Abolire i tirocini extra-curriculari? Le ragioni di una giusta battaglia

Interventi ADAPT

| di Matteo Colombo, Francesco Seghezzi, Michele Tiraboschi

Bollettino ADAPT 22 settembre 2025, n. 32

Il dibattito sulla regolazione del lavoro giovanile in Italia è da anni attraversato da tensioni e oscillazioni normative, tra restrizioni e aperture. Ci sono temi che ormai da decenni tornano senza che le criticità da loro rappresentate vengano risolte, uno di questo è quello dei c.d. tirocini extra-curriculari (quelli attivati senza un aggancio a un percorso formativo finalizzato al riconoscimento di un titolo scolastico o universitario). Negli scorsi giorni la segretaria generale della Cisl Daniela Fumarola, in una intervista, ha proposto, come già aveva fatto, la loro abolizione, anche per rilanciare forme più tutelanti e realmente formative come l’apprendistato. Si tratta di una proposta, quella dell’abolizione, che ADAPT ha più volte avanzato e che riteniamo ancora più valida nel contesto odierno.

Il quadro demografico è radicalmente cambiato: i giovani sono sempre meno, il che riduce la platea di potenziali tirocinanti e, al tempo stesso, accresce il loro potere contrattuale in un momento di crisi dell’offerta di lavoro. Tanto che i tirocini extra-curriculari sono in costante calo ormai da diversi anni, lontani dai numeri del boom generato dalla droga di Garanzia Giovani. In un mercato del lavoro caratterizzato da carenze di competenze e fabbisogni crescenti di professionalità, le imprese appaiono maggiormente orientate ad assumere direttamente con contratti di lavoro subordinato, riconoscendo che trattenere e formare i giovani è una necessità, più che un’opzione. D’altra parte i giovani sembrano meno disposti ad accettare questi strumenti, e anche i numeri delle emigrazioni sono in preoccupante aumento.

Sappiamo che i tirocini extra-curriculari, pensati come periodi di orientamento e formazione, hanno finito col trasformarsi in un canale improprio di ingresso nel mercato del lavoro. Troppo spesso si sono ridotti a esperienze a basso contenuto formativo, utilizzate dalle imprese per colmare fabbisogni temporanei di manodopera, senza garantire reali prospettive di crescita professionale. Così il tirocinio extracurriculare, nato per accompagnare i giovani nella transizione scuola-università-lavoro, ha perso la propria missione, diventando un sostituto economico e privo di tutele di un vero e proprio contratto di inserimento al lavoro che manca oggi nel nostro ordinamento dopo l’abrogazione del relativo schema contrattuale introdotto dalla legge Biagi.

Questa deriva ha avuto effetti pesanti anche sull’apprendistato, che resta ancora oggi sotto-utilizzato (e quasi del tutto inesistente nella forma più compiuta che è quella in chiave di integrazione con la formazione scolastica e universitaria) e soffre di una concorrenza sleale da parte di uno strumento più semplice e meno oneroso per le imprese, ma molto più debole per i giovani.

Alla luce di queste criticità, appare inevitabile una scelta netta: l’abolizione dei tirocini extracurriculari, fatta eccezione per gruppi svantaggiati un po’ come era stato ipotizzato con la legge di bilancio del 2022 che ha abrogato le previsioni in tema di tirocini previste dalla legge Fornero. Si tratterebbe dell’unico modo per riportare il tirocinio alla sua missione originaria, restituendo centralità ai percorsi di alternanza curriculare e soprattutto aprendo spazi concreti che all’apprendistato duale.

Nello scenario attuale sopra descritto, insistere sull’uso distorto dei tirocini extracurriculari non solo appare anacronistico, ma rischia di compromettere le opportunità di costruire un sistema moderno e realistico di effettiva integrazione tra scuola e lavoro. Al contrario, la combinazione tra percorsi di formazione curriculare di qualità e apprendistato, in forte dialogo con le istituzioni formative che devono essere supportate, anche con i giusti investimenti, a svolgere questo ruolo, può rappresentare la vera chiave di volta per accompagnare i giovani in un ingresso dignitoso e solido nel mondo del lavoro.

Servono semplificazioni radicali, incentivi fiscali selettivi e politiche capaci di valorizzare le aziende che investono nella formazione. Allo stesso tempo, va rafforzata la funzione dei servizi di placement delle scuole e delle università rendendo effettive le disposizioni in materia di trasparenza e libera accessibilità del curriculum di studenti, neodiplomati e neolaureati. Tutto questo potrebbe incidere positivamente sia sulla qualità del lavoro che sulla produttività del Paese, vero nodo critico che continua a permanere e che è legato anche ad una difficoltà dell’incontro efficace tra la domanda e l’offerta di lavoro che l’apprendistato può contribuire a ridurre, accompagnando i processi di innovazione all’interno delle imprese. 

Matteo Colombo

Presidente Fondazione ADAPT

ADAPT Senior Fellow

X@colombo_mat

Francesco Seghezzi

Presidente ADAPT

X@francescoseghezz

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

X@MicheTiraboschi