Il lavoro è agile. La legge meno

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Collegato Lavoro dedicato al lavoro autonomo e al lavoro agile. Dopo la legge delega e gli otto decreti delegati del Jobs Act, incentrati ancora sul lavoro “standard”, riformato perché possa tornare “forma comune” dei rapporti di lavoro, il Governo guarda ora al lavoro autonomo dimenticato nelle ultime due leggi di Stabilità e nella riforma del lavoro e alle più moderne forme di esecuzione della prestazione lavorativa permesse in particolare dal progresso tecnologico (il c.d. smartworking, nell’articolato normativo diventato “lavoro agile”).

 

Le novità in materia di tutela dei lavoratori autonomi non sono inaspettate: il Governo è intervenuto su nodi rilevanti e da tempo noti, con soluzioni di ampliamento delle tutele della “partita IVA” piuttosto tradizionali nella tecnica: difesa del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali (divieto alle clausole vessatorie), deducibilità delle spese per la formazione, accesso ai servizi di orientamento e riqualificazione, partecipazione agli appalti pubblici, indennità di maternità e congedi parentali, tutele per la malattia e l’infortunio. Si tratta di interventi che certamente rafforzano la “sicurezza” del lavoratore autonomo sul mercato, cucendogli addosso delle forme di protezione tipiche del lavoratore dipendente, con l’intento di superare alcune delle difformità di tutela che permangono tra i lavoratori “standard” e gli indipendenti.

 

Con ritardo il Governo si è accorto che nonostante la legislazione avversa del Jobs Act la crescita delle partite IVA non è un fenomeno ostacolabile per decreto, perché sempre di più è questa la sola forma di lavoro flessibile che si concilia con le modalità di svolgimento dei nuovi lavori, in particolari quelli del quaternario e del servizi tecnologici e informatici. In altri termini, questi collaboratori non sono vittime di un meccanismo di sfruttamento e precarizzazione, ma sempre più spesso indipendenti per scelta. A disagio, di conseguenza, se regolati da una normativa che concepisce la partita IVA come un abuso o un fenomeno residuale del mercato del lavoro. Il Governo ha voluto correggere questo “sguardo” distorto del diritto del lavoro (non riuscendo però a stravolgerlo), accogliendo buona parte delle proposte che negli anni sono state formulate da addetti ai lavori e dalle stesse associazioni di rappresentanza del settore (o sedicenti tali).

 

Il capitolo più originale del Collegato Lavoro approvato ieri non è però quello dedicato al lavoro autonomo, ma quello sul lavoro agile, definito “modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. Nei nove articoli dedicati a questo tema, il Governo vorrebbe regolare quello che in passato era identificato “lavoro da remoto” o “telelavoro”, definizioni che risultano evidentemente superate (e che non hanno mai avuto reale diffusione).

 

Già ora sono decine di migliaia i lavoratori agili che operano a risultato, svolgono le attività dei quali sono incaricati a distanza e in movimento grazie ai dispositivi tecnologici che permettono la connessione perpetua, non hanno orario di lavoro e postazione fissa. Tutto questo avviene in palese (ma volontario) contrasto con le norme di legge e le disposizione dei contratti collettivi. Le novità normative dedicate allo smartworking vogliono risolvere questa ipocrisia sostanziale e contemporaneamente incoraggiare la diffusione di questo istituto.

 

Nel farlo, però, appaiono incapaci di comprendere la reale portata della trasformazione in atto: una prestazione di lavoro senza orari, sedi fisiche, con “mezzi di produzione” (smartphone, tablet, pc…) variabili e “leggeri”, a risultato e senza controllo del processo etc… comporta un ripensamento di tutti gli assi tradizionali del nostro diritto del lavoro.

 

L’impressione è che un intervento così concepito non basterà a “contenere” l’impatto sul mondo del lavoro dell‘Internet delle cose, della on demand economy, dell’Industry 4.0. Non è certo sufficiente una sorta di nuova tipologia contrattuale che regola il lavoro a progetto in forma subordinata (questa, in sintesi, la soluzione tecnica scelta dal Governo) per preparare il diritto del lavoro italiano all’impatto con la quarta rivoluzione industriale.

 

Bene provare a fare questo primo passo, certamente. Ma il “cambio di verso” avverrà solo quando ci abitueremo a non cristallizzare il diritto del lavoro attorno alla sempre più instabile definizione di autonomia e subordinazione. Quando accetteremo che tutti i lavori, indipendentemente dalla natura dipendente o indipendente, dal settore economico, dal reddito, siano sempre di più “agili”, ovvero mutevoli, differenziati, ciclici e per questo bisognosi di tutele adattabili e diverse, slegate dalla “gabbia” della tipologia contrattuale e dell’ansia definitoria della legge.

 

Emmanuele Massagli

@EMassagli

Presidente ADAPT

 

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