Spagna: il datore di lavoro può richiedere al telelavoratore di fornire numero ed e-mail personali per urgenze legate al servizio

Interventi ADAPT

| di Lavinia Serrani

Bollettino ADAPT 19 maggio 2025, n. 19

La Corte Suprema spagnola ha dichiarato la validità, con la recente sentenza n.° 267/2025, del 2 aprile 2025, di una clausola del contratto di telelavoro che prevedeva l’obbligo, per i lavoratori, di fornire al datore di lavoro il proprio indirizzo e-mail e numero di telefono personali, nel caso in cui si rendesse necessario contattarli per motivi di urgenza legati al servizio prestato.

Il caso nasce da un contenzioso tra sindacati e un’azienda del settore dei contact center riguardo alla legittimità di alcune clausole dei contratti di telelavoro firmati tra l’azienda e i suoi dipendenti, e alla loro compatibilità con determinati articoli della legge sul lavoro a distanza (Ley 10/2021, de 9 de julio, de trabajo a distancia) e del GDPR.

Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente accolto le richieste dei sindacati, dichiarando nulla la clausola che consentiva all’azienda di utilizzare i contatti personali dei lavoratori in caso di urgenze, in quanto contraria alla legge sul lavoro a distanza, in particolare gli articoli 11 e 17.2, i quali stabiliscono, rispettivamente, due principi: 1) il datore di lavoro deve fornire al lavoratore a distanza tutti i mezzi, le attrezzature e gli strumenti necessari per svolgere l’attività lavorativa; e 2) il datore di lavoro non può obbligare il dipendente a utilizzare dispositivi di sua proprietà per il lavoro a distanza.

Avverso tale decisione l’azienda presentava ricorso alla Corte Suprema, la quale, ribaltando il verdetto precedente, annullava la dichiarazione di nullità e confermava la validità della clausola in questione. Rilevano i giudici di questa Corte, che ai sensi dell’articolo 6.1(b) del GDPR, la fornitura da parte del lavoratore del proprio indirizzo e-mail e numero di telefono personali può essere considerata necessaria ai fini della «esecuzione» del contratto di lavoro, rappresentando quindi una base legittima per il trattamento dei dati personali.

Osservano i giudici, difatti, che «la realtà sociale attuale rende plausibile che la comunicazione tramite e-mail e telefono personale, strumenti tipici della comunicazione moderna, possa essere necessaria per lo svolgimento del contratto di lavoro». La clausola, inoltre, rispetta, secondo il loro giudizio, anche il principio di minimizzazione dei dati richiesto dal GDPR, essendo espressamente specificato che questi dati verranno utilizzati esclusivamente per contattare i lavoratori «in caso di urgenze».

Pur riconoscendo, i giudici, che potrebbe essere «auspicabile una maggiore precisione e specificazione di tali esigenze e urgenze», la clausola in questione, come si legge nella sentenza, «di per sé, non viola i requisiti di finalità, adeguatezza, pertinenza e limitazione al necessario del trattamento dei dati personali («minimizzazione dei dati») di cui agli articoli 5.1 b) e 5.1 c) del Regolamento generale sulla protezione dei dati. Questo è vero, in particolare, perché l’azienda può utilizzare l’indirizzo e-mail e il numero di telefono personali del lavoratore a distanza solo “se necessario” per contattarlo “in caso di urgenze di servizio”. Si tenga presente, ad esempio, che l’azienda deve garantire al lavoratore a distanza, soprattutto in caso di telelavoro, un supporto adeguato in caso di difficoltà tecniche, come previsto dall’articolo 11.2 della Legge sul Lavoro a Distanza (LTD)».

Altri passaggi della sentenza, inoltre, mettono in luce come il telelavoro abbia un impatto diretto anche su molti altri aspetti della vita personale e sociale dei lavoratori, come, ad esempio, sulla scelta del luogo in cui vivere. L’elevato costo degli immobili in Spagna ha reso questa modalità di lavoro a distanza un’alternativa praticabile per molte persone che desiderino vivere in zone economicamente più convenienti. Questo ha portato, in effetti, ad un aumento della domanda di abitazioni in aree rurali o in piccole città, modificando i modelli demografici ed economici e offrendo una maggiore libertà nella scelta del luogo di residenza, senza dover sacrificare il reddito.

La Corte Suprema, nella medesima sentenza, ha esplicitamente ribadito, altresì, un ulteriore principio, quello secondo cui le aziende non possano decidere unilateralmente la fine del telelavoro: l’opzione del ritorno al lavoro in presenza potrà essere stabilita soltanto mediante contratto collettivo o accordo con i dipendenti. Già in primo grado, difatti, era stata dichiarato abusivo limitare – facendo ricorso ad un contratto per adesione – l’esercizio del diritto di reversibilità da parte del lavoratore. Né può considerarsi ammissibile una clausola generale di rinuncia preventiva ai propri diritti nel caso in cui l’azienda eserciti la reversibilità, in quanto tale decisione potrebbe, in alcuni casi, risultare contraria al diritto.

Quelle trattate dalla sentenza in esame, sono solo alcune delle questioni che possono emergere dall’applicazione del telelavoro in Spagna, giacché, tanto più va consolidandosi come modalità di lavoro ormai comune, quanto più sorgono nuove domande sul suo impatto, regolamentazione e relazione con altri fenomeni.

Si pensi, ad esempio, al nomadismo digitale, uno stile di vita che consente ai professionisti di lavorare da remoto mentre cambiano residenza, combinando la propria attività con esperienze culturali in diversi Paesi. In Spagna, ad esempio, la Ley 18/2022, de 28 de septiembre, de creación y crecimiento de empresas promuove questo modello, facilitando l’insediamento di “nomadi digitali”, in particolare di coloro che lavorano per startup o aziende tecnologiche. Si tratta di un profilo professionale caratterizzato, generalmente, da elevata qualificazione, flessibilità geografica e oraria, interesse per il turismo esperienziale e ricerca di un equilibrio tra vita professionale e personale. Ad esso ricorrono principalmente persone che lavorano online e sfruttano la tecnologia per vivere in diversi luoghi del mondo, senza la necessità di un ufficio fisico. Sebbene non sia regolato direttamente dalla Legge sul lavoro a distanza, questo fenomeno beneficia del quadro normativo che promuove la flessibilità lavorativa.

L’affermazione del telelavoro, in buona sostanza, ha contribuito a consolidare un modello lavorativo più flessibile, adattato alle nuove realtà tecnologiche e sociali, e, in quanto tale, sempre più frequentemente oggetto di pronunce giurisprudenziali atte a definirne i confini di applicazione pratica. Allo stesso tempo, fattori come il costo della vita, la conciliazione e la competizione globale continuano a rendere il telelavoro un’opzione sempre più apprezzata dai professionisti.

Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT

Responsabile Area Ispanofona

X@LaviniaSerrani