Il mio canto libero – Giurisprudenza vs autonomia collettiva: chi produce il diritto vivente?

Bollettino ADAPT 17 aprile 2023, n. 15
 

Nel precedente bollettino settimanale abbiamo considerato la deriva giurisprudenziale contro le competenze dell’autonomia collettiva (minimi retributivi ritenuti in contrasto con i criteri dell’art. 36 della Costituzione e forniture di somministrazione giudicate in violazione della “ragionevole durata” anche se nei limiti dei CCNL). In questi casi non mancano criticità sottostanti per ritardo di rinnovo contrattuale o per fragilità di motivazione sostanziale ma la critica riguarda il rimedio e la sua fonte.
 

Perfino la sentenza con cui la Cassazione contesta le previsioni dei CCNL che prevedono un unico periodo di comporto in quanto non differenziato a favore dei disabili, determinando l’annullamento del licenziamento al suo compimento, suscita qualche perplessità. Il fine può essere condivisibile perché i periodi di malattia variano in relazione alla condizione generale di salute delle persone ma le parti sociali possono avere ritenuto difficile distinguere tra malattie ingravescenti, cronicità, disabilità accertate decidendo un allungamento idoneo alle situazioni più critiche e a maggior ragione conveniente per le altre. Si può aggiungere che troppo spesso gli attori negoziali preferiscono soluzioni neutre ed egualitarie per non scontentare nessuno o per certezza applicativa.

 

La contrattazione non è perfetta ma è certamente duttile e perciò capace di rimediare anche a sé stessa sulla base dell’esperienza, della osservazione di ciò che accade.

Al di là delle valutazioni di merito, quindi, interessa in questa sede l’incertezza crescente che con il complesso della nuova giurisprudenza si produce sulla fonte contrattuale. Il datore di lavoro non è più al riparo da contestazioni quando applica rigorosamente il CCNL di riferimento.

Il “diritto vivente” del lavoro è nella adattività delle parti sociali o nella “impaziente creatività” degli illuminati in nome della sostanza dei rapporti di lavoro?

 

Se governo, parlamento e corpi sociali vogliono ora confermare e difendere il nostro assetto giuslavoristico, devono assumere rapidamente iniziative di vario genere.

Lo strumento dell’interpello e delle relative risposte potrebbero immediatamente consolidare quanto dottrina, legislazione e giurisprudenza sin qui dominanti hanno sempre affermato. La stessa richiesta di una norma relativa al salario minimo potrebbe essere soddisfatta facendo riferimento al trattamento economico complessivo di base disposto dal CCNL più diffusamente applicato nel settore merceologico di riferimento o in quello più prossimo. Senza perciò affrontare l’opinabile nodo della rappresentatività che, al più, dovrebbe essere calcolata in assoluto, ovvero sul totale delle imprese e dei lavoratori. I sussidi che integrano il reddito nei casi di povertà e disoccupazione si dovrebbero collocare al di sotto dei minimi contrattuali. La riduzione strutturale dei costi indiretti dei salari minimi potrebbe dare loro un maggiore potere d’acquisto.

 

Le parti sociali infine, attraverso un accordo interconfederale, dovrebbero rafforzare il trattamento di garanzia destinato a subentrare nel caso di prolungata vacanza contrattuale.

Un maggiore dinamismo negoziale delle organizzazioni di rappresentanza e la conferma da parte dei decisori istituzionali dell’esclusivo ricorso alla norma di legge (oltre i contenuti inderogabili) per dare “sostegno” alla autonomia collettiva, potrebbero consolidare la nostra caratteristica di società aperta e sussidiaria contro le derive di sostituzione giacobina delle libere dinamiche sociali.
 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

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