tucidite: anche le tragedie insegnano. In questo contesto, con il dialogo sociale, e la spinta mite, si è orientata la transizione dal lavoro “a distanza” sperimentato durante la pandemia (nella forma di telelavoro domiciliare forzato) al lavoro agile prossimo venturo. Con la speranza che quello he verrà si meriti davvero il nome comune di smart working.
 
Dopo le “Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche” del Ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, ieri sera ha visto la luce il “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” per il settore privato del Ministro del Lavoro, Andrea Orlando.

Seppur nel rispetto delle diversità settoriali (pubblico/privato) e dei caratteri dei due Ministri, entrambi i documenti sono utili e tempestivi e coltivano la medesima scelta strategica. Imperniata su tre pilastri, che provo a delineare.
1. Seppur l’attore pubblico mostra di voler riprendere un ruolo di protagonista del cambiamento del lavoro e dell’economia, per farlo non ricorre allo strumento rigido della legge (nonostante, in Parlamento, ci siano ben 8 progetti di riforma), bensì scommette sull’adattabilità dell’autonomia privata.
2. Entrambi i documenti rivitalizzano il cuore pulsante della legge-madre del lavoro agile (n. 81 del 2017): il contratto individuale di lavoro. Cioè la volontarietà della scelta agile non solo da parte del datore (come avviene nella semplificazione emergenziale), ma anche del lavoratore.
3. Di più, Linee guida e Protocollo scommettono su uno strumento flessibile trascurato dalla legge n. 81: la contrattazione collettiva, stipulata a tutti i livelli (non solo nazionale, ma anche di secondo livello).
 
A conti fatti, il primo contratto (individuale) serve per dare voce alle differenti esigenze personali. Il secondo (collettivo) per costruire una solida rete di accompagnamento collettivo delle opzioni individuali. La ritrovata sintonia di regolamentazione del lavoro agile – con un processo di reciproca osmosi fra pubblico e privato – appare opportuna e coerente con le previsioni della legge 81.
 
Come sono maturate le novità del Protocollo Orlando? Alla sua stesura, dalla primavera, ha collaborato un Gruppo di studio interdisciplinare – di cui faccio parte – diretto dal collega Pasqualino Albi. La nostra attività di supporto è stata guidata dalla già anticipata consapevolezza che le esperienze insegnano, anche se negative. La dolorosa realtà di due anni di pandemia è stata analizzata come una sorta di “esperimento naturale” che rompe gli schemi mentali e aiuta la fantasia, specie nei settori più aperti al cambiamento organizzativo e culturale.
 
Per disegnare la “nuova” normalità, il Gruppo ha studiato i dati e gli impatti del periodo emergenziale di ricorso obbligato al lavoro agile. O meglio, al telelavoro, senza spostarsi dalla propria abitazione, che ha scardinato le resistenze piscologiche e/o organizzative, nonché i confini tra casa e luogo di lavoro, tra tempo di lavoro e di non lavoro.
 
In primis abbiamo consultato la letteratura, nazionale e internazionale, sul lavoro agile. È mappato oltre 200 contratti collettivi (per lo più aziendali), stipulati in Italia pre e post-pandemia. Da questa indagine, è nato un questionario, molto analitico, diretto ad acquisire informazioni sullo svolgimento effettivo del lavoro da remoto. Lo abbiamo distribuito e poi ascoltato, on line, le opinioni dei rappresentanti di numerose organizzazioni sindacali e datoriali.

Vista la marcata dimensione di genere del lavoro agile pandemico, con il sovraccarico femminile di ruoli (lavoratrice, madre, insegnante di sostegno, ecc.), e la conseguente minor soddisfazione delle donne, abbiamo incontrato la Consigliera Nazionale di Parità per orientarlo dalla conciliazione alla condivisione equilibrata fra tempi di vita (di cura) e di lavoro.
 
Per mantenere una sintonia pubblico/privato, abbiamo ascoltato il Presidente dell’ARAN alle prese con il rinnovo del contratto Funzioni centrali e la regolamentazione collettiva dello smart working. Infine, abbiamo intrecciato le caratteristiche del lavoro agile che verrà con gli obiettivi del PNRR.

L’ampia base di informazioni e valutazioni è stata utile vuoi per valutare le criticità del lavoro agile emergenziale: per esempio, nuovi rischi psico-sociali. Vuoi per identificare alcuni antidoti: a partire dalla formazione al diritto alla disconnessione. Vuoi per valorizzarne le potenzialità: non solo anti-contagio, ma anche di benessere, innovazione e addirittura ripopolamento dei territori fragili.
 
Marina Brollo

Ordinaria di diritto del lavoro

Università degli Studi di Udine

@MarinaBrollo
 
*Pubblicato anche su Il Messaggero Veneto, 8 dicembre 2021

Dopo il protocollo: i tre pilastri dello smart working*
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