Agenzie per il lavoro e licenziamenti. Una recente pronuncia del Tribunale di Milano

Con ordinanza n. 2408 del 27 giugno 2016, il Tribunale di Milano si è pronunciato sul ricorso proposto da una lavoratrice, assunta in somministrazione a tempo indeterminato, in merito alla legittimità del licenziamento, comminato dall’Agenzia per il Lavoro per giustificato motivo oggettivo.

 

Il tema, non esaustivamente affrontato né in dottrina né in giurisprudenza, appare, invece, di notevole interesse ai fini della piena comprensione dei diritti esercitabili, e delle conseguenti tutele azionabili, dal lavoratore somministrato che, per altro verso, non ha alcuna possibilità di rivalersi nei confronti dell’utilizzatore, se non nelle limitate ipotesi in cui sia possibile richiedere, in giudizio, l’accertamento di un rapporto diretto in capo a quest’ultimo.

 

Le peculiarità del rapporto di somministrazione, riflesse nella disciplina dedicata all’istituto, rendono, infatti, non agevole la ricostruzione della fattispecie del recesso per gmo esercitato dall’Apl, come sembra emergere dalle incertezze applicative rintracciabili, sul punto, nella giurisprudenza di merito. Le principali difficoltà riguardano, in particolare, il corretto inquadramento delle disposizioni dedicate alla somministrazione, rispetto alle clausole generali dettate in materia di licenziamento, che esigono un adattamento rispetto alle caratteristiche del tipo contrattuale e alla natura datoriale rivestita dalle Agenzie di Somministrazione.

 

Ora, ai sensi dell’art. 34, comma 1 del d.lgs. n. 81/2015, sulla scia di quanto già prescritto dal d.lgs. n. 276/2003, nei periodi di inattività tra una missione e l’altra, i lavoratori somministrati a tempo indeterminato rimangono in disponibilità, per l’Agenzia, salvo che sussista una giusta causa ovvero un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. La normativa vigente in materia, pertanto, induce ad escludere che, ai fini del gmo del licenziamento, possa essere sufficiente, in conformità con i principi generali, la mera soppressione dell’attività lavorativa che, per la somministrazione, si identificherebbe nella cessazione della missione presso l’utilizzatore.

 

A tale conclusione approda lo stesso Tribunale di Milano, nella pronuncia in commento, identificando il presupposto fattuale, necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie, esclusivamente nella mancanza di occasioni lavorative, secondo quanto previsto dal Ccnl del 7 aprile 2014, vigente nel settore della somministrazione.Del resto, se così non fosse, non vi sarebbe alcuna distinzione, sul piano sostanziale, tra lavoratori somministrati a termine o senza limiti di durata, risultando, peraltro, questi ultimi maggiormente esposti, rispetto ai dipendenti diretti, al rischio di provvedimenti pretestuosi da parte datoriale.

 

L’art. 25 Ccnl applicato alle Apl richiede, inoltre, che, prima dell’adozione del provvedimento, l’Agenzia esaurisca ogni tentativo di ricollocazione della risorsa nell’ambito di una procedura speciale, della durata di sei mesi, ovvero sette in caso di lavoratori ultracinquantenni, con decorrenza dal 30° giorno dalla data di trasmissione della relativa richiesta a Forma.temp (Fondo per la formazione e sostegno al reddito dei lavoratori in somministrazione). In questo arco temporale, l’Apl è chiamata ad adottare una serie di misure volte a favorire la ricollocazione del lavoratore, a partire dall’attuazione di un progetto formativo, approvato dai rappresentanti sindacali nell’ambito della Commissione Sindacale Territoriale competente.

 

Nell’accordo siglato dalle parti, in questa sede, oltre al percorso di riqualificazione professionale, vengono, altresì, definiti il profilo professionale del lavoratore e il criterio di ricerca, da parte dell’Apl, di nuove proposte lavorative, alla stregua del principio di congruità di cui all’art. 50 Ccnl. Per proposta congrua, deve intendersi, in particolare, quella professionalmente equivalente alla precedente, o, in alternativa, che implichi l’inquadramento del lavoratore in un livello retributivo non inferiore al 15% rispetto alla media dei tre migliori trattamenti retributivi, percepiti nelle missioni svolte nei 12 mesi precedenti, e che riguardi un luogo distante non più di 50 km, o raggiungibile in non più di 60 minuti, dalla residenza del lavoratore.

 

Una volta effettuato il monitoraggio delle attività, svolte successivamente dall’Agenzia, in occasione di un secondo incontro con le OO.SS., constatata la persistente mancanza di concrete prospettive occupazionali al termine della procedura, l’Apl potrà recedere dal rapporto di lavoro per gmo.

 

Ora, la ratio sottesa all’art. 25 Ccnl è quella di arginare il rischio che l’(eventuale) licenziamento del lavoratore somministrato non sia motivato da ragioni effettive, esigendo un impegno reale dell’Agenzia a favorirne il reinserimento nel mercato del lavoro. Tuttavia, l’ambiguità della disciplina collettiva, in termini di conseguenze applicative, deriva dalla non obbligatorietà della procedura, la cui omissione non preclude all’Apl la possibilità di recedere direttamente dal rapporto, come sottolineato anche in giurisprudenza (“Tale procedura […], appare, nel caso di specie, correttamente applicata, fatta eccezione per gli aspetti del mancato formale invio alla lavoratrice dell’avviso di avvio della procedura e per l’omessa implementazione di percorso di riqualificazione che, tuttavia, in virtù di quanto si dirà, non possono inficiare la validità del licenziamento de quo”, ord. Trib Milano n. 22702, del 24 luglio 2015).

 

Dalla mancata o irregolare attivazione della procedura, il contratto collettivo, infatti, fa discendere esclusivamente l’operatività di mere sanzioni economiche, consistenti nella perdita totale o parziale delle risorse, erogate da Forma.temp, a titolo di rimborso degli oneri sostenuti dall’Apl in applicazione dell’art. 25 Ccnl.

 

Il Tribunale di Milano non si esprime direttamente sulla rilevanza giuridica, nell’ambito di un giudizio di impugnativa del licenziamento, della procedura ex art. 25 Ccnl, ma getta le basi per un approfondimento della questione, rispetto al corretto adempimento dell’onere probatorio da parte del lavoratore e dell’Agenzia.

 

L’ordinanza in commento rigetta, infatti, il ricorso della lavoratrice, ritenendo fondate le motivazioni della società convenuta, che aveva dimostrato l’insussistenza, sia al momento del recesso sia nel corso della procedura ex art. 25 Ccnl, precedentemente attivata, di offerte lavorative coerenti con il profilo professionale della ricorrente. In particolare, era irrilevante che la lavoratrice avesse allegato, a riprova della esistenza di ulteriori occasioni lavorative, non proposte dall’Apl, una serie di annunci da quest’ultima pubblicati per posizioni aperte, compatibili, secondo la ricorrente, con il proprio profilo professionale. L’Agenzia, infatti, aveva intrapreso la ricerca di nuovo personale in somministrazione molto tempo dopo l’esaurimento della procedura e il conseguente licenziamento, ma, soprattutto, tali offerte riguardavano posti di lavoro distanti più di 50 km dalla residenza della ricorrente e, quindi, non erano di alcun interesse per quest’ultima, secondo quanto stabilito nell’accordo sindacale, stipulato in sede di approvazione del progetto formativo.

 

Dal canto suo, la lavoratrice non aveva manifestato, né prima né dopo il licenziamento, la volontà e la disponibilità al trasferimento oltre i 50 Km, né contestato, in giudizio, le modalità di espletamento della procedura ex art. 25 Ccnl, sotto il profilo, nello specifico, della conformità del progetto formativo rispetto a quanto espressamente richiesto. Inoltre, a parte il rifermento ad alcune offerte di lavoro pubblicate dall’Agenzia, si era limitata a contestare la legittimità del provvedimento impugnato, sostenendo genericamente che l’Apl avesse assunto nuovo personale in somministrazione, per lo svolgimento delle stesse mansioni.

 

A tale proposito, il Tribunale di Milano ribadisce che, pur essendo l’onere probatorio invertito nei giudizi di impugnativa del licenziamento, incombe, in ogni caso, sul lavoratore, un rigoroso onere assertivo, consistente nella circostanziata indicazione delle ragioni poste a fondamento della propria tesi. In base ai principi elaborati in giurisprudenza in materia di repechage, qui applicabili in via analogica, il lavoratore, in particolare, deve individuare compiutamente le offerte lavorative, disponibili presso le aziende clienti dell’Apl, e da quest’ultima non proposte, compatibili con la qualifica e le competenze possedute, nonché le generalità dei lavoratori assunti in somministrazione.

 

Alla luce delle motivazioni addotte dal Tribunale di Milano, è, dunque, possibile ricondurre alla procedura ex art. 25 Ccnl l’effetto di delimitare, sul piano temporale ed oggettivo, il novero dei fatti storici rilevanti, ai fini dell’integrazione della fattispecie, con le conseguenti ricadute, sul versante probatorio, in un eventuale giudizio promosso dal lavoratore. In particolare, la sottoscrizione dell’accordo sindacale ai sensi dell’art. 25 Ccnl, dà spazio al lavoratore di contestare all’Apl, in seconda battuta, attraverso deduzioni circostanziate, la sussistenza, al momento o poco dopo il licenziamento, ovvero nei sei/sette mesi precedenti, delle sole offerte di lavoro congrue, salvo che, su istanza del lavoratore, non sia stato diversamente previsto.

 

D’altro canto, la mancata attivazione della procedura, non rappresentando un presupposto, né sostanziale né procedurale del licenziamento, non ne inficia la legittimità, potendo, piuttosto, essere valorizzata, in giudizio, sul piano indiziario, a riprova del mancato interesse dell’Apl a ricollocare il lavoratore. Specularmente, dimostrata l’inesistenza di proposte di lavoro congrue, l’Agenzia potrebbe evidenziare, a sostegno della non pretestuosità del provvedimento adottato, le attività svolte, in corso di procedura, per favorire la rioccupabilità del lavoratore.

 

In conclusione, la piena comprensione delle finalità, e delle possibili implicazioni, della procedura speciale di cui all’art. 25 Ccnl, applicato alle Apl, costituisce uno snodo fondamentale per la sistematizzazione del quadro di tutele spettanti ai lavoratori in somministrazione, oltre le opacità connesse alle difficoltà interpretative della normativa vigente. Tale operazione ricostruttiva è, peraltro, di elevato interesse, alla luce del progressivo aumento dei contratti di somministrazione a tempo indeterminato nell’ultimo biennio[1], che dischiude la prospettiva di un maggiore ricorso, in futuro, all’art. 25 Ccnl.

Ora, sotto questo profilo, gli strumenti offerti dalla disciplina collettiva presentano rilevanti potenzialità, in termini di rafforzamento delle prospettive occupazionali per i lavoratori somministrati. La stessa procedura ex art. 25 Ccnl, oltre a garantire il sostegno al reddito del lavoratore coinvolto, persegue la principale finalità di favorirne la ricollocazione attraverso l’attuazione di misure di politica attiva, i cui costi vengono rimborsati attingendo ad una parte del fondo destinato alla formazione dei lavoratori somministrati a tempo indeterminato.

 

Oltre a tale funzione, coerente con il ruolo, giocato dalle Apl, di affiancamento del lavoratore nella gestione delle transizioni occupazionali sul mercato del lavoro, la procedura ex art. 25 Ccnl argina, altresì, il rischio ex ante che l’eventuale licenziamento per gmo sia inficiato da ragioni pretestuose, prefigurando un duplice vaglio sindacale sul processo decisionale, preliminare all’adozione del provvedimento.

 

In questa prospettiva, risulta decisiva, in particolare, la sottoscrizione dell’accordo sindacale di approvazione del progetto formativo, che mira a circoscrivere le opportunità lavorative di interesse per il lavoratore, evitando che l’Apl possa censurare, con una sanzione disciplinare, il rifiuto di proposte eccessivamente gravose per quest’ultimo, sul piano economico e personale. Tuttavia, come si evince dalla giurisprudenza, il corretto svolgimento delle attività individuate dall’art. 25 Ccnl, ivi compreso il coinvolgimento del lavoratore in ogni fase, a partire dalla co-determinazione del percorso di riqualificazione professionale, risulta tutelante ex post anche per l’Apl, in un’ottica cautelativa da eventuali contestazioni del lavoratore.

 

 

Arianna D’Ascenzo

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

@a_dascenzo

 

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[1] I dati forniti da Ebitemp (Ente Bilaterale per il Lavoro Temporaneo) evidenziano un aumento del numero medio mensile di occupati interinali dell’8,3% su base annua. Nello specifico, nel mese di maggio 2016,il numero di contratti in somministrazione risultano pari a circa 375 000, di cui il 10,2% a tempo indeterminato, contro il 5,9% di maggio 2015. Per ulteriori approfondimenti, si rinvia a http://www.ebitemp.it/category/news/osservatorio-centro-studi-it/note-congiunturali/.

 

 

 

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