Bollettino ADAPT 21 luglio 2025, n. 28
La Legge di Bilancio 2024 (art. 1, co. 180-182 della legge 30 dicembre 2023, n. 213) ha riconosciuto uno sgravio contributivo biennale (2024-2026) alle lavoratrici madri «di tre o più figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato». Noto alla cronaca come “bonus mamme”, lo sgravio in questione consiste in «un esonero del 100 per cento della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, nel limite massimo annuo di 3.000 euro».
In altri termini, è la lavoratrice madre ad essere esonerata dal versamento della propria parte di contributi (tendenzialmente, pari al 9,19%) mentre la restante parte percentuale dell’aliquota a carico del datore di lavoro deve essere da questi ugualmente versata. L’obiettivo di queste misure – già sperimentate dal governo in carica (si pensi all’art. 39 del d.l. 4 maggio 2023, n. 48) – è quello di aumentare il c.d. stipendio netto da corrispondere al lavoratore o alla lavoratrice, posto che il datore di lavoro non tratterrà il 9,19% dalla retribuzione imponibile, con l’effetto di generare un incremento del valore netto del salario. Un simile meccanismo non influisce negativamente sull’accantonamento dei contributi ai fini pensionistici per i lavoratori che chiedono di usufruire dello sgravio, posto che lo Stato concorre con la fiscalità generale a coprire la parte di contributi esonerati (il 9,19%, appunto).
Orbene, con una risposta all’interpello n. 2/2025, il Ministero del Lavoro ha di recente chiarito che lo sgravio contributivo in questione può essere riconosciuto anche alle lavoratrici madri che siano occupate con un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato.
Si tratta di una risposta che ha destato non poche perplessità – come è stato già evidenziato (G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Sgravi contributivi e incentivazione del lavoro femminile: una risposta a interpello che fa molto discutere, in Bollettino ADAPT 14 luglio 2025, n. 25) – soprattutto perché il chiarimento applicativo di uno sgravio contributivo è stato richiesto da un’associazione datoriale i cui contratti collettivi, qualora applicati dal datore di lavoro, non consentono alle imprese di potervi accedere. E ciò per due ordini di ragioni:
a) anzitutto, perché la legge subordina il godimento di qualsiasi beneficio normativo o contributivo al «rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» (così l’art. 1, co. 1175 della legge n. 296/2006);
b) inoltre, perché le c.d. tipologie contrattuali flessibili, tra le quali rientra anche il lavoro intermittente (o a chiamata) può essere regolato – ancora una volta – solo dai soli contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (come precisa l’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015).
A questa prospettazione è stato obiettivato che per lo sgravio in questione non occorre che sia rispettato il requisito di cui all’art. 1, co. 1175 della legge n. 296/2006 – e cioè il «rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» – poiché a godere del beneficio contributivo non è il datore di lavoro (per il quale è sempre richiesto in tali casi la regolarità del DURC) ma la sola lavoratrice madre.
Dunque, subordinare il godimento dello sgravio alla quale ha diritto la lavoratrice al possesso del DURC regolare da parte del datore di lavoro significherebbe nei fatti penalizzarla in quanto ricadrebbero sull’incolpevole “malcapitata lavoratrice” le conseguenze penalizzanti di una irregolarità imputabile al datore di lavoro sulla quale la dipendente nulla può. Pertanto, l’art. 1, co. 1175 della legge n. 296/2006 dovrebbe trovare applicazione solo quando lo sgravio è riferibile ai benefici potenzialmente fruibili dal datore di lavoro, in quanto a suo vantaggio.
Ad una tale conclusione, sembrerebbe giungere anche l’INPS allorquando, nella circolare esplicativa per la fruibilità del bonus mamme (cfr. circolare INPS 31 gennaio 2024, n. 27), specifica che «il diritto alla fruizione dell’agevolazione […] sostanziandosi in una riduzione contributiva per la lavoratrice, che non comporta benefici in capo al datore di lavoro, non è neanche subordinato al possesso, ai sensi dell’articolo 1, comma 1175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, del documento unico di regolarità contributiva (DURC)».
Questa prospettazione non può essere condivisa, per almeno due ragioni.
Partendo dalla prima, non può essere condiviso l’assunto in base al quale lo sgravio in questione non comporti mai alcun tipo di beneficio per il datore di lavoro, sganciando quindi la sua fruibilità dal necessario possesso del DURC. Se alcun tipo di beneficio il datore può trarne quando ad accedere allo sgravio sia una lavoratrice madre assunta a tempo indeterminato con un contratto di lavoro full-time, non si può dire lo stesso quando ad accedere allo sgravio sia una lavoratrice assunta si a tempo indeterminato ma con una tipologia contrattuale flessibile, quale è il lavoro a chiamata, che consente al datore di lavoro di accedere a non pochi benefici normativi: tra i tanti, la possibilità di computare i lavoratori intermittenti nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre (art. 18 del d.lgs. n. 81/2015).
Il vantaggio principale – per il datore di lavoro – del computo dell’orario effettivo nel lavoro intermittente previsto dall’art. 18 del d.lgs. n. 81/2015 deriva dal fatto che il lavoratore (o la lavoratrice) viene considerato nell’organico aziendale in proporzione al tempo effettivamente lavorato in un semestre e non in base alla durata del contratto. Pertanto, se un’impresa di 15 dipendenti include anche una dipendente assunta con un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato, la computabilità di quest’ultima nell’organico aziendale deriva dalla possibilità che in un semestre la dipendente risponda almeno ad una chiamata di lavoro, altrimenti in quel semestre la dimensione occupazionale dell’impresa risulta pari a 14 dipendenti. Con la conseguenza che il datore di lavoro “beneficerà” della possibilità di non vedersi applicare la disciplina in materia di licenziamento collettivo prevista dalla legge n. 223/1991 (per una lettura del criterio di computo come beneficio normativo, cfr. G. Falasca, Occupazione. Provvedimenti per il sostegno, Enciclopedia Treccani, 2015).
Orbene, se il DURC regolare è richiesto non solo quando il datore di lavoro usufruisce degli sgravi «contributivi» ma anche dei «benefici normativi […] previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale» – come espressamente prevede l’art. 1, co. 1175, della legge n. 296/2006 – ne deriva che nel caso in cui l’imprenditore assuma con contratto di lavoro a chiamata a tempo indeterminato una lavoratrice che richiede il riconoscimento del bonus mamme, deve necessariamente avere il DRUC regolare, posto che se nulla gli giova lo sgravio contributivo in questione, è però certamente agevolato dal beneficio normativo previsto dalla legge in materia di lavoro a chiamata (cioè il beneficio del computo previsto dall’art. 18 del d.lgs. n. 81/2015).
Un’altra ragione per la quale non può essere condivisa la tesi espressa dall’INPS nella circolare del 31 gennaio 2024 esula dal dettaglio tecnico-normativo e prende le mosse dal diritto della lavoratrice ad ottenere il giusto versamento dei contributi previdenziali. Subordinando il godimento dello sgravio per la lavoratrice al possesso regolare del DURC da parte del datore di lavoro, molte imprese sarebbero obbligate a sanare tutte le irregolarità previdenziali (a partire dal c.d. minimale contributivo), posto che non può essere negato alla lavoratrice madre il godimento di un beneficio che le viene accordato direttamente dalla legge. In buona sostanza, dall’esercizio di un diritto della lavoratrice, ne deriverebbe come vantaggio l’emersione di irregolarità previdenziali. Si tratterebbe di “uso strategico” dello sgravio, avente in questo caso una duplice funzione: da un lato, innalzare lo stipendio netto della lavoratrice; dall’altro, far venire alla luce tutte le imprese che versano in uno stato di irregolarità previdenziale.
Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
ADAPT Senior Fellow
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