Appunti di viaggio /2. Brescia tra contrattazione nazionale e limiti territoriali al rinnovamento

“Appunti di viaggio” è il diario di un percorso di studi sulla evoluzione del sistema di relazioni industriali nella provincia di Brescia avviato da ADAPT nell’ambito di una collaborazione con FIM-CISL Brescia di cui si è dato atto nell’intervento “A Brescia un nuovo ponte tra ricerca e sindacato” che potete trovare qui.

 

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Sono mesi di mobilitazione quelli dei lavoratori metalmeccanici. Dopo le dodici ore di sciopero svolte tra maggio e giugno, le maggiori sigle sindacali tornano unitariamente a predisporre un pacchetto di quattro ore per il mese di luglio, cui si associa il blocco degli straordinari e delle flessibilità a tempo indeterminato. L’obiettivo è la sottoscrizione del contratto collettivo nazionale.

C’è bisogno di sbloccare la situazione, tanto a livello nazionale quanto a livello decentrato – perché spesso è anche la contrattazione integrativa a risentire dell’impasse della trattativa nazionale – per fornire ai lavoratori metalmeccanici un nuovo quadro regolatorio, che in ragione della delicata congiuntura economica e delle evoluzioni demografiche e tecnologiche in atto, risponda all’urgenza di rilanciare la competitività e qualità delle imprese, conciliando le esigenze di flessibilità aziendali con la formazione e la sicurezza per tutti i lavoratori. Compagine sindacale e datoriale non possono che concordare su questa necessità.

 

A dividerle c’è però il nodo retributivo, che pare offuscare la comunione di interessi per ricondurre la negoziazione sul piano dei rapporti di forza e delle dimostrazioni, in piazza e nelle aziende, della capacità operativa del sindacato. Secondo questa logica, a costringere Federmeccanica alla resa sarebbero le perdite in termini produttivi in capo alle imprese rappresentate, colpite dalle adesioni agli scioperi in questa estate di mobilitazioni.

 

Eppure, poco si comprende delle difficoltà di questa trattativa se la si legge nelle sole dichiarazioni e comunicati stampa. Quello che le fonti ufficiali non riescono a cogliere sono infatti gli umori e malesseri nelle realtà produttive. A Brescia soprattutto, dove emerge bene la questione culturale che sottesa agli ostacoli di questa negoziazione, rischia di vanificare qualsiasi sforzo di rinnovamento.

 

Perché decentrare la struttura salariale spesso non basta a promuovere una retribuzione effettivamente variabile e a conferire slancio alla competitività del settore metalmeccanico, in contesti quali quello bresciano, dove è elevata la conflittualità nelle relazioni sindacali e scarsa l’esigibilità delle regole stabilite a livello nazionale. Se è vero, infatti, che la proposta di Federmeccanica potrebbe incentivare le imprese a contrattare (anche in via unilaterale) i premi di risultato (alla luce del fatto che in caso contrario interverrebbero gli aumenti fissati dal CCNL), nulla potrebbe impedire a talune organizzazioni sindacali di continuare a chiedere maggiorazioni fisse in sede decentrata. In questi casi, sarebbe la sola distribuzione dei poteri a decidere l’esito del negoziato e la contrattazione integrativa potrebbe muoversi in senso contrario alle intenzioni dei negoziatori nazionali e ai recuperi di competitività aziendale.

 

D’altro canto,anche qualora si negoziassero retribuzioni flessibili, il miglioramento dei livelli di performance non sarebbe affatto scontato. Al contrario, nelle realtà produttive del territorio bresciano, ancora imperniatedal paternalismo imprenditoriale ed estranee ad una certa cultura della condivisione, non sempre gli schemi retributivi variabilisi dimostrano efficaci. Talvolta è la competizione insinuatasi tra i lavoratori, altre volte la diffidenza insita tra dipendenti, sindacati e vertici aziendali, in tutti i casi è l’assenza di assetti organizzativi di stampo partecipativo e cooperativo ad impedire che il premio raggiunga i suoi obiettivi.

 

Perché accettare modelli salariali flessibili significa intrinsecamente abbandonare le tradizionali logiche di contrapposizione e dare avvio ad una nuova fase di collaborazione. I premi di risultato implicano una adeguata conoscenza dei prodotti e dei processi di produzione aziendali e la loro negoziazione presuppone la condivisione con i rappresentanti dei lavoratori delle dinamiche che potrebbero contribuire a variarne l’importo. Sindacati e imprese sono chiamati ad accrescere le proprie competenze e ad assumersi congiuntamente nuovi rischi: quello di erogare retribuzioni maggiori in caso di raggiungimento degli obiettivi concordati, ma anche quello di rinunciare ai miglioramenti economici nei casi di andamento negativo degli indicatori aziendali.

 

C’è quindi un importante cambiamento culturale sotteso al premio di risultato, che impone di guardare alla contrattazione aziendale non più come mero strumento di avanzamento delle tutele dei lavoratori ma come leva per la gestione dell’organizzazione del lavoro, in un’ottica funzionale alla promozione della competitività.

 

Il fallimento, appena due anni fa, del cosiddetto “Patto per Brescia” – un tentativo negoziale che avviato tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria territoriali avrebbe voluto spingere verso il decentramento delle relazioni industriali non ha fatto altro che confermare queste considerazioni, evidenziando quanto sia difficile, nella seconda provincia industriale lombarda (Istat 2015), convergere verso un modello condiviso di sviluppo e intraprendere quel cambiamento culturale che è precondizione per un concreto decentramento salariale.

 

Pare proprio che allora il vero rinnovamento non si avrà quando le parti sociali nazionali demanderanno alla sola contrattazione aziendale gli aumenti retributivi, ma quando nelle aziende saranno instaurate pratiche di organizzazione del lavoro che ispirate al coinvolgimento di lavoratori e rappresentanti favoriscano il pieno successo degli schemi retributivi variabili.Una opportunità, quest’ultima, che è insieme una sfida alla crescita e al miglioramento degli agenti negoziali. Ma per una rivoluzione delle mentalità e per l’instaurazione di un moderno sistema di relazioni industriali, non basta un contratto nazionale. A Brescia, in modo particolare.

 

 

Ilaria Armaroli

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

@ilaria_armaroli

 

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