Apprendistato e recesso: una prima lettura del d.lgs. n. 81/2015

L’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81/2015 sta iniziando a impattare sulla gestione concreta del personale. In fase di prima attuazione i dubbi e le perplessità degli operatori sono molteplici, complice anche una definizione del periodo transitorio che lascia sul campo più di una interpretazione possibile (si vedano le considerazioni di M. Tiraboschi, in Prima lettura del d.lgs. n. 81/2015 recante la disciplina organica dei contratti di lavoro, ADAPT Labour Studies e-Book series, n. 45/2015).

 

Da questo clima di incertezza interpretativa non è esente il contratto di apprendistato. Diversi sono gli aspetti dell’istituto rivisti dal capo V del decreto legislativo n. 81/2015 la cui piena operatività rimane al momento sospesa (si veda la scheda di analisi di U. Buratti, Come cambia l’apprendistato dopo il Decreto legislativo n. 81/2015). Tra questi vi è anche la disciplina in materia di recesso contenuta ora al comma 4 dell’articolo 42 del d.lgs. n. 81/2014.

 

Prima di entrare nel dettaglio del precetto è necessario fare un passo indietro e compiere un ragionamento più ampio. Nel mettere mano alla disciplina generale dell’apprendistato, il Legislatore ha sottratto in maniera esplicita alcune materie alla disponibilità della contrattazione collettiva nazionale. L’articolo 42 del d.lgs. n. 81/2015, infatti, contiene disposizioni in merito a: forma del contratto e piano formativo (comma 1); durata minima del rapporto (comma 2); disciplina applicabile in caso di licenziamento illegittimo (comma 3); recesso del rapporto di lavoro (comma 4). Il comma 5 chiarisce che la contrattazione collettiva nazionale è chiamata a regolare l’istituto: “salvo quanto disposto dai commi 1 a 4”. Rispetto dunque all’abrogato articolo 2 del d.lgs. n. 167/2011 le parti sociali comparativamente rappresentative sul piano nazionale non potranno agire sulle materie sopra indicate, compresa appunto la disciplina in caso di recesso.

 

Le modifiche sulla materia non si esauriscono, però, a questo livello generale, come emerge dalla comparazione tra la vecchia e la nuova normativa.

Decreto legislativo n. 167/2011

Articolo 2, comma 1, let. m)

Decreto legislativo n. 81/2015

Articolo 42, comma 4

Possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2118 del codice civile; nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Al termine del periodo di apprendistato le parti possono recedere dal contratto, ai sensi dell’articolo 2118 del codice civile, con preavviso decorrente dal medesimo termine. Durante il periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti recede il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Come si evince dalla tabella le differenze a livello terminologico non sono poche. La nuova disciplina parla di possibilità di recesso al «termine del periodo di apprendistato». Quella precedente, invece, fa riferimento «al termine del periodo di formazione». Sia la prima che la seconda, poi, “agganciano” alla scadenza di questo termine la decorrenza del periodo di preavviso.

 

A parere di scrive, il cambiamento terminologico della formulazione scelta dal Legislatore di per sé non muta dal punto di vista operativo il contenuto del precetto.

 

Semmai la scelta di richiamarsi alla «fine dell’apprendistato», piuttosto che alla fine del «periodo di formazione», potrebbe indurre a ritenere che la scelta formalistica corrisponda ad una scelta sostanziale volta a confermare l’opzione interpretativa per cui la fase dell’apprendistato renderebbe per la sua specialità inapplicabile il regime introdotto dal d.lgs. n. 23/2015 al licenziamento illegittimo, essendo l’apprendista in sé un lavoratore non riconducibile alle categorie individuate dall’art. 1, comma 1 dello stesso decreto che delimita il proprio campo di applicazione ai soli lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati e quadri assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Tale opzione non parrebbe essere smentita dall’articolo 42, comma 3 che sancisce che «durante l’apprendistato trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo» dal momento che la disciplina contenuta nell’articolo 18 della legge n. 300 del 1970 continua ad essere vigente. La tecnica adottata dal Legislatore nella redazione del d.lgs. n. 23 del 2015 non è stata affatto quella della abrogazione, quanto quella del progressivo superamento dell’articolo 18 per il tramite della stipulazione di nuovi contratti soggetti a un diverso regime di tutela contro i licenziamenti illegittimi così come ora disciplinato dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23. L’articolo 18, in altri termini, è una disposizione ancora oggi pienamente vigente per quanto destinata a trovare applicazione, in linea di principio, per i soli rapporti di lavoro stipulati prima del 7 marzo, ferme restando le condizioni soggettive ed oggettive per la sua reale operatività, che non troverebbero realizzazione nemmeno oggi nel caso di assunzione con contratto a tempo indeterminato.

 

Per definizione l’apprendistato è nel d.lgs. n. 81/2015, come lo era nel d.lgs. 167/2011, un contratto di lavoro «a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani». Ferma restando tale affermazione, a partire dal 2012, si è previsto che questo dovesse avere una durata minima non inferiore a sei mesi, con ciò intendendo che la durata della componente formativa dello stesso non potesse esaurirsi prima che fosse trascorso un periodo di sei mesi (si veda in tal senso la risposta n. 4 contenuta nella Nota del 13 luglio 2012 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali). Con l’esaurirsi del periodo di formazione – secondo la dicitura del Testo Unico del 2011 – oppure del periodo di apprendistato – secondo la nuova versione – il rapporto tra le parti prosegue come un “ordinario” rapporto a tempo indeterminato salvo che le parti non intendano esercitare il diritto di recesso loro riconosciuto dalla legge.

 

Chiarita l’equivalenza tra le locuzioni «periodo di formazione» e «periodo di apprendistato» – almeno dal punto di vista operativo – è necessario ora domandarsi se la nuova disciplina abbia apportato modifiche nel caso in cui le parti intendano avvalersi del diritto di recesso. La risposta, sempre a parare di chi scrive, sembra, sempre dal punto di vista operativo, non poter che esser negativa. Le parti che quindi intendano recedere, oggi come ieri, dovranno farlo con un preavviso decorrente dal termine del periodo di apprendistato, ovvero dalla fase formativa dello stesso. Nel caso dell’apprendistato di I e III livello esso, generalmente, coincide con il conseguimento del titolo di studio a cui il contratto è finalizzato. Nel caso dell’apprendistato professionalizzante, invece, esso è determinato dal raggiungimento delle competenze proprie della qualificazione professionale contenuta nella declaratoria del CCNL applicato dall’azienda.

 

Pur rimanendo confermata anche la previsione secondo la quale durante il periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina generale del contratto di apprendistato, non parrebbe più essere nella disponibilità delle parti sociali l’individuazione dei giorni di preavviso. Infatti, se nel sistema previgente si affidava la disciplina del contratto di apprendistato ad appositi accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel rispetto di determinati principi fissati dalla legge, tra i quali appunto, quello relativo al recesso, ora, stante la nuova formulazione dell’articolo 42, pare che la materia del recesso sia sottratta alla disponibilità delle parti sociali. Infatti, tale articolo, nel ribaltare la logica che aveva animato il sistema previgente, rimette alla sola legge il potere di intervenire su detta materia, prevedendo ora in un comma a se stante che «al termine del periodo di apprendistato le parti possono recedere dal contratto, ai sensi dell’articolo 2118 del codice civile, con preavviso decorrente dal medesimo termine». Le conseguenze pratiche non sono tuttavia di particolare rilievo posto che l’articolo 2118 c.c. prevede che le parti possano recedere dal contratto dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità. Seppure la contrattazione collettiva non venga chiamata direttamente in causa pare potersi ritenere che i termini di preavviso da questa previsti per l’esercizio del diritto di recesso debbano comunque continuare a trovare applicazione, ma le parti sarebbero libere di determinare nell’esercizio della loro autonomia termini anche diversi da quelli previsti dal contratto collettivo, che pertanto parrebbero trovare applicazione solo in assenza di diversa volontà delle parti.

 

Un ultimo aspetto che merita di essere considerato, riguarda il contratto di apprendistato professionalizzante. Mentre nella formulazione previgente (d.lgs. n. 167/2011, art. 4) si disponeva che per la sua componente formativa il contratto di apprendistato professionalizzante non potesse avere una durata superiore a tre anni (ovvero cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento), ora si prevede che «gli accordi interconfederali e i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscano, in ragione del tipo di qualificazione professionale ai fini contrattuali da conseguire, la durata e le modalità di erogazione della formazione per l’acquisizione delle relative competenze tecnico-professionali e specialistiche, nonché la durata anche minima del periodo di apprendistato, che non può essere superiore a tre anni ovvero cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento». In altre parole la nuova formulazione pare rimettere nelle mani delle parti sociali la previsione relativa alla durata minima del contratto di apprendistato fermi restando i limiti massimi triennali o quinquennali. Ne consegue che i contratti collettivi potrebbero prevedere a rigore di logica una durata minima ben superiore ai sei mesi, cosa a ben vedere già possibile nel vigore della precedente normativa secondo alcuni autori che rinvenivano in previsioni eventualmente disponenti durate minime più lunghe e trattamenti di miglior favore per i lavoratori.

 

In sintesi, se da una parte operativamente con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81, poco cambia – le parti potranno recedere ad nutum al termine del periodo di apprendistato ovvero al termine del periodo di formazione, nel rispetto dei termini di preavviso individuati nel contratto o eventualmente previsti dal contratto collettivo, fermo restando che nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina propria dell’apprendistato – dall’altra metodologicamente è cambiato invece molto – la fisionomia dell’apprendistato e dell’impianto regolatorio su cui si regge è profondamente mutata, a partire dal rapporto tra le diverse fonti normative che paiono ora assegnare un ruolo primario alla legge e all’autonomia delle parti individuali nella regolamentazione del rapporto di lavoro, anche in apprendistato.

 

Umberto Buratti

ADAPT Senior Research Fellow

@U_Buratti

 

Giulia Rosolen

ADAPT Research Fellow

@GiuliaRosolen

 

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