L’azienda non basta più: dentro il #Club5000 di Novo Nordisk. Ristrutturazione, ricomposizione identitaria e nuove forme di appartenenza del lavoro qualificato
| di Carlo Pace
Bollettino ADAPT 20 ottobre 2025, n. 36
Nel settembre 2025, Novo Nordisk, colosso farmaceutico danese leader mondiale nella produzione di farmaci per il diabete e l’obesità, ha annunciato una ristrutturazione globale che prevede la soppressione di circa 9.000 posti di lavoro a livello internazionali. La misura colpisce in particolare la Danimarca, dove si concentrano circa 5.000 licenziamenti, inclusi profili tecnici e professionali altamente qualificati.
L’azienda ha giustificato l’operazione con l’obiettivo di “semplificare la struttura organizzativa, ridurre la complessità decisionale e riallocare risorse verso aree strategiche” come la ricerca e sviluppo, la digitalizzazione e la produzione avanzata. La decisione arriva tuttavia in un contesto di massima prosperità economica per Novo Nordisk, trainata dal successo commerciale dei farmaci Ozempic e Wegovy, che nel 2024 avevano contribuito a un aumento record dei ricavi e della capitalizzazione di mercato.
Come viene osservato in un articolo del 15 ottobre 2025, la ristrutturazione ha generato sorpresa e smarrimento non solo per la portata dei tagli, ma anche per il loro carattere “qualitativo”: i licenziamenti non riguardano mansioni di base, ma quadri, specialisti e ricercatori, figure tradizionalmente considerate centrali per la competitività dell’azienda. In un Paese come la Danimarca, simbolo di benessere industriale e di relazioni di lavoro cooperative, l’impatto di questo annuncio assume una valenza che va oltre l’economia aziendale, toccando la percezione stessa del rapporto tra impresa, competenze e sicurezza del lavoro.
Nel giro di poche ore dall’annuncio dei licenziamenti, LinkedIn si è trasformato in uno spazio di reazione collettiva. Da un semplice hashtag, #Club5000, è nata una comunità spontanea di ex dipendenti di Novo Nordisk, capace di trasformare un evento traumatico in un fenomeno pubblico e identitario.
Diverse centinaia di professionisti hanno condiviso post di commiato, in cui il dispiacere per la perdita si mescola al senso di gratitudine e desiderio di trovare un nuovo impiego:
“I’ve found myself in the ranks of the #Club5000
Humbled, proud — and yes, a little bit in awe.
Crossing this milestone feels surreal. It marks the end of an incredible chapter… and the start of something new.”
Molti racconti oscillano tra nostalgia e determinazione, come quello di una specialista in market access:
“Like many others from #NovoNordisk, I was recently inducted into the famed #Club5000. Over the past 10 years, I’ve helped launch therapies worldwide — now I’m ready to bridge science, strategy, and storytelling elsewhere.”
Altri messaggi mettono in luce il carattere solidale e collettivo della community:
“#Club5000 is not about bitterness — it’s about community, sharing opportunities, and keeping the spirit alive.”
Accanto alla gratitudine, non mancano ironia e leggerezza. “The company had to downsize, so I was #letgovy”, scrive una designer, mentre un’altra voce più giovane racconta la chiusura della divisione Cell Therapy con toni intensi e personali:
“Less than a week after I started my internship, we were told the entire Cell Therapy department would be closing. Everyone in that room lost more than just a job that day.”
Nei feed si moltiplicano le offerte di lavoro, le segnalazioni reciproche e gli inviti a “coffee chats”: piccoli gesti di supporto che attraversano i confini aziendali e coinvolgono anche altre case farmaceutiche come Roche e Sanofi. C’è spazio perfino per l’autoironia, come in un post divenuto virale: “#Club5000 – Not the # anyone hopes for. Help me turn it into #Club5000EmployedAgain.”
In pochi giorni, il Club è passato dall’essere il simbolo di una perdita collettiva a un luogo di rielaborazione e resilienza, dove la professionalità diventa racconto e la vulnerabilità si traduce in visibilità. Un esempio concreto di mutualismo digitale, in cui la rete e non più l’azienda diventa il principale spazio di appartenenza e continuità professionale.
Dietro la scelta non c’è una crisi economica, ma una trasformazione organizzativa: il modello operativo di Novo Nordisk si sta spostando verso una logica data-driven, più snella e integrata, in cui molte funzioni vengono automatizzate o esternalizzate.
Processi di quality assurance, comunicazione interna, marketing tecnico e project management vengono progressivamente assorbiti da tecnologie di analisi predittiva e da reti globali di fornitori, riducendo la necessità di personale interno anche nei ruoli ad alta competenza.
L’obiettivo dichiarato è “reinvestire i risparmi nella pipeline dei nuovi farmaci e nel lancio globale dei prodotti per l’obesità”, come ha spiegato il CEO Doustdar.
La razionalizzazione dell’organico diventa uno strumento per liberare risorse da destinare a ricerca, digitalizzazione e marketing digitale. Ma questa strategia produce un effetto collaterale significativo: l’erosione del lavoro stabile e qualificato in un settore considerato, fino a ieri, un modello di “buona occupazione”. Il labour shedding, ossia la riduzione selettiva del lavoro interno a fronte di margini in crescita, è ormai parte integrante delle politiche di competitività, non più un sintomo di crisi. Novo Nordisk non è un’eccezione (come per esempio il piano di 16.000 licenziamenti nel prossimo semestre annunciati da Nestlé), ma un caso emblematico di come la produttività possa crescere mentre il lavoro si assottiglia, e di come la knowledge economy stia ridefinendo le sue priorità: più capitale tecnologico, meno capitale umano.
Il caso #Club5000 mostra icasticamente come la comunità possa sopravvivere all’impresa. Quando un’azienda ad alto capitale simbolico come Novo Nordisk riduce il proprio organico qualificato, il lavoro perde la sua cornice tradizionale di riconoscimento. Ciò che si dissolve non è solo un contratto, ma un ecosistema relazionale: l’insieme di significati, ruoli e legami che strutturavano l’identità professionale.
In questo vuoto, le persone reagiscono costruendo forme di appartenenza alternative, orizzontali, auto-organizzate e distribuite nello spazio digitale.
Il #Club5000 è dunque un esperimento di mutualismo contemporaneo. I suoi membri condividono offerte di lavoro, si segnalano a vicenda opportunità, scambiano incoraggiamenti e consigli pratici. Si tratta di un welfare di prossimità informale, costruito dal basso, in cui la competenza diventa bene collettivo e il networking sostituisce, almeno in parte, la protezione aziendale.
Come nei modelli storici di mutual aid ottocentesco, la solidarietà nasce da una condizione comune di vulnerabilità, ma oggi si esprime in modo diverso: non più nelle società di mutuo soccorso, bensì negli algoritmi di una piattaforma globale.
In questo senso, il Club5000 non rappresenta solo una reazione emotiva, ma una ricomposizione identitaria. La persona torna al centro come soggetto narrante: racconta il proprio percorso, condivide la propria exit story e ricostruisce la continuità tra passato professionale e futuro incerto.
Attraverso i post, spesso più curati, sinceri e riflessivi di una comunicazione aziendale, emerge una nuova grammatica del lavoro: fatta di riconoscenza, autoefficacia e vulnerabilità pubblica.
In un mercato sempre più fluido, il #Club5000 diventa così un luogo di transizione, in cui i confini tra individuo e collettivo si ricompongono attorno a un principio semplice: la persona come portatrice di valore, anche fuori dall’impresa.
Un segnale che interroga le teorie classiche sull’occupazione stabile e invita a ripensare il senso del lavoro qualificato in un’economia che cresce ma non sempre include.
Il caso #Club5000 non è solo un episodio aziendale: è il sintomo di una trasformazione più ampia. Mostra come anche i lavoratori più qualificati e che un tempo garanti di stabilità, riconoscimento e continuità, siano oggi esposti alla stessa vulnerabilità che in passato caratterizzava i profili meno tutelati. La differenza è che questa nuova precarietà si accompagna a un alto grado di competenza, di responsabilità e di interiorizzazione dei valori aziendali. Quando l’impresa riduce il personale, a essere colpita non è soltanto l’occupazione, ma una parte dell’identità professionale che quei lavoratori avevano costruito intorno alla loro organizzazione.
Da qui l’importanza delle reti, non solo come strumenti di supporto, ma come nuovi spazi di cittadinanza professionale. Nel #Club5000, la solidarietà digitale diventa una forma di employability collettiva: una comunità che redistribuisce reputazione, conoscenze e fiducia. È un modo per rispondere a un sistema che tende a individualizzare la carriera, ma che trova nella rete un nuovo punto di equilibrio tra autonomia e appartenenza.
Il fenomeno pone tuttavia almeno due domande di fondo alle politiche del lavoro e della formazione:
1) Come garantire transizioni dignitose e coerenti per i lavoratori qualificati in settori in rapida trasformazione tecnologica?
2) Quale ruolo dovrebbero assumere le imprese nella gestione delle fasi di uscita, e come possono i sistemi pubblici e privati di formazione continua accompagnare il reskilling e il career redesign di figure ad alto valore aggiunto?
Il Club5000 segnala che il bisogno di tutela non è scomparso, ma si è spostato su nuovi terreni: quello della riconoscenza professionale, della reputazione e del capitale relazionale.
Novo Nordisk, come altre grandi imprese globali, rappresenta così il laboratorio di un capitalismo maturo ma fragile, in cui la competizione si gioca sulla rapidità e sulla promessa di innovazione, spesso a costo della coesione interna.
La risposta spontanea e collettiva del Club5000 è il segnale di una possibile evoluzione del lavoro qualificato: meno ancorato all’impresa, ma più radicato nelle reti di persone che ne condividono i valori. Una forma embrionale di mutualismo professionale, che invita a ripensare la funzione sociale dell’impresa e a collocare di nuovo la persona, con la sua competenza, la sua dignità e la sua capacità di relazione, al centro dell’economia del futuro.
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
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