Bollettino ADAPT 8 settembre 2025, n. 30
Il tema delle mance ai dipendenti, almeno nel nostro Paese, si è sempre mosso in un’area grigia, spesso confinato al rapporto di personale fiducia o gradimento tra cliente e lavoratore. Non stupisce infatti che nei più applicati CCNL dei settori più esposti (si pensi alle strutture ricettive e di somministrazione di alimenti e bevande) vi fossero tradizionalmente particolari clausole di esplicito divieto a percepire simili liberalità, con rilevanza sul piano disciplinare (ad esempio, CCNL Pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo, CCNL Turismo).
Da ormai quasi tre anni il nostro ordinamento sta invece operando, per chiare finalità di emersione, per ricondurre tali somme al reddito da lavoro dipendente, con alcune disposizioni (fiscali) di favore. Generando almeno in qualche caso, di reazione, l’eliminazione delle già richiamate clausole di divieto (ad esempio, CCNL Pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo 5 giugno 2024).
È infatti con la legge n. 197/2022, art. 1, co. 58 e ss. (modificata, da ultimo, con la legge n. 207/2023), che si è introdotto il principio per cui «Nelle strutture ricettive e negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande (…) le somme destinate dai clienti ai lavoratori a titolo di liberalità, (…), costituiscono redditi di lavoro dipendente».Principio in qualche modo già espresso – seppur in termini più generali – con il d. lgs. n. 314/1997 (di modifica del d. lgs. n. 917/1986), nel quale si poteva rintracciare la riconduzione a reddito da lavoro di «tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro». Ed in effetti non mancano precedenti giurisprudenziali in questo senso (Cass. 1 ottobre 2021, n. 26512).
Con la legge di bilancio per il 2023 si è inoltre introdotto un particolare meccanismo, per il quale, ai soli lavoratori che percepiscano nell’anno precedente un reddito entro i 75.000 euro lordi (oggi), sulle mance è applicata una tassazione di favore (imposta sostitutiva del 5%), pur entro il limite (oggi) del 30% del reddito da lavoro percepito nell’anno.
Se appare evidente che ricondurre tali somme al reddito da lavoro è funzionale al prelievo fiscale, seppur agevolato, questo può destare problemi di non poco conto sul piano dell’assoggettamento contributivo.
Lo stesso comma 58, ultimo periodo, si è infatti preoccupato di chiarire come «Tali somme sono escluse dalla retribuzione imponibile ai fini del calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale e dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e non sono computate ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto».
Si può forse discutere, stante la formulazione della disposizione, sul rinvio attuato dall’inciso «Tali somme»: somma delle mance percepite individualmente nell’anno oppure riferimento alle sole mance che stanno sotto soglia?
L’Agenzia delle Entrate, con propria circ. n. 26/E del 29 agosto 2023 ha chiarito come il limite del 25% (oggi 30%) del «reddito percepito nell’anno per le prestazioni di lavoro rese nel settore turistico-alberghiero e della ristorazione rappresenta una franchigia», con la conseguente attrazione ad imponibile previdenziale delle somme che si attestano sopra quella percentuale, come chiarito in più occasioni anche dall’INPS (circ. 23 dicembre 2024, n. 108; circ. 20 dicembre 2023, n. 106) sul presupposto della natura delle somme (reddito da lavoro) su cui la percentuale agisce unicamente quale limite per l’applicazione della tassazione di favore.
Al di là delle pur complesse operazioni di conguaglio annuale cui risultano destinatari i datori di lavoro anche su questo capitolo, il problema principale risiede, a ben vedere, sulla scarsa prevedibilità degli importi che nell’anno di riferimento potranno essere soggetti a contribuzione. Essendo questa ripartita tra datore di lavoro e lavoratore secondo gli ordinari criteri, è facile immaginarsi come la singola impresa si potrà trovare a dover garantire un esborso, in termini di contributi a suo carico, maggiore di quanto preventivato in sede di budget. Il tutto aggravato dall’alta possibilità che il superamento del 30% del reddito da lavoro annuo si determini, per via del carattere prevalentemente stagionale del mercato del lavoro di riferimento, con la somma di redditi percepiti da più datore di lavoro.
Un meccanismo, questo, che in aderenza al principio della onnicomprensività della retribuzione anche ai fini dell’individuazione dell’imponibile contributivo, finisce per generare un cortocircuito non indifferente.
Ecco, in vista della prossima manovra – su cui stiamo già assistendo da alcune settimane al consueto dibattito agostano – un intervento del Legislatore che consenta di perseguire l’obiettivo di emersione assicurando però la programmabilità e la certezza dei costi delle imprese, sarebbe auspicabile.
Ricercatore Senior ADAPT
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