Bollettino ADAPT 26 maggio 2025, n. 20
Nelle ultime settimane, complice una recente nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, si è (ri)accesso un dibattito tutto interno a tecnici ed operatori attorno alla questione dei vincoli di legge all’anticipo del TFR.
In questi casi è bene partire dal principio, cioè dall’art. 2120 c.c. che qualifica il trattamento di fine rapporto (TFR) come una somma cui ha diritto il lavoratore «in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro» (co. 1) calcolata mediante l’applicazione di un determinato coefficiente sulla base della retribuzione utile definita dalla legge (co. 2) salvo diverse specifiche di fonte contrattual-collettiva. Somma che si rivaluta annualmente sulla base di un tasso fisso ed un tasso legato all’indice dei prezzi al consumo (fonte ISTAT).
Maturando in costanza di rapporto e sorgendo l’obbligo di erogazione in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, è pacifico, diremmo innegabile, che il TFR costituisca una forma di retribuzione differita.
L’ordinamento ha previsto alcune deroghe a tale principio, consentendo cioè la richiesta di anticipo del TFR in costanza di rapporto di lavoro, entro precisi limiti (co. 6-7), in caso di: necessità di far fronte a spese mediche per terapie e interventi straordinari (co. 8, lett. a)); acquisto della prima casa per sé o per i propri figli (co. 8, lett. b)); in occasione di determinati congedi come quello parentale o il congedo per la formazione (art. 7, l. n. 53/2000).
Ulteriori ipotesi di anticipo possono infine essere accordate al lavoratore sulla base di specifiche previsioni di miglior favore stabilite in sede di contrattazione collettiva o tramite pattuizioni individuali, stante il rinvio esplicito all’autonomia privata operato dall’art. 2120, u. co., c.c.
Delega che però, a rigore, non consente di scavalcare in toto i limiti posti dallo stesso articolo, per come sopra pur brevemente riepilogati.
Su questo snodo si concentra il dibattito di questi giorni.
Non possiamo certo nascondere l’esistenza di pratiche (patologiche) di erogazione mensile delle quote di TFR, fondate su un mal posto concetto di anticipo.
Può non interessare il conflitto logico con la natura differita di tale trattamento economico, questione che ben potrebbe essere relegata a più o meno argomentate speculazioni scientifiche.
Quel che qui interessa è invece indagare i risvolti operativi ed i rischi connessi. Un patto del genere finirebbe per:
– violare il principio secondo cui l’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro (art. 2120, co. 9, c.c.);
– contrastare con la possibilità di richiedere l’anticipo per le sole quote già maturate;
– violare i limiti percentuali (70%) di anticipo ammessi rispetto al TFR cui avrebbe diritto se il rapporto cessasse «alla data della richiesta». Inciso che ricorda, tra l’altro, come non possa essere negoziato l’anticipo di crediti di futura maturazione;
– compromettere il trattamento fiscale di miglior favore assicurato al TFR quale somma corrisposta in fase di cessazione del rapporto (art. 17, co. 1, lett. a) TUIR) per dubbi di applicabilità del meccanismo ammesso per il caso di anticipo (art. 19, co. 4 TUIR);
– creare problemi di non poco conto anche su quello dell’assoggettamento contributivo (il TFR e gli anticipi conformi sono esclusi dall’imponibile previdenziale, art. 12 l. n. 153/1969 di riforma di pregresse disposizioni) come ben rappresentato dalla pronuncia di Cassazione del 2021 (v. oltre);
– procurare un danno economico al lavoratore vista la complessità di rivalutazione da considerare e calcolare in senso sfalsato mese per mese precedente; creare un danno pensionistico nel caso di devoluzione di tutto o parte del TFR a previdenza complementare;
– confliggere con le pratiche dei relativi fondi che si adeguano al dettato di legge o contratto per le ipotesi di anticipo;
– generare problemi in caso di sopraggiunta attivazione di ammortizzatori sociali (in CIGS è esclusa la possibilità di anticipo mentre durante il contratto di solidarietà la quota di TFR è a carico del sistema pubblico).
Invero, il tema è già stato attenzionato dalla giurisprudenza; si ricorda qui il caso, da cui pure prende avvio la Nota, deciso da Cass., ord. 24 febbraio 2021 n. 4670, con la conseguenza dell’assoggettamento contributivo di somme erogate mensilmente a titolo di anticipo del TFR senza la prova della ricorrenza degli stringenti requisiti di cui all’art. 2120 c.c.
Ad onor del vero, da una prima ricerca, non paiono esservi copiosi precedenti giurisprudenziali in materia, mentre un minimo dibattito in letteratura si è visto (per un utile riepilogo, v. M. Novella, Sulla legittimità del trasferimento nella retribuzione mensile del trattamento di fine rapporto, in RIDL, 2023, 2, 439 e ss.). Non mancano comunque pronunce che stigmatizzano l’anticipazione mese per mese del trattamento di fine rapporto nella retribuzione corrente (Cass. 11 novembre 2002, n. 15813 che non censura l’illegittimità dichiarata nella fase di merito).
Tra le poche, merita certamente una menzione la recentissima pronuncia della Corte di Cassazione del 20 maggio 2025, n. 13525 che conferma i limiti d’intervento dell’autonomia privata nel senso che qui tentiamo di argomentare, chiarendo come «(…) è da escludere che le condizioni di maggior favore che il patto individuale del contratto di lavoro può introdurre al regime di anticipazione del t.f.r. (…) possano concretarsi in una anticipazione mensile del t.f.r. non sostenuta da alcuna specifica causale» poiché «(…) le condizioni di maggior favore cui si riferisce l’ultimo comma dell’art. 2120 c.c. devono intendersi volte ad ampliare i limiti fissati dai commi precedenti ai presupposti dell’anticipazione, non anche a snaturare il meccanismo dell’anticipazione e, correlativamente, del t.f.r (…)».
Si ha invece memoria di un unico caso di erogazione mensile delle quote di TFR, concesso però in via sperimentale (e non prorogato/stabilizzato) sulla base di specifica disposizione di legge (art. 1, co. 26, l. n. 190/2014) che assicurava tra l’altro l’estensione dei particolari trattamenti fiscali e contributivi anche a dette quote.
La Nota INL n. 616/2025, non ha fatto altro che richiamare l’attenzione degli organi di vigilanza rispetto a tali condotte abusive, muovendo proprio dalla citata pronuncia di Cassazione.
In ultima analisi si tratta, come spesso accade, di distinguere tra genuine pratiche di contrattazione – anche individuale – e prassi opportunistiche che finiscono per ledere, senza che gli stessi protagonisti ne abbiano piena consapevolezza, prerogative e diritti delle parti.
Marco Menegotto
Ricercatore ADAPT
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