Dimissioni protette e periodo di prova: la nota del Ministero del Lavoro tra normativa e realtà
| di Nicola Porelli
Bollettino 27 ottobre 2025, n. 37
Il Ministero del Lavoro, con la Nota n. 14744 del 14 ottobre 2025, ha chiarito che le dimissioni rassegnate da lavoratrici in gravidanza o da genitori nei primi tre anni di vita del figlio devono essere convalidate presso l’Ispettorato territoriale del lavoro, anche se presentate durante il periodo di prova.
La precisazione risponde ad un quesito posto dal Servizio Lavoro della Provincia Autonoma di Trento e va a rafforzare (e forse complicare) la tutela della genitorialità.
Nel confermare l’inefficacia delle dimissioni prive di convalida anche se rassegnate durante il periodo di prova, la nota può sembrare incentrata su un dettaglio burocratico, ma nella pratica cambia molto: le dimissioni senza convalida non hanno effetto, quindi il rapporto di lavoro resta formalmente aperto.
L’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151/2001 prevede che le dimissioni presentate da lavoratrici madri o da genitori nei primi tre anni di vita del figlio siano efficaci solo se convalidate presso l’Ispettorato del Lavoro. Tale tutela si differenzia rispetto al divieto di licenziamento di cui all’articolo 54 che opera fino al primo anno di vita del bambino.
Si ricorda che l’obbligo di convalida entro i primi tre anni di vita del figlio è stato introdotto dalla riforma Fornero (legge n. 92/2012) per assicurare la genuinità della volontà del lavoratore o della lavoratrice in un momento di possibile vulnerabilità.
Nella nota in oggetto, il Ministero ha “scomodato” l’articolo 12 delle “Disposizioni sulla legge in generale” (preleggi del Codice Civile), interpretando la norma alla lettera e sostenendo, appunto, che non emerge alcuna esclusione del periodo di prova.
L’obiettivo di tutto questo: garantire una tutela “ad ampio raggio” per evitare dimissioni mascherate per nascondere un licenziamento discriminatorio.
Il Ministero ricorda che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da tempo affermato che il divieto di licenziamento discriminatorio opera pienamente anche durante la prova. Il chiarimento ministeriale vuole quindi essere coerente con la norma, la giurisprudenza e anche, per la prima volta (se non erro) con la “dottrina” pubblicata su codici commentati e riviste del settore.
L’effetto pratico, in caso di mancata convalida, è l’inefficacia delle dimissioni, con il conseguente mantenimento formale del rapporto di lavoro e il rischio di “ingolfamenti” nelle procedure interne delle aziende.
Dal punto di vista della coerenza normativa, la posizione ministeriale è solida. Tuttavia, per aziende e operatori si generano diversi problemi gestionali.
Primo problema: i tempi di convalida. In molte sedi dell’Ispettorato occorre un appuntamento e i tempi di attesa sono incompatibili con la durata del periodo di prova, soprattutto nei contratti a termine di breve durata dove la prova può essere anche di due soli giorni, secondo le ultime disposizioni.
Secondo problema: l’effetto sospensivo. Senza convalida, le dimissioni non producono effetti. Nel frattempo, il lavoratore può già aver cessato la prestazione o aver iniziato un nuovo lavoro, mentre il rapporto originario rimane formalmente aperto, creando incertezza operativa.
Terzo problema: l’uguaglianza della tutela tra madri e padri. L’applicazione uniforme può generare adempimenti sproporzionati rispetto agli obiettivi reali della normativa.
Inoltre, la nota ministeriale solleva ulteriori e diversi interrogativi.
Ad esempio, potrebbe essere fattibile e utile introdurre una procedura digitale di convalida, con autenticazione SPID o di altro tipo, che riduca tempi e oneri e dia maggiore certezza di “chiusura” del rapporto? Se il lavoratore interessato non procede con la convalida, quali potrebbero essere gli effetti reali, retributivi e contributivi? Come potrebbe essere tutelato il datore di lavoro che opera in buona fede circa la chiusura del rapporto di fronte ad una volontà espressa (ma non convalidata) del lavoratore?
Se la nota in commento da una parte conferma una linea di tutela ampia e coerente della genitorialità e rafforza il principio secondo cui la libertà del recesso deve essere effettiva, non solo dichiarata, dall’altra mette in luce la distanza tra il principio di protezione e la sostenibilità operativa nelle aziende.
Giusto prevedere (anche se tramite una nota ministeriale!) l’obbligo di convalida delle dimissioni anche durante il periodo di prova, per garantire una tutela effettiva della libertà di recesso della persona/lavoratore. Al tempo stesso, però, è indispensabile un intervento di semplificazione amministrativa che renda questa tutela realmente sostenibile per aziende e operatori.
In questo modo si potrà coniugare la protezione della genitorialità con l’efficienza gestionale, evitando che la norma, pur animata da buone intenzioni, si traduca in un ulteriore ostacolo operativo.
Si potrebbe pensare, ad esempio, alla creazione di un canale telematico rapido per la convalida delle dimissioni durante il periodo di prova; oppure, prevedere una validità provvisoria delle dimissioni, subordinata alla successiva convalida, per evitare vuoti formali e complicazioni gestionali.
Qualcuno ascolterà questo (semplice e forse scontato) appello al buon senso proveniente da un semplice operatore?
ADAPT Professional Fellow
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