Comunicazione. Le relazioni industriali non sono più quelle di una volta

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Bollettino ADAPT 30 novembre 2020, n. 44

 

Di fronte alla ricca comunicazione pubblica che in questi giorni riveste i vari rinnovi contrattuali in corso (dai multiservizi alla metalmeccanica, passando per i farmacisti e i lavoratori del pubblico impiego) vale la pena guardare alle reazioni sollevate pochi giorni fa dalla scelta del segretario della UIL Pierpaolo Bombardieri di trasmettere in diretta Facebook la videoconferenza Governo-Sindacati di lunedì 16 novembre sulla manovra di bilancio non come ad un curioso ed isolato episodio. Che fosse stato «un gesto di garbata polemica» lo aveva ammesso lo stesso segretario della UIL. Ed è indubbio che, come si è letto su Il Foglio, gli effetti sul rapporto del leader della Uil con il Presidente del Consiglio non ne gioveranno. Nel caso in questione, quale credibilità e quale fiducia si può costruire tra due interlocutori che, a detta di Conte, ancora si conoscono poco, quando si violano palesemente i protocolli non scritti, ma da sempre venerati, delle relazioni industriali e della concertazione tra cui la sacra regola del riserbo? E quale serenità di discutere liberamente nel merito delle questioni senza il timore di incappare in qualche affermazione impopolare quando si è in diretta sui social? D’altronde erano sempre stati questi i dubbi sullo streaming dei detrattori della trasparenza ad ogni costo.

 

E tuttavia, da analisti delle relazioni industriali e della comunicazione pubblica, ci pare un errore di interpretazione degradare la mossa di Bombardieri al mero dilettantismo. La baruffa andata in onda, a ben vedere, era un segnale importante di tendenze da tempo in atto, almeno dalla stagione della disintermediazione sindacale inaugurata da Matteo Renzi. Molto più di una semplice spia del mutamento complessivo del rapporto tra le dinamiche della produzione normativa e quelle della produzione del consenso. A chi osserva il metodo seguito dal Governo Conte II per gestire la normativa d’urgenza volta a mitigare gli effetti della emergenza sanitaria non può sfuggire che in rari casi, e forse solo in quello del protocollo anti-contagio che ha consentito in pieno lockdown la prosecuzione delle attività e dei servizi essenziali, ci sia stato un confronto lineare con le parti sociali.

 

Il punto attorno a cui ruota la riflessione che l’episodio di lunedì 16 novembre innesca è quindi cosa sia oggi il dialogo tra Governo e parti sociali, dando per scontato che di concertazione nessuno apertamente parla. Quello a cui si assiste è piuttosto un mirato cortocircuito istituzionale e comunicativo tra le anticipazioni mediatiche delle misure e la loro taratura in base alle reazioni non dei corpi intermedi quanto e soprattutto dei diretti interessati, nel nostro caso i singoli lavoratori e le imprese. Con una marginalizzazione di fatto del sindacato a cui comunque non si nega un rito formale per poter dire di esserci stati.

 

È in sostanza proprio questo il nodo posto da Bombardieri (e dagli altri leader sindacali che si erano espressi nella stessa direzione, pur senza guadagnarsi i riflettori). Che valore assume cioè la fiducia tra le parti se il confronto riguarda, come nel caso della manovra di bilancio, misure già messe a punto e comunicate dai politici sui social media? Senza che si giunga alla scrittura concertata delle norme, se le parti interessate non vengono ascoltate per raccogliere le loro proposte, bensì per verificare la costruzione del consenso in un processo dove il primo a violare la regola della riservatezza è il Governo, è allora inevitabile che il confronto si sposti sul piano della comunicazione politico-sindacale.

 

Il consenso si costruisce allora ex ante con elettori e cittadini e non, come accadeva nella tradizione delle relazioni industriali, per il tramite di un interlocutore che deteneva il monopolio dei canali di comunicazione diretta con la base. E Pierpaolo Bombardieri, che immaginiamo si sappia difendere da solo, sul piano della mera analisi delle tecniche della comunicazione e costruzione del consenso, questo pare averlo ben capito rivendicando il diritto a trasmettere in diretta streaming un confronto che si svolgeva sì formalmente a porte chiuse, ma, nella sostanza, nei soli termini di un vuoto rituale tra protagonisti (il Governo) e comprimari (i sindacati), a giochi già fatti, con le misure già belle comunicate alla opinione pubblica e ai media.

 

Il fatto che poi il Governo tenga questi confronti per rifinire i provvedimenti in base all’esito del gioco di forza comunicativa non significa che ci sia confronto nel merito, ma piuttosto sul merito. Un ascolto volto cioè a individuare i capitoli più rischiosi o più promettenti in termini di consenso. Beninteso, la mossa di Bombardieri si inserisce nella strategia muscolare della sua organizzazione, che risulta oggi la più intransigente all’esito dell’asse tra M5S e Cgil. Ma ciò non toglie che in queste dinamiche agire d’anticipo con le leve della comunicazione stia diventando sempre più una regola del gioco e non un atto di improvvisazione di chi non ha capito le nuove strategie della costruzione del consenso.

 

Francesco Nespoli

Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Franznespoli

 

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