Politically (in)correct – I nuovi lavori non possono avere vecchi diritti

Da sempre nelle città sedi di Università una delle attività economiche più diffuse è quella di affittare stanze o appartamenti agli studenti. Spesso il canone viene corrisposto in nero, ma nessuno si è mai preso la briga di contrastare seriamente questo fenomeno. Per non parlare dei locali messi a disposizione degli immigrati. In termini più o meno analoghi, intorno alle più importanti stazioni ferroviarie e agli aeroporti operano dei “taxisti” abusivi che approfittano della fretta o della dabbenaggine dei passeggeri. Si tratta di situazioni che, di fatto, vengono tollerate perché in fondo i danni economici provocati a quanti, in quelle attività, si comportano correttamente, finiscono per essere marginali. È tutto un altro paio di maniche quando queste iniziative si organizzano e diventano un’alternativa fondata (si parla di on demand economy) su di una pratica destrutturazione di figure professionali o di imprese “tradizionali”, vincolate al rispetto di precise norme di legge. È il caso di Uber per esempio, una piattaforma a dimensione internazionale che consente a normali persone in possesso di un’auto e di una patente di fornire un servizio di trasporto a pagamento.

 

I conduttori non se ne stanno nascosti al riparo delle colonne, bisbigliando la loro offerta come i vecchi abusivi. Il loro servizio viaggia in rete con tariffe a loro modo trasparenti. Da ultimo Federalberghi ha pubblicato i dati di un monitoraggio condotto su di un altro fenomeno, anche esso vecchio come il cucco, ma che e’ diventato un business di dimensione mondiale: la messa a disposizione del proprio appartamento ai turisti. Non si tratta più del classico scambio tra famiglie che decidono di visitare l’una il Paese dell’altra, ma di una attività a fini di lucro nel campo dei servizi, senza doversi porre il problema di retribuire ed assicurare il personale, di garantire standard di igiene e sicurezza e…. di pagare, magari, le tasse. Si chiama Airbnb il portale multinazionale dell’alloggio facile preso di mira dalle denunce preoccupate di Federalberghi. Secondo Federalberghi le strutture extralberghiere censite erano poco meno di 15mila nel 2009, mentre oggi sono quasi 122mila. Il portale Airbnb ad agosto 2016 poneva in vendita oltre 222mila strutture, 100mila in più di quelle extralberghiere “ufficiali”.

 

Tra le città maggiormente interessate al fenomeno, ci sono quelle ad alta concentrazione turistica o di maggiore appeal economico: Roma con 24mila alloggi, Milano con 13mila, Firenze con 7mila, Venezia con 5mila, Napoli con 3mila. Questioni analoghe – lo ha ricordato sul Corriere della Sera, da par suo, Dario Di vico, si pongono con un altro portale, Foodora, che è una riedizione telematica delle varie forme di “Pony express” in voga una trentina di anni or sono. I rider di Foodora stanno svolgendo una protesta per migliorare le retribuzioni ed aver riconosciuti dei diritti. Giustamente. Sarebbe il caso, però, di fare tesoro di precedenti esperienze che, alla fine, si sono tradotte in clamorose sconfitte. Anni or sono veniva condotta una guerra implacabile ai Call Center (i centralini telefonici del XX Secolo). Addirittura a quelle aziende fu imposto – con una soluzione contrattuale basata su criteri discutibili e rinegoziata di recente – di “stabilizzare” una parte del personale. Ora, dopo che molte di queste aziende di servizi sono espatriate ed altre si apprestano a farlo (quelle che sono rimaste – si veda la vertenza Almaviva – non riescono a reggere la concorrenza tanto che si dichiarano costrette a licenziare), ci si rende conto che, anche nel caso dei posti di lavoro, “uno vale uno”. E che la “cattiva occupazione” non esiste (anche quando viene retribuita mediante l’utilizzo regolare dei voucher).

 

Ovviamente non ci sono soluzioni facili per problemi difficili come quelli ricordati. Anzi, l’incapacità di trovare adeguate soluzioni costituisce uno dei motivi dell’impantanamento del disegno di legge sulla concorrenza. Non possiamo cavarcela, pero’, evocando il sacrosanto principio del “competition is competition”. Anche i mercati paralleli devono avere delle regole pertinenti. E rispettarle. Non ci sembra, tuttavia, il caso di ricorrere a proibizioni e a divieti, allo scopo di restaurare un modello di lavoro che a noi sembra “normale” ma che è anch’esso figlio del suo tempo. Quando Giosuè ordinò al sole di fermarsi non conosceva le teorie di Galilei. Le generazioni baby boomers hanno vissuto gli anni difficili del secondo dopoguerra, ma hanno goduto di uno dei più lunghi periodi di pace e di benessere (e di ricchezza diffusa) che la storia recente ricordi. I popoli europei si sono dati ordinamenti democratici ed istituzioni economiche, civili e sociali che hanno garantito diritti mai goduti in precedenza in nessun altra epoca storica.

 

Sarà per questo che siamo vittime di un’allucinazione, di un grave errore di analisi, culturale ancor prima che politica ed economica. Viviamo nella “Grande Illusione” (è il titolo di un celebre libro del pacifista inglese Norman Angell, scritto dopo la Grande Guerra e di un bellissimo film di Jean Renoir) per la quale i settant’anni che stanno alle nostre spalle rappresentano la “normalità’, il modello di esistenza che gli esseri umani meritano di vivere. Dio glielo ha dato guai a chi glielo tocca! Per cui i diritti conquistati, usati ed abusati da un gruppo di generazioni, sono diventati la pietra di paragone della qualità della vita (e del lavoro) anche di quelle future. La realtà è un’altra. I settant’anni di relativa pace e di grande benessere che abbiamo alle spalle sono ormai racchiusi in una parentesi della storia e forse sono irripetibili. Così, si parva licet, gli esercizi pubblici possono vincere la loro battaglia sul livello della qualità dei servizi offerti alla clientela. Gli affittacamere non saranno mai in grado di fare altrettanto.

 

Ma una grande organizzazione capace di mettere a frutto (come ormai avviene in tanti settori) le potenzialità dei portali informatici – in maniera coerente con stili di lavoro e di vita a dimensione transnazionale e con la diffusione della digitalizzazione – produce inevitabilmente effetti destabilizzanti delle strutture preesistenti e del loro modo di operare. Probabilmente sarebbe il caso di cambiare paradigma e domandarsi perché certi processi si determinano e attraversano d’incanto confini, oceani e catene montuose. In sostanza, dove sta il problema? Nel fatto che il portale di Airbnb – al pari di Uber, Foodora e quant’altro – evita di sottoporsi ai vincoli e ai regolamenti a cui devono sottostare le strutture alberghiere o in quello per cui queste ultime ne hanno troppi? O forse è venuto il momento che anche le tradizionali strutture possano sopravvivere grazie a regole “più facili” per quanto riguarda la componente cruciale del lavoro?

 

È questa, in fondo, la visione che sta alla base degli ultimi disegni di legge presentati al Senato, come primo firmatario, dal presidente Maurizio Sacconi. “Al lavoro stabile e per una intera carriera – è scritto nella relazione introduttiva al ddl delega sullo Statuto dei lavori; l’altro è rivolto a semplificare la disciplina sulla sicurezza sul lavoro – si contrappongono, oggi, sempre più frequenti transizioni occupazionali e professionali che richiedono tutele più adeguate e diversificate e un rinnovato protagonismo di liberi e responsabili corpi intermedi come degli stessi lavoratori e imprenditori nel naturale dialogo interno alla singola impresa.

 

I mutamenti del mondo del lavoro implicano l’insorgere di esigenze che spiazzano un sistema di tutele ingessato — perché fatto di molte norme rigide quanto poco adattabili alla mutevole realtà del lavoro — suggerendo l’introduzione di assetti regolatori maggiormente duttili e responsabilizzanti nell’ambito di una cornice di diritti universali”. Ma poi è lo stesso Sacconi a rendersi conto del fatto che, nell’attuale contesto politico e parlamentare, sarebbe illusorio poter condurre ad approvazione questi ddl. Resta, però, aggiunge “la volontà di concorrere con essi ad innovare la cultura regolatoria degli ultimi settanta anni con lo scopo di liberare la vitalità economica e di promuovere il lavoro di qualità”.

 

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 

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