Abolire i tirocini extracurriculari

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Bollettino ADAPT  6 dicembre 2021, n. 43
 
Nel corso di un recente convegno internazionale promosso da ADAPT in collaborazione con ILO e WEC, un autorevole e stimato studioso come Manfred Weiss, nel definire le precondizioni giuridiche per un lavoro di valore ha suggerito, tra le altre cose, significative limitazioni all’uso dei contratti di lavoro temporaneo. Le condizioni e i limiti di agibilità del lavoro a tempo sono da anni oggetto di controversie nel dibattito scientifico come in quello politico e sindacale. L’andamento altalenante delle riforme del lavoro – ora più permissive ora più restrittive – e l’incerto impatto di dette riforme sul reale funzionamento del mercato del lavoro lasciano ampio spazio alla riflessione e ai dubbi. Con riferimento al caso italiano v’è tuttavia un dato oggettivo che non può più essere sottovalutato. I tentativi di restrizione delle forme di lavoro temporaneo, se non hanno dato luogo a significativi incrementi di forza-lavoro stabile, hanno piuttosto sollecitato o, comunque, ingigantito il fenomeno dell’abuso di forme alternative di ingresso nel mercato del lavoro.
 
Le cifre dei tirocini extracurriculari e il ruolo di Garanzia Giovani
 
Parlando di numeri, dal 2014 al 2019 sono stati attivati circa 1 milione e 970 mila tirocini extracurriculari. Al netto di alcune leggere flessioni nel 2016 e nel 2018, l’attivazione di questi strumenti ha mantenuto un tasso di crescita annuale costante (si veda il monitoraggio ANPAL sui tirocini extracurriculari e la sintesi di L. Citterio, Il tirocinio extracurriculare, una misura sempre più indefinita. Un bilancio sul Secondo Rapporto Anpal-Inapp, Bollettino ADAPT 21 giugno 2021, n. 24). Eclatante è il caso dei tirocini extracurriculari avviati con Garanzia Giovani che hanno raggiunto numeri impressionanti, a costi contenuti per le imprese, e in moltissimi casi senza alcun contenuto e percorso formativo reale come indicano i monitoraggi effettuati periodicamente dal gruppo di ricerca di ADAPT (si veda G. Rosolen, F. Seghezzi, Garanzia giovani due anni dopo. Analisi e proposte, Adapt University Press, e-Book series n. 55, 2016; L. Casano, T. Galeotto, A. Guerra, G. Impellizzieri, S. Prosdocimi, M. Tiraboschi, Scuola/Università e mercato del lavoro: la transizione che non c’è. Quello che raccontano i percorsi di formazione e le esperienze di lavoro dei nostri studenti, Adapt University Press, Materiali di discussione|N. 1/2021, 2021).
 
Secondo quanto riportato dal monitoraggio ufficiale di ANPAL su Garanzia Giovani emerge come, a fronte di 996.828 mila politiche attive erogate tra il 2014 e il 2021, i tirocini extracurriculari rappresentano il 56% del totale con ben 559.206 mila attivazioni durante il periodo considerato. A distanza siderale si posiziona invece l’apprendistato con solo 1.493 contratti attivati tra il 2014 e il 2021, lo 0,1% del totale. L’impatto di Garanzia Giovani sull’attivazione di tirocini extracurriculari appare ancora più consistente se si considera il fatto che, prendendo a riferimento gli anni dal 2014 al 2019, sul totale di circa 1 milione e 970 mila attivazioni il 22,6% (circa 445 mila tirocini) rientra nell’ambito dei finanziamenti del progetto europeo di garanzia per i giovani. Più in generale, guardando alle categorie di tirocinanti coinvolti, i disoccupati e le persone in cerca della prima occupazione coprono il 69,1% della platea totale dei tirocini attivati tra il 2014 e il 2019. Molto inferiore è invece la percentuale di esperienze volte a favorire la transizione scuola-università-lavoro, che rappresenta il 17% (si rimanda ancora al monitoraggio ANPAL sui tirocini extracurriculari), rendendo quindi difficile credere che i tirocini siano stati adoperati come uno strumento di vero e proprio accompagnamento “dalla scuola/università al lavoro”. Non sembra dunque esserci partita con l’apprendistato, facendo prevalere la linea dell’utilizzo di uno strumento a basso costo (il tirocinio extracurriculare) in cui però le prospettive di formazione del giovane sono contenute e spesso lasciate solo sulla carta. Insomma, le restrizioni anche stringenti all’uso dei contratti a termine non hanno affatto limitato, in Italia, il lavoro temporaneo, alimentando comodi abusi di percorsi formativi di dubbia qualità che hanno al tempo stesso affossato l’apprendistato e soprattutto la giusta idea di impiantare anche nel nostro Paese un sistema di formazione duale.
 
Il contesto normativo e la concorrenza (s)leale con l’apprendistato duale
 
Al fine di comprendere la struttura e la portata generale dello strumento, è bene ricordare che il tirocinio extracurriculare si configura come periodo di orientamento e di formazione, svolto in un contesto lavorativo e volto all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, finalizzato a favorire l’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro. Non si tratta di un rapporto di lavoro e per questo non è regolato da un contratto, ma da una convenzione formativa. È stabilita per legge una indennità minima mensile, fissata tuttavia dalle singole regioni (€500 per la Regione Lombardia, € 800 al mese per la Regione Lazio, € 300 per la Regione Sicilia). La durata del tirocinio è variabile, come le sue possibilità di rinnovo, ma non può essere inferiore ai 2 mesi e superiore ai 12 mesi. Ad oggi lo strumento è “regolato” dalle linee guida generali definite dall’Accordo del 25 maggio 2017 tra i Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, che ha dato origine ad un tessuto fortemente eterogeneo e frammentato in termini di disciplina normativa dello strumento. Se questo accordo, da una parte, è stato funzionale a rispondere alle esigenze e ai bisogni dei singoli territori e realtà regionali, dall’altra parte ha invece contribuito ad una perdita progressiva della missione imposta a livello nazionale di consentire una maggiore omogeneità nazionale dello strumento fornita dalle stesse linee guida. Per cui oltre a vuoti normativi (alcune Regioni non accennano alcuna previsione circa la possibilità di interruzione anticipata del tirocinio, altre invece ne specificano le motivazioni per un “recesso”) diviene più difficile pensare anche ad un intervento riformatore in un contesto così variegato, che quindi viene sempre più spesso accantonato a favore invece di un’idea di superamento di detto strumento.
 
Ad alimentare il dibattito circa la sua abolizione vi è anche il fatto che il tirocinio, essendo regolato da una convenzione formativa e non configurandosi come contratto di lavoro, non contempla periodi di ferie, la contribuzione previdenziale, la malattia, gli ammortizzatori sociali, che di fatto non sono inseribili in questa tipologia di percorso formativo, proprio perché pensata come tale e non come quello che poi nella realtà spesso si rivela essere: una forma impropria di lavoro. Inoltre, l’evidenza empirica, aggravata anche dalla crisi del coronavirus, ha mostrato la necessità di tutelare i giovani con uno strumento alternativo al tirocinio extracurriculare, che di fatto ha perso la sua missione originaria. In questo quadro, l’apprendistato dovrebbe rappresentare la vera chiave di volta. Lo strumento infatti, attivabile anche in somministrazione tramite le agenzie per il lavoro, si configura, a differenza del tirocinio, come un vero e proprio contratto di lavoro a tempo indeterminato, pur con un recesso ad nutum previsto al termine del periodo formativo, che riuscirebbe a fornire tutte le tutele richieste dal lavoratore senza però trascendere la forte ed imprescindibile componente di tipo formativo, declinabile in ore di formazione interna ed esterna oltre ad avvalorare l’importanza effettiva del learning by doing.
 
Nonostante gli  incentivi messi in campo dal governo e dalle Regioni a favore dell’apprendistato (non tali tuttavia da superare la concorrenza sleale operata dal tirocinio), anche attraverso l’adozione di Bandi volti a promuoverne la diffusione sul territorio regionale,  ad oggi i numeri che si registrano sono ancora abbastanza negativi, soprattutto con riferimento all’apprendistato di terzo livello (meno di mille in tutto il paese!), il quale avrebbe di fatto un’alta valenza formativa che rimane però non sfruttata (si veda il rapporto Inapp, Lo sviluppo dell’occupazione e della formazione in apprendistato XIX Rapporto di monitoraggio, 2021 e la sintesi di M. Colombo, L’apprendistato che non c’è. Alcune riflessioni a partire dall’ultimo report Inapp-Inps – Bollettino Adapt, Bollettino ADAPT 15 novembre 2021, n. 40). Al contrario, come già ricordato negli ultimi anni c’è stata una vera e propria proliferazione dei tirocini extracurriculari, anche per lavori a basso o bassissimo contenuto formativo e di competenze, arrivando ad essere uno strumento sempre più (ab)usato per coprire deficit di personale delle imprese, perdendo interamente la funzione di formazione e costruzione di profili professionali in uscita e soprattutto di transizione efficace nel mondo del lavoro. Non da ultimo, dalle rilevazioni più recenti è emerso come un tirocinio extracurriculare su due venga poi trasformato in un contratto di lavoro (si veda qui), un dato non necessariamente da intendersi come positivo, potendo infatti essere interpretato come un utilizzo improprio dello strumento, quasi da “periodo di prova”, e non di formazione, prima del contratto vero e proprio.
 
I soggetti promotori: università, scuole ed istituti di alta formazione ancora fanalino di coda
 
Guardando infine a chi dovrebbe occuparsi di promuovere lo strumento, dal monitoraggio ANPAL emerge come in Italia i principali soggetti promotori di tirocini extracurriculari siano i servizi per l’impiego, che nel periodo 2014-2019 hanno promosso complessivamente oltre 700 mila tirocini, pari al 36% del totale delle esperienze realizzate nel periodo in esame. A seguire, con un numero pressoché identico di tirocini avviati (383 mila), si trovano i centri di formazione/orientamento pubblici o privati accreditati e i soggetti autorizzati all’intermediazione, entrambi intorno al 20% delle attivazioni complessive. Queste tre sole categorie di soggetti promotori hanno quindi attivato il 75% dei quasi due milioni di tirocini avviati tra il 2014 e il 2019.
 
Purtroppo, invece, le Università e le scuole hanno fatto registrare quote di attivazioni decisamente marginali: le prime si fermano al 5%, le seconde si attestano addirittura intorno all’1%, per un totale del 6% insieme. Questi dati dimostrano la debolezza del collegamento tra il tirocinio extracurriculare – una delle cui funzioni è proprio quella di favorire la transizione dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro – e il mondo della scuola e dell’università. Inoltre, occorre evidenziare che la promozione dei tirocini presenta caratteristiche peculiari e ben distinte nelle diverse aree del Paese. Una situazione così differenziata ed eterogenea può dipendere da svariati fattori: i diversi assetti normativi in materia di tirocini, i differenti contesti socioeconomici e le peculiarità dei sistemi e servizi regionali per la formazione e il lavoro. Più si va verso il Sud del Paese e più l’impronta delle Università e delle scuole nell’attivazione dei tirocini è residuale: la media di attivazione da parte di questi soggetti è del 6% al Nord, circa il 4% al Centro, intorno al 2% al Sud. Ciò può essere ricondotto ad una presumibile mancanza di organizzazione dei percorsi di alternanza negli istituti scolastici, i quali infatti non dispongono di servizi placement che accompagnino gli ex studenti nei percorsi di transizione dalla scuola al lavoro. Sotto questo aspetto appare più confortante la situazione relativa ai neolaureati perché le Università, supportate da un più efficace servizio di accompagnamento post-laurea, hanno promosso il 42% dei tirocini svolti da neolaureati, risultando il primo soggetto promotore per questa categoria di tirocinanti. D’altra parte, però, se si considera che l’ateneo di provenienza è indubbiamente il soggetto più adatto a valutare la congruità dei contenuti formativi del tirocinio in relazione al percorso universitario appena concluso, forse sarebbe stato lecito aspettarsi percentuali di attivazioni ancor più significative.
 
Verso l’abolizione di tutti (o quasi) i tirocini extracurriculari. Se non ora quando?
 
L’analisi sin qui condotta porta, almeno rispetto alle peculiarità del nostro mercato del lavoro, a una soluzione drastica, ma a questo punto inevitabile: l’abolizione dei tirocini extracurriculari, ad eccezione di quelli rivolti a neodiplomati e neolaureati da non più di un anno, attivati esclusivamente nell’ambito di specifiche convenzioni tra imprese e istituti (scuola, università, ITS ecc.), ad oggi soltanto una piccola fetta, e che rappresentano l’unica forma di “extracurriculare” in grado di fungere da punto di riferimento per la formazione, l’orientamento e l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani. Fatto questo, che è per noi l’unico modo di fare ordine nella strumentazione giuridica a disposizione di giovani e imprese, senza buttare via il bambino con l’acqua sporca, vanno potenziati i percorsi di alternanza formativa di tipo curriculare, cioè i tirocini svolti dentro percorsi di studio, e l’apprendistato duale. Proprio questo strumento – che, al pari della somministrazione professionale di lavoro, ha sofferto enormemente della concorrenza sleale del tirocinio extracurriculare – deve infatti rappresentare il fulcro del processo di transizione scuola-università-lavoro dei giovani, favorendone l’approdo in azienda secondo percorsi strutturati e funzionali non solo a un reddito, ma anche alla costruzione sociale di competenze e di una vera professionalità, che è poi la principale garanzia di occupabilità.
 
Vien da sé che le imprese vanno sostenute ed incentivate a cambiare rotta. Occorre quindi attivare un processo di drastica semplificazione dello strumento ed ampliare gli incentivi fiscali sul costo del lavoro, superando i limiti della dimensione di impresa per le agevolazioni straordinarie. Non è quindi più rimandabile lo snellimento degli adempimenti burocratici che spesso e volentieri rendono il processo di attivazione del contratto e la messa a terra del piano formativo una sfida forse non impossibile ma di certo sfiancante per chi deve portare avanti tutti i giorni un’azienda. Soltanto così potrà prospettarsi un rilancio, tanto desiderato quanto necessario, dell’apprendistato duale. A questo proposito, l’esperienza di Garanzia Giovani di questi anni ha reso evidente come non sia sufficiente (seppur auspicabile) stanziare milioni per “favorire l’occupazione giovanile”, che nella realtà dei fatti si è tradotta in oltre mezzo milione di tirocini attivati a fronte di un migliaio e poco più di apprendistati, ma come occorra di pari passo attivarsi per incanalare queste risorse negli strumenti più virtuosi, come l’apprendistato, salvando le imprese dalla palude burocratica in cui spesso, seppur con le migliori intenzioni, rischiano di trovarsi.
 
Cecilia Catalano
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena
@Cecilia52659303
 
Rossella Fasola

Legal and Public Affairs Manager presso Randstad Italia S.p.A.

@RossellaFasola
 
Dario Frisoni

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena
@FrisoniDario
 
Tommaso Galeotto

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@TommasoGaleotto
 
Gioele Iacobellis

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@GioeleIacobell1
 
Maurizio Sacconi

Chairman ADAPT Steering Committee

@MaurizioSacconi
 
Michele Tiraboschi

Coordinatore scientifico ADAPT

@MicheTiraboschi

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