Lavoro straordinario ed estensione dell’orario: spunti critici sulla riforma greca

Interventi ADAPT

| di Francesco Alifano

Bollettino ADAPT 20 ottobre 2025, n. 36

Ha suscitato scalpore la nuova riforma del lavoro approvata giovedì 16 ottobre 2025 dal Parlamento greco che, in controtendenza rispetto a quanto avviene nel resto d’Europa dove si discute di riduzione dei tempi di lavoro, ha previsto, all’interno di un’ampia legge che interviene su numerosi aspetti del rapporto di lavoro (tra cui spiccano la trasparenza, le politiche di genere, i congedi e la gestione delle ferie), alcune disposizioni aspramente criticate proprio in materia di orario lavorativo.

In realtà, non si tratta del primo intervento sulla disciplina dei tempi di lavoro attuato dal Parlamento ellenico in questa legislatura: già con la legge n. 5053/2023 era stato modificato l’art. 192 del Codice del lavoro, prevedendo la possibilità per i datori di lavoro operanti in alcuni settori di disporre unilateralmente l’articolazione della prestazione lavorativa su una settimana di sei giornate di lavoro di otto ore ciascuna, purché la durata giornaliera del lavoro nel sesto giorno non superasse le otto ore e, in relazione all’ulteriore giornata di lavoro, fosse corrisposta al dipendente una retribuzione maggiorata del 40%.

Con la nuova legge approvata il 16 ottobre il Parlamento greco è intervenuto nuovamente sul tema, introducendo ulteriori modifiche alle disposizioni del Codice del lavoro relative all’orario di lavoro e, in particolare, all’art. 194, innalzando il limite giornaliero del lavoro straordinario a quattro ore. In tal modo, è stata ammessa la possibilità di raggiungere una durata giornaliera della prestazione lavorativa pari a tredici ore (otto ore di lavoro ordinario, a cui sommare un’ora di lavoro supplementare, che, nella disciplina greca, il datore di lavoro può richiedere unilateralmente fino al raggiungimento della quarantacinquesima ora di lavoro settimanale, e quattro ore di lavoro straordinario), coincidente con la durata massima giornaliera indirettamente stabilita dall’art. 3 della direttiva 2003/88/CE e dall’art. 171 del Codice del lavoro greco, che fissano in undici ore consecutive la durata minima del riposo giornaliero in un arco di ventiquattro ore. Resta invece fermo il limite massimo di 150 ore di lavoro straordinario per anno (pari, cioè, ad un massimo di 37,5 giornate per cui è possibile l’estensione dell’orario fino a tredici ore di lavoro) e l’obbligo di corrispondere la maggiorazione del 40%.

A dire il vero, la nuova normativa greca non pare conforme al diritto eurounitario, giacché, se si considerano le pause di cui necessariamente deve fruire un lavoratore nel corso della giornata lavorativa (art. 4 dir. 2003/88/CE e art. 172 Codice del lavoro greco), non pare possibile realizzare una prestazione di lavoro della durata di tredici ore senza aggirare il diritto alle undici ore consecutive di riposo giornaliero.

Un altro elemento da considerare è che, mentre il lavoro supplementare può essere disposto unilateralmente dal datore di lavoro, il lavoro straordinario, nella disciplina greca, è rimesso all’accordo delle parti individuali. Da questo punto di vista, infatti, il governo greco ha osservato come la possibilità di estendere sulla base di un accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore l’orario di lavoro fino alla soglia delle tredici ore parifichi in realtà la condizione del lavoratore assunto da un unico datore di lavoro a quella del dipendente che, in forza di una pluralità di contratti, può scegliere di lavorare alle dipendenze di più datori di lavoro con il solo rispetto del periodo di riposo di undici ore. Tale circostanza, però, non è esente da critiche, giacché, soprattutto in taluni settori e con riferimento ad alcune professionalità, potrebbe apparire dubbia, nonostante la formale garanzia del diritto al rifiuto del lavoro straordinario, la genuinità dell’accordo sottoscritto dalle parti individuali. A ciò, inoltre, si aggiunga anche che, in un contesto come è quello greco caratterizzato dalla forte povertà lavorativa, la scelta di prestare lavoro straordinario fino alla soglia delle tredici ore potrebbe essere l’unico modo per alcune fasce di dipendenti di accedere a redditi maggiori.

Oltre a questi dubbi e alle possibili ricadute che una giornata di lavoro più lunga può avere sul piano della salute e della sicurezza dei lavoratori, è comunque da evidenziare che la riforma mira a facilitare il ricorso alle prestazioni di lavoro eccedenti il normale orario lavorativo in un contesto in cui i lavoratori greci lavorano già ben più della media europea, poiché, secondo le ultime stime dell’OCSE, relative al 2024, la Grecia è, con 1898 ore in media effettivamente lavorate all’anno per singolo lavoratore, tra i Paesi europei in cui si lavora di più, staccata da Repubblica Ceca (1771), Portogallo (1716), Italia (1709) e Spagna (1634), ma soprattutto da Francia (1491), Danimarca (1379) e Germania (1331).

Il problema dell’economia greca – che, seppur in misura diversa, è comune anche alle altre economie mediterranee – non risiede dunque nel numero di ore di lavoro, che, invero, è anche piuttosto elevato, bensì nella scarsa produttività del lavoro. Ciò è in larga parte riconducibile a fattori di contesto: l’economia greca, incentrata su settori a basso valore aggiunto come il turismo e la ristorazione, presenta infatti una struttura produttiva caratterizzata dall’alta intensità di manodopera, da un limitato apporto delle tecnologie e da un livello relativamente basso di investimenti in ricerca e sviluppo, che si attesta intorno all’1,5% del PIL, ben al di sotto della media UE pari al 2%.

Non sorprende che il GSEE, principale sindacato greco, abbia contestato la riforma del lavoro, richiedendo al contrario una riduzione dell’orario accompagnata da interventi su altri fronti, sia sul piano occupazionale sia soprattutto sul terreno dell’innovazione tecnologica e della modernizzazione del tessuto produttivo. In questa prospettiva, la riduzione dell’orario potrebbe rivelarsi non soltanto uno strumento di tutela dei lavoratori, ma anche una leva per favorire una redistribuzione dell’occupazione e stimolare investimenti in tecnologie e produttività.

La riforma greca sembra invece percorrere una strada diversa, per di più in un momento storico in cui molti Paesi si interrogano su come ridurre i tempi di lavoro per migliorare benessere, produttività e sostenibilità sociale (si vedano, ad esempio, il dibattito sull’orario di lavoro avviato in Spagna e le sperimentazioni realizzate in Belgio e Germania). Se da un lato il governo greco giustifica la misura come strumento per aumentare la competitività economica e ovviare, mediante al ricorso ad orari lavorativi più lunghi, ai problemi di carenza di personale che affliggono alcuni settori, dall’altro non si può ignorare che un aumento degli orari di lavoro in un contesto caratterizzato da bassi livelli di produttività rischia di avere effetti regressivi e di non affrontare le cause strutturali della debolezza del sistema produttivo, costringendo molti lavoratori alla difficile scelta tra povertà lavorativa e orari più lunghi.

Per la Grecia, in definitiva, la questione da risolvere non sembrerebbe essere quella di “lavorare di più”, ma di “lavorare meglio”, investendo in innovazione e formazione per accrescere la produttività e migliorare le condizioni di lavoro. Soltanto in questo modo potrebbe essere possibile conciliare crescita economica e tutela dei diritti sociali, evitando di individuare quale facile soluzione per ovviare alla bassa produttività l’estensione degli orari di lavoro.

Francesco Alifano

Assegnista di ricerca

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

X@FrancescoAlifan