Consulenti del Lavoro: il protocollo siglato a Milano per l’asseverazione

Il 25 luglio 2014 è stato siglato un importante protocollo in tema di esternalizzazioni produttive fra la Direzione Territoriale del Lavoro di Milano e l’Ordine Provinciale dei Consulenti del Lavoro (per l’Ordine di Milano quella sulle esternalizzazioni è un’attenzione “che viene da lontano”: anche attraverso l’attività del proprio Centro Studi e Ricerche – unificato con AnclUp di Milano – l’Ordine ha dato vita a numerose ed importanti iniziative sul tema; basti ricordare, negli ultimi anni: un Convegno di Studio e confronto sull’Appalto nel settembre 2011, un intervento con proposte normative ed operative al Festival del Lavoro di Brescia del 2012, un e-Book sull’appalto, una commissione unitaria con la DTL per la certificazione specifica dei contratti di appalto, e recentissimamente, di concerto con i colleghi lombardi, la formulazione di concrete proposte di modifica normativa presentate al Convegno Regionale del 19 maggio 2014).

 

Le esternalizzazioni produttive – ovvero le attività di terziarizzazione e committenza di opere e servizi (che si realizzano normalmente tramite un contratto di appalto, ma che possono presentarsi anche sotto forme contrattuali differenti) e ancora le attività di utilizzo di forza lavoro non propria (come il distacco e la somministrazione di lavoro) – sono ormai il cuore dell’attività economica, che vi ricorre per molteplici ragioni legittime (specializzazione, divisione del lavoro, reperimento di personale, etc.).

Riconoscendo al fenomeno in argomento “particolare rilevanza”, le Parti sottoscriventi si sono confrontate sulla possibilità di individuare buone prassi in grado di contribuire allo sviluppo delle fattispecie di esternalizzazione garantendone, per quanto possibile, la serietà e conferendo certezze agli operatori.

Come si vedrà, le buone prassi non si sono limitate ad individuare procedure di asseverazione ma hanno stilato un protocollo comportamentale per il contrasto di esternalizzazioni non corrette.

 

La parola asseverazione deriva la propria radice etimologica dal latino severus, che significa serio, austero e rigoroso.

Asseverare significa pertanto “affermare con serietà e sicurezza“ (per un approfondimento del concetto di asseverazione sia concesso il rimando a: A. Asnaghi, P. Rausei, Asseverazione: peculiarità e funzioni, in Dir. Prat. Lavoro, n. 32/2011, pagg. 1845 e segg.).

La serietà e sicurezza sono assicurate , nel caso in questione, da due diversi aspetti:

– dalla personalità del soggetto asseveratore, ovvero – in questo caso – dalle competenze e dalla caratura deontologica del consulente del lavoro, che il protocollo riconosce come “fondamentale punto di riferimento del mondo del lavoro” dotato di una “posizione professionale di garanzia”;

– dalla meticolosità dell’azione di analisi ed accertamento sulla fattispecie asseverata, che il protocollo si preoccupa di individuare arrivando anche a proporre, come vedremo, due diversi modelli di asseverazione.

 

L’asseverazione è oggi utilizzata in vario modo nel campo fiscale, ove tuttavia, spesso si occupa di un campo di osservazione così vasto ed eterogeneo da rappresentare un’area di rischio troppo elevata per il professionista asseveratore (a meno di controlli che la renderebbero di fatto impraticabile per onerosità), mentre a parere di chi scrive, uno dei principali aspetti di successo di una (qualsiasi) pratica di asseverazione consiste nella sua possibilità, ovvero nell’individuazione di un raggio di azione ben specifico e delimitato, in grado di rendere possibile ed esercitabile, ma anche conveniente sotto un profilo squisitamente operativo, l’azione di riscontro.

Peraltro, proprio una forma di asseverazione nel campo di cui stiamo trattando, quello della responsabilità solidale negli appalti, era stata inizialmente prevista dall’art. 35 c. 30 (poi abrogato) del D.L. n. 223/2006 (conv. in legge n. 248/2006), ed è tuttora in vigore, nella parte residuale della norma fiscale non abrogata, ovvero il solo comma 28 dell’art. 35, per quanto riguarda le ritenute fiscali.

 

A parere di chi scrive è proprio nella cifra deontologica professionale che si radica il principio stesso di asseverazione, che pertanto non può che essere affidata ad un soggetto che sia sottoposto, anche con puntuali responsabilità disciplinari e personali, ad un preciso codice di comportamento garantito per legge (il regolamento deontologico, appunto). Ed è proprio questa caratteristica, la deontologia, più che una generica terzietà (a meno che non si usi il termine terzietà in senso lato ed omnicomprensivo) che risulta a livello sociale, ed in via normativa, sinonimo di garanzia. Pertanto – sempre ad idea dello scrivente – non sarebbe altrettanto valevole e garantita una asseverazione che fosse affidata ad un organismo (ad esempio, la commissione di un ente bilaterale) che pur “terzo” in quanto di composizione paritetica, non avesse altra garanzia (di funzionamento, di competenza e finanche economica) che quella autoattribuitasi dalle proprie componenti.

 

Mette conto, prima di proseguire nella esposizione del protocollo, un breve punto sul meccanismo della responsabilità solidale nelle esternalizzazioni che promana anzitutto da alcune fonti normative ed in particolare, per quanto riguarda l’appalto dall’art. 29 della L. Biagi (per la parte lavoristica) , dalla citata L. 223/06 (per la parte fiscale) e dall’art. 1676 del Codice Civile.

Rimandando per un’analisi dettagliata della fattispecie e delle specificazioni intervenute da norme successive e prassi, a un precedente contributo( A. Asnaghi, La responsabilità solidale negli appalti fra Decreto Lavoro e Decreto del fare, in La Circolare di Lavoro e Previdenza, n. 35/2013, pagg. 8 e segg.), il complesso di norme è riassumibile nel seguente schema:

 

 Oggetto della solidarietà  Ciclo/soggettidella solidarietà  Decadenzae limiti

dell’azione

 Asv*  Esc. **  Tipo ***Committente

(No appalti pubblici)

 Norma 
Lavoro
RetribuzioniTfrContributi

Premi assicurativi

 

Su dipendenti e lavoratori autonomi

(co.pro. /co.co.)

impiegati nell’appalto

CommittenteAppaltatore

Subappaltatori

Due anni dalla cessazione di appalto o subappalto.Illimitata NO 

(SoloCcnl)

***

SI Imprenditore o datore di lavoroTranne persona fisica non imprenditore D lgs 276/03Art. 29 c. 2
Retribuzioni(Tfr- ContributiPremi assicurativi ?) CommittenteAppaltatore

Subappaltatori

5 anniNei limiti di quanto non ancora corrisposto NO  NO Tutti(anche privati e appalti pubblici) Cod. Civ.Art. 1676
Fisco
Ritenute irpef(relative all’ appalto)

 

Solo lavoro dipendente

AppaltatoreSubappaltatori

 

*****

Prescriz.Ordinaria(5 anni)

Nei limiti del valore dell’appalto

SI**** NO Imprenditore o datore di lavoro*****NO per :

appalti pubblici, soggetti privati, condominio

 

  1. 248/06

Art. 35 c. 28

note: *      Asv: = Possibilità di asseverazione**     Esc= Escussione obbligatoria dell’obbligato principale***    Solo Ccnl = controlli da individuare dalla contrattazione collettiva, che però può intervenire solo su retribuzioni

****   Possibile dich. sostitutiva di appaltatore e subappaltatore

*****  Committente sanzionato se non effettua i controlli sull’appaltatore

Per amore della precisione, occorre anche precisare che per quanto riguarda le ritenute fiscali, è stata annunciata nel Decreto Semplificazione (DdL sulle semplificazioni fiscali) una revisione della norma che porterebbe alla definitiva abolizione della responsabilità solidale fiscale (probabilmente sostituita da un obbligo di verifica, il che farebbe risaltare ancor di più, peraltro, l’importanza di prassi serie e certificate di controllo).

 

Anche per quanto riguarda la somministrazione, l’art. 23 comma 3 del D. Lgs. 276/03 prevede una responsabilità in solido fra utilizzatore e somministratore per “i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali”. Una norma di tal genere non vi è invece nella casistica del distacco, anche se in proposito vi sono progetti di legge (il c.d. “Codice Semplificato del Lavoro”) di ampio accreditamento rispetto ai lavori del Jobs Act che ne prevedono l’istituzione anche per tale fattispecie.

Infine, anche se non prevista da alcuna legge, nei contratti di affidamento o di associazione (Ati, imprese consortili etc) in genere il contratto fra le parti prevede una manleva dell’azienda capocommessa o mandataria per tutti gli adempimenti relativi al personale delle imprese sottoposte.

Contrattuale o legale che sia la genesi della responsabilità solidale, si tratta, in buona sostanza, di un onere diffuso e di tutto rilievo, e non sempre ben posto all’attenzione degli operatori economici, dai quali spesso ci si sente rispondere frasi tipo: “Io ho già saldato la fattura (dell’appaltatore), quindi sono a posto” oppure “Ma questi sono debiti dell’esecutore, io cosa c’entro ?”. L’impegno e la difficoltà del controllo è peraltro spesso di grande rilievo. Per tali motivi i riscontri nella catena dell’esternalizzazione non sono fatti o sono particolarmente carenti, limitandosi talvolta alla mera richiesta del DURC (che, è bene dirlo con chiarezza, non fornisce alcuna garanzia in merito) o poco più.

 

Chi scrive, peraltro, ritiene – così come evidenzia anche il Protocollo qui in commento – che nell’ambito delle esternalizzazioni la responsabilità solidale abbia e debba mantenere una “centralità strategica” nel (tentare di) assicurare che nella successione dei lavori affidati (dal committente sino all’ultimo subappaltatore o esecutore) non vi sia una significativa perdita di tutele, di diritti e di conseguenti oneri in campo lavoristico.

 

Passando ai contenuti, il Protocollo individua, predisponendo al riguardo anche due distinti modelli (adattabili dal consulente asseveratore alle eventuali fattispecie considerate, ma non “liberamente” bensì rispettando comunque l’indicazione di tutti i dati essenziali previsti dal modello) , una «verifica certificata (…), individuata per nominativo di lavoratore e per periodo di paga, degli adempimenti e dei versamenti relativi al personale impiegato in un determinato appalto» (da intendersi nel senso ampio di attività esternalizzata).

 

Uno sguardo a tali modelli fa immediatamente comprendere che i dati che il consulente deve “fotografare” ed asseverare sono assolutamente alla portata del professionista che elabora le retribuzioni aziendali:

– il lavoratore viene identificato attraverso nome e codice fiscale, e viene chiesta l’indicazione della qualifica e delle ore dallo stesso lavorate nel mese; il dato è desumibile da LUL, ed in particolare l’indicazione puntuale di questi dati ha il duplice scopo di riparare il consulente da impossibili asseverazioni “tombali” e di consentire al committente di rendersi conto (responsabilizzandosi) del contenuto dell’asseverazione. Ad es. la mancanza di un nominativo fra i lavoratori esposti rispetto a quelli impiegati nell’appalto oppure un numero particolarmente esiguo di ore rispetto a quelle esercitate nella lavorazione effettiva dovranno mettere sull’allarme il committente, mentre in tali casi nessuna responsabilità avrà il consulente che abbia fedelmente riportato i dati contenuti nel LUL;

– vanno poi verificati i trattamenti retributivi ed i relativi pagamenti al personale;

– infine vanno verificati i pagamenti agli enti previdenziali ed al fisco ed i connessi adempimenti.

La verifica dei pagamenti può essere effettuata anche senza provvedere materialmente agli stessi (peraltro qualche professionista lo fa) ma semplicemente effettuando gli opportuni riscontri nella documentazione aziendale.

 

Vi è anche un modello, intuitivamente utilizzabile solo nella fase iniziale del contratto, in cui il consulente assicura la regolarità dell’inquadramento del personale (ovvero la comunicazione preventiva di assunzione e l’esistenza e correttezza delle posizioni assicurative ).

Va subito chiarito che l’asseverazione conseguente al Protocollo non libera il committente dalla responsabilità solidale, né d’altra parte avrebbe il potere di farlo, ma rappresenta e verrà considerata da tutto il personale ispettivo quale «importante indice di genuinità e regolarità dell’appalto», impegnando inoltre gli organismi di vigilanza a «non procedere con atti per responsabilità solidale nei confronti del committente (…) se non in caso di comprovate irregolarità o divergenze rispetto al contenuto dell’asseverazione, dandone immediata nozione (…) al professionista asseveratore ed al committente».

 

Si configura pertanto un meccanismo di azione non particolarmente dissimile (a parere di chi scrive) da quello della certificazione del contratto, tale per cui non solo l’asseverazione rappresenta una forma di garanzia (che idealmente si “sposerebbe” con la certificazione preliminare del contratto di appalto) sull’esame e la qualità dell’appalto, ma l’azione di controllo e vigilanza deve tenere conto e rispettare proceduralmente (pur senza che venga inibita, ci mancherebbe, ogni possibilità di controllo) la volontà delle parti di sottoporre e far sottoporre a controllo “asseverato” il proprio operato.

 

Ma, sotto un profilo eminentemente operativo, il risultato forse più vistoso dell’asseverazione qui in commento è la gigantesca semplificazione e razionalizzazione procedurale e documentale conseguente ai controlli sull’appalto.

Questi controlli, infatti, sono tutt’altro che facili ed immediati e dai molteplici risvolti e non sono allo stato attuale per nulla disciplinati, risolvendosi perlopiù (e già è un passo avanti, poiché nemmeno sempre accade) in accordi contrattuali fra le parti.

In ogni caso le tendenze sono opposte: il committente accorto – esposto alla solidarietà – può essere indotto a richiedere una quantità di documenti con un controllo che può diventare particolarmente intrusivo, generando la resistenza dell’appaltatore; si creano problemi di privacy (ad esempio con la lettura delle buste-paga) e di riservatezza di dati critici (una troppo ampia trasparenza elimina quella alterità contrattuale fra esecutore e committente alla base di un sano e genuino appalto).

Ma per poter essere certo del corretto adempimento di ogni onere, il committente dovrebbe anche entrare nel merito di scelte gestionali non facili da chiarire e, soprattutto, dovrebbe avere la piena visibilità di tutto il personale impiegato dal committente, indipendentemente dall’appalto.

Qualche esempio può chiarire meglio questo aspetto.

 

Se devo controllare il corretto versamento contributivo di un’azienda appaltatrice, poniamo una impresa di pulizia, una volta osservati i listini delle due o tre persone che eseguono i servizi presso la mia azienda, come posso essere certo che il versamento (f24) che mi viene presentato sia corretto e satisfattivo? Per esserlo dovrei ripercorrere la formazione di quell’importo riprendendo tutto il personale dell’appaltatore, in pratica dovrei rifare in proprio i conteggi delle paghe e dei contributi del mese (!), magari riguardanti decine di persone.

Se tale impresa avesse trattamenti retributivi particolari (magari scaturenti da una contrattazione di secondo livello o da un particolare assetto societario, come le cooperative) per potermi accertare della regolarità di tali trattamenti dovrei ingerirmi in scelte aziendali anche complesse, e comprenderle.

 

Se tale impresa, ancora, fosse soggetta a sgravi particolari, avesse un inquadramento previdenziale o contrattuale derivante da una propria (legittima) situazione particolare, ancora una volta sarei chiamato a comprendere tali meccanismi.

In una parola: il consulente del committente in una fase di controllo che si pretendesse efficace dovrebbe … (ri)fare il lavoro del consulente dell’appaltatore, condividendo le scelte di quest’ultimo (partendo, oltretutto, da una prospettiva tendenzialmente divergente).

A chi scrive sembra invece che la contezza dei dati sopra esaminati (a parte la verifica del pagamento materiale, comunque di solito ottenibile con una certa facilità) sia quanto è chiesto normalmente al consulente del lavoro di verificare ed applicare nella quotidiana attività e pertanto. se l’azienda assistita rispetta tali indicazioni, possa essere attestato per il proprio cliente con relativa facilità.

 

Peraltro il consulente può tranquillamente asseverare anche quanto elaborato da terzi e poi sottoposto alla sua sola verifica; in tal modo si perderebbe soltanto la caratteristica di immediatezza operativa ma resterebbe del tutto valida la portata qualificatoria ed il significato dell’asseverazione (pertanto l’asseverazione potrebbe, oltre che essere offerta dall’esecutore, anche eseguita su incarico del committente).

Senza contare che la mole di documentazione voluminosa e non facilmente intelligibile (tanto che alcuni soggetti la richiedono ma poi non la controllano o lo fanno superficialmente) nel caso di asseverazione sarebbe sostituita da un unico e chiaro documento, che con pochi dati permetterebbe di avere una sufficiente intelligibilità del flusso relativo al personale occupato e della certezza degli adempimenti relativi.

 

Una domanda potrebbe sorgere spontanea: ma come opporre al committente “resistente” una validità legale all’asseverazione (al fine di farla accettare al posto di altra documentazione) ? In fondo anche in passato può essere capitato ai consulenti o ad altri professionisti di rilasciare asseverazioni in merito , più o meno similmente, con procedura del tutto volontaria ed autopredisposta. Il valore di questo Protocollo, ad avviso di chi scrive, sta proprio in questo: pur rimanendo nell’ambito delle operazioni volontarie, l’asseverazione oggi è legittimata da un riconoscimento autorevole, che ne investe sia il profilo soggettivo che quello oggettivo, e da una cornice di garanzia: ciò cambia radicalmente lo spessore e il prestigio dell’attestazione, che pertanto potrà convenientemente essere accettata ed apprezzata dal committente in tutto il suo valore, addirittura maggiore della copia di documentazione.

Proprio per questo, appare chiaro che il termine “asseverazione” per il consulente milanese potrà da oggi essere riservato (a meno, ovviamente, di altre prerogative individuate in merito dalla legge o a livelli superiori) solo alla procedura ed al soggetto conformi a quanto previsto da protocollo e regolamento attuativo e non a pratiche similari prodotte “in autonomia” fuori dalle regole protocollari.

 

Un ulteriore quesito potrebbe essere quello riguardante la validità territoriale dell’asseverazione: essa, allo stato attuale, è stata protocollata solo da organismi dell’area milanese: se quindi, sotto un profilo squisitamente oggettivo, essa sembrerebbe applicarsi solo a quelle esternalizzazioni produttive che si esplicano entro tale territorio, ad avviso di chi scrive potrebbe altrettanto validamente essere ritenuta efficace una procedura asseverativa anche “extraterritoriale” che provenisse da un soggetto accreditato (un consulente del lavoro milanese autorizzato) e pertanto comunque fonte di garanzia per il terzo. Peraltro, tale buona prassi non è dai consulenti milanesi “custodita come tesoro riservato” ma, attivata in via sperimentale, viene immediatamente proposta al libero apprezzamento nella speranza che possa essere accolta e condivisa sul territorio da chiunque ne riconosca il valore.

 

Il 17 settembre 2014, il Consiglio Provinciale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Milano ha approvato il regolamento attuativo del Protocollo, demandato alla sua competenza, regolamento che si caratterizza per la particolare snellezza ed immediatezza operativa.

Il consulente, iscritto al predetto Ordine Provinciale, che vorrà accreditarsi dovrà indirizzare all’Ordine di Milano una semplice comunicazione in cui, dichiarando la propria volontà ad iniziare attività di asseverazione, si impegna a rispettare i contenuti di protocollo e regolamento.

Gli oneri che in particolare vanno evidenziati ( ma sono molto chiaramente elencati del regolamento) sono:

– accertarsi che sia coperta assicurativamente (a ulteriore garanzia del proprio operato) l’attività di asseverazione;

– essere in regola con la formazione continua e partecipare (nell’ambito di detta formazione e con le medesime regole) ad almeno ogni biennio ad 8 ore di formazione specifica riguardante i temi dell’appalto, della esternalizzazione, della asseverazione e della certificazione, attestando anche questa formazione speciale nella comunicazione biennale;

– accertarsi precisamente dei contenuti di quanto asseverato, riportando nella asseverazione tutti i dati previsti dai modelli predisposti dal protocollo;

– astenersi dalla asseverazione qualora, dagli elementi esaminati, sorgessero elementi dubbi o ambigui rispetto alla regolarità dell’appalto, dei trattamenti retributivi o degli assoggettamenti fisco-previdenziali;

– raccogliere ordinatamente le asseverazioni e conservarle per 5 anni, collaborando con Ordine ed Enti ad eventuali accertamenti in caso di verifica sulle asseverazioni effettuate.

Come si vede, accanto ad un’organizzazione lineare e molto semplice, si è dato particolare rilievo all’aspetto non formale ma sostanziale dell’asseverazione ed in particolare a quegli elementi che possono rendere la garanzia e l’affidabilità non solo della singola asseverazione ma della serietà dei processi e dei soggetti coinvolti (in due parole: poca burocrazia e tanta efficacia).

A riprova di ciò, con la predetta comunicazione all’Ordine e nel rispetto di quanto previsto nel Protocollo, la pratica dell’asseverazione sarebbe immediatamente operativa, anche da oggi, per ciascun consulente di Milano.

 

Come il lettore ricorderà, il 15 gennaio 2014 è stato siglato fra L’Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro e il Ministero del Lavoro un importante protocollo sulla c.d. Asse.Co. (asseverazione contrattuale). Ogni utile riferimento sull’Asse.Co. potrà essere rinvenuto sul sito ufficiale dei Consulenti del Lavoro (http://www.consulentidellavoro.it); si consiglia anche la lettura del commento di P. Stern, Il sistema di asseverazione dei Consulenti del lavoro: Asse. Co., consultabile su www.bollettinoadapt.it.

 

Può essere legittima la domanda su quali rapporti vi siano fra le due asseverazioni e perché, partendo dal territorio milanese, è stata avvertita la necessità di stipulare un ulteriore e diverso protocollo.

Sicuramente i due protocolli si muovono con il medesimo presupposto, quello di una collaborazione fattiva, attraverso l’istituzione di “best practice”,  alla regolarità del mercato del lavoro da parte di un ordine professionale (i Consulenti del Lavoro) a cui viene riconosciuta centralità, autorevolezza, competenza ed affidabilità.

 

Insieme a diverse similitudini e convergenze fra i due protocolli, la differenza principale che emerge è che, a differenza del Protocollo in commento, l’Asse.Co. è un procedura di certificazione a vasto raggio, riguardante in genere tutta l’attività lavoristica di un’azienda e ideata sulla base e con i presupposti di una certificazione di qualità ISO; uno sguardo quindi sull’intera azienda sotto il profilo lavoristico, senz’altro nobile e di elevatissimo valore aggiunto, ma che tuttavia proprio per tale motivo appare a prima vista di più difficile realizzazione e tendenzialmente meno utilizzabile nell’immediato o in realtà di piccolo o piccolissimo calibro.

 

Per dirla in altri termini, limitandosi all’intento di risolvere una determinata esigenza pratica e contingente (cioè la certificazione degli adempimenti significativi ai fini della valutazione della responsabilità solidale nella esternalizzazione) l’ asseverazione del protocollo “milanese”, più contenuta e circoscritta nel proprio ambito, non risulta tuttavia necessariamente meno pregnante, anzi, proprio per la specialità del proprio contenuto, può considerarsi particolarmente focalizzata e mirata.

 

Inoltre, proprio nell’ottica di certificare ma al tempo stesso corresponsabilizzare il committente e la catena dell’appalto, essa – oltre ad essere prevista con cadenza mensile – non consiste nella apposizione di un “bollino di qualità” (per quanto importante ed autorevole) il cui contenuto resta tuttavia “cieco” al ricevente ed ai terzi, ma esplicita e riporta con chiarezza tutti gli elementi posti alla base dell’asseverazione. Anche la cadenza mensile, peraltro, risulta molto utile ed efficace per le quotidiane operazioni di controllo della esternalizzazione.

Nessuna competizione, pertanto, fra le due prassi (nemmeno ipoteticamente) ed anzi una possibile utile integrazione (in caso di coesistenza, quando Asse.Co. sarà a regime) in un sistema in cui la più “piccola” rappresenterebbe un utilissimo “zoom” rispetto alla più estesa.

 

Vi è, infine, un punto di particolare interesse nel protocollo milanese, laddove è previsto (precisamente, al punto 5) l’impegno (tutt’altro che formale) del Consiglio provinciale milanese ad intraprendere azioni disciplinari verso propri iscritti che non solo utilizzino in modo scorretto o improprio la pratica dell’asseverazione ma che «palesemente organizzino attività (o comunque vi concorrano) volte ad eludere la regolarità degli appalti e delle esternalizzazioni, con la messa in atto di veri e propri sistemi (…) a vario titolo interpositori o fraudolenti».

 

Qui un ordine professionale (peraltro sintetizzando in pieno alcuni principi del proprio codice deontologico, fra cui la “probità”) si mette in gioco radicalmente, vigilando ed essendo disponibile ad intervenire, sulla regolarità e legalità dell’operato dei propri iscritti, intercettando con decisione eventuali comportamenti devianti.

 

Non bisogno avere chissà quale esperienza per osservare come nel mondo delle esternalizzazioni spesso si assiste ad una pesante “emorragia di legalità” a vario titolo e sotto molteplici aspetti; il fenomeno è stato ancor di più acuito con la presente profonda crisi economica e spesso è caratterizzato da sistemi di elusione “scientifica” costruiti ed elaborati con competenze ben definite.

I consulenti del lavoro, in questo specifico caso nella realtà milanese ma sicuramente è da ritenersi caratteristica condivisa da tutta la categoria, non vogliono far finta di non vedere, ma vogliono collaborare in pieno (come squisitamente proprio di un autentico esercizio professionale ordinistico) ad una cultura di affermazione della legalità, senza la quale non solo si perdono diritti e tutele, ma si distrugge il tessuto produttivo più sano e a discapito di esso sorge l’affermazione di un’economia malata e deviante.

 

Senza alcuna enfasi, vorrei prendere a prestito, per chiudere, il lucido commento di un collega che spesso compare su queste pagine, Alessandro Rapisarda, che nel proprio blog personale ha scritto a proposito e in occasione di questo protocollo alcuni concetti davvero illuminati, fra cui questo: “Emerge una categoria che dimostra come la professione sia uno strumento di funzione e crescita sociale, prendendosi anche delle responsabilità. Questo protocollo racconta di professionisti che credono che ogni giorno il proprio lavoro si evolve, facendo, sbagliando ma sempre con la volontà di crescere”.

 

 

Andrea Asnaghi

ADAPT Professional Fellow

 

* Pubblicato anche in La Circolare di Lavoro e Previdenza n. 39/2014 del 10 ottobre 2014, e qui riportato con modifiche formali dettate da esigenze redazionali.

 

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