Dalla rappresentatività confederale alla rappresentatività aziendale nella sentenza della Corte Cost. n. 156 del 2025

Interventi ADAPT

| di Mariella Magnani

Bollettino ADAPT 9 dicembre 2025 n. 43

Sia con la iniziativa legislativa in materia di partecipazione sia con la sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 2025, in materia di art.19 St. lav., il diritto sindacale ha riacquisito la sua centralità, a dispetto della cd. disintermediazione. Questo conforta chi si è formato ed è cresciuto nel “mito” del diritto sindacale ritenendo che qui sta il cuore del diritto del lavoro – e, a questo punto, possiamo dire non può che stare – e ad un certo momento si era sentito un po’ dèmodé.

Nel prossimo convegno di Bertinoro si rimettono un po’ in fila tutti i problemi che la mancanza di una legge sindacale organica ci ha causato; dall’utilizzo del concetto di rappresentatività sindacale nella legislazione (e, segnatamente, nei rinvii legislativi, che, ad un certo punto, dai contratti collettivi tout court sono passati ai contratti collettivi stipulati dai sindacati maggiormente e successivamente  comparativamente più rappresentativi, criterio poi utilizzato pure per individuare i sindacati legittimati a svolgere attività anche al di fuori  da quella negoziale), alla regolazione della rappresentatività sindacale negli accordi interconfederali, alla regolazione  della rappresentatività  datoriale ai fini della contrattazione collettiva, alla regolazione legale e convenzionale della rappresentanza sindacale aziendale.

Se ci limitiamo ai dibattiti ufficiali promossi dall’AIDLaSS, è almeno dal Convegno di Macerata del 1989 che si discute, con coloriture diverse a seconda del quadro di relazioni sindacali, sull’opportunità di un intervento legislativo per la verifica della rappresentatività sindacale, con tanto di progetti di legge destinati a restituire razionalità, pur nel mantenimento degli spazi di libertà, al nostro diritto sindacale.

A me pare che, se non vogliamo adagiarci in una visione illuministica senza concretezza o sovrastata da differenti visioni ideali o anche ideologiche – che poi hanno prodotto lo stallo di tutte le proposte di intervento legislativo, massimaliste o minimaliste che fossero – è doveroso affrontare con pazienza l’analisi di come si sta componendo ad opera di svariati attori ( Corte costituzionale, giurisprudenza  ordinaria,  parti sociali, legislatore storico) il quadro regolatorio delle relazioni industriali al fine di comprenderne, ammesso che siano ritracciabili, le linee di tendenza, forse pervenendo, in tal modo,  a più condivise conclusioni.

È chiaro che prioritaria rispetto alla ricostruzione del quadro normativo è quella del quadro fattuale delle relazioni sindacali. Ma non è certo possibile farlo qua, anche per ragioni di spazio. Tuttavia supplisce ottimamente allo scopo la stessa sentenza della Corte cost. n. 156/2025 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 19, primo comma, St. lav., nella parte in cui non prevede che rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite “ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva anche nell’ambito delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

È una sentenza di non facile decifrazione, non solo per quello che dice (in particolare per il rinvio al concetto di sindacato comparativamente più rappresentativo), ma anche per quello che non dice o, meglio, per quello che prefigura in modo non tanto implicito, quando parla di un criterio – quello, appunto, di sindacato comparativamente più rappresentativo – individuato solo “in funzione interinale rispetto ad una futura rivisitazione legislativa”.

Ci sono due passaggi della sentenza della Corte che meritano di essere ricordati: “il parametro della rappresentatività comparativa, per il carattere selettivo che lo qualifica e per la base nazionale del perimetro, potrebbe risultare restrittivo, specie per un istituto, quale la RSA, che vive in una dimensione tipicamente aziendale”  (8.2); ed ancora: “ compete al legislatore un’organica riscrittura della disposizione censurata, affinchè essa, dopo essere stata profondamente incisa dall’esito referendario e successivamente emendata da questa Corte, venga a delineare un assetto normativo capace di valorizzare l’effettiva rappresentatività in azienda quale criterio di accesso alla tutela promozionale delle organizzazioni dei lavoratori” (8.3).

È un totale cambio di prospettiva, in verità già innescato dal referendum abrogativo della lettera a) e di parte della lettera b) dell’art. 19 St. lav., che Corte cost. n.231/2013 aveva contenuto e che ora viene chiaramente esplicitato dalla nuova decisione: occorre valorizzare l’effettiva rappresentatività in azienda quale criterio di accesso alla tutela promozionale delle organizzazioni dei lavoratori.

Un’ottica totalmente diversa – lo ricordo a me stessa – rispetto a quella della legislazione promozionale anni ’70 che era volta a sostenere il radicamento nelle unità produttive delle associazioni sindacali nazionali (in primis, confederali), nella fiducia che il loro rafforzamento avrebbe, a sua volta, rafforzato il sistema autonomo di contrattazione collettiva.

Ora, certo in un diverso contesto sindacale, la Corte costituzionale dà un’indicazione “legiferante” forte: occorre valutare la rappresentatività a livello aziendale.

Ebbene, come questa indicazione possa essere declinata è tutto da vedere. Tuttavia, poiché la regolazione della rappresentanza sindacale aziendale non è avulsa dalla regolazione complessiva del sistema di relazioni sindacali, la pronuncia della Corte mette alla prova un po’ tutti: da quelli che hanno sempre predicato l’anomia del sistema sindacale a quelli che si sono cimentati in progetti più o meno ampi di regolazione legislativa, costringendoci a valutarli finalmente nel merito.

Mariella Magnani

Professoressa emerita di Diritto del lavoro dell’Università di Pavia