Politically (in)correct – I dolori del giovane Emmanuel

Bollettino ADAPT 20 febbraio 2023, n. 7

 

Il presidente Macron sta cercando di fare approvare una riforma delle pensioni, che recuperi il fallimento durante il suo primo mandato, quando fu costretto a fare marcia indietro in conseguenza delle proteste che la proposta aveva suscitato nel Paese. Anche i nostri “cugini” sono molto sensibili alla questione dell’età pensionabile che, come da noi, è ciò che sopravvive ancora di un mercato del lavoro in via di forte trasformazione. Per di più i “magnifici 60 anni” sono il lascito di un grande presidente, Francois Mitterrand, il quale – quando vinse per la prima volta le elezioni portando la gauche al potere – aveva ridotto l’età di pensionamento da 65 a 60 anni per uomini e donne. I governi successivi avevano aggirato il tabù del requisito anagrafico (arrivato gradualmente a 62 anni) operando sul limite contributivo necessario per riscuotere il trattamento pieno. Macron intende fare ulteriori passi in avanti sia pure con parecchie cautele e compensazioni che si intravvedono in alcuni punti della proposta (esempio: nell’elevazione della pensione minima).

 

I punti chiave della riforma, proposti a nome del governo, da Elisabeth Borne, sono i seguenti:
 

1. aumento dagli attuali 62 a 64 anni dell’”età legale” del pensionamento;

2. carattere progressivo di questo aumento (per cui si arriverà a 64 anni nel 2030);

3. aumento, sempre in forma progressiva, del numero di anni necessari ad avere la pensione piena (fino ad arrivare ai 43 anni di contributi nel 2027, anziché nel 2035 come previsto dalla legge oggi in vigore)

4. deroghe per chi esercita mansioni usuranti;

5. misure a favore della ricostruzione delle carriere (tenendo anche conto dei “lavori di utilità collettiva”);

6. aumento della pensione minima, che sarà di 1.200 euro mensili lordi per chi abbia il massimo dei contributi.
 

Macron è in grave difficoltà perché, come è noto, non detiene la maggioranza nell’Assemblea nazionale e si scontra sia con le opposizioni di sinistra e di destra sia con le organizzazioni sindacali tutte schierate contro la riforma; compresa la Cfdt, il sindacato più innovatore e riformista. Il fatto è che il presidente sembra isolato anche nel mondo dell’accademia e degli intellettuali. Il che può sembrare singolare in un contesto europeo e internazionale dove quasi tutta la letteratura previdenziale sostiene che l’adeguamento dell’età effettiva di pensionamento alla decorrenza del trattamento è l’antidoto necessario per il mantenimento di un equilibrio sostenibile del sistema obbligatorio a ripartizione a fronte degli effetti concorrenti e stravolgenti dell’invecchiamento e della denatalità sul mercato del lavoro.

 

In verità la Francia si trova in condizioni migliori dell’Italia per quanto riguarda i saldi e i fattori demografici, ma è lodevole l’intenzione di prevenire gli squilibri, la stessa che induce il governo a varare una riforma cauta ma nella direzione giusta. La soluzione è ancor più difficile Oltralpe per i regimi differenziati (una battaglia che da noi è stata vinta grazie alla disponibilità dei sindacati che per primi hanno chiesto regole uniformi in particolare per il lavoro privato e quello pubblico) che rappresenta non solo la maggiore criticità del sistema francese (42 casse e regimi specifici), ma anche il baluardo della più accanita resistenza corporativa, in settori che erogano servizi di pubblica utilità. Il settimanale Express ha pubblicato un ampio servizio con interviste a sette economisti di destra e di sinistra per conoscere delle proposte per fare entrare maggiori risorse nelle casse dello Stato che siano alternative al “far lavorare i francesi più a lungo”. Non credo sia necessario citare gli intervistati con nome, cognome e professione, anche perché queste informazioni direbbero ben poco ai (venticinque?) lettori di questa nota. È invece utile e di un certo interesse elencare le proposte effettuate (tutte corredate da un grado di fattibilità e di efficacia): sette “tracce” per riflettere in maniera differenziata e alimentare il dibattito. In sostanza, le solite pratiche di “benaltrismo” molto diffuse, ovunque, allo scopo di allontanare il calice amaro dell’incremento dell’età pensionabile.

 

La prima “traccia”, ritenuta molto efficace ma di relativa fattibilità perché il governo non vuole aumentare le tasse, riguarda l’aumento delle contribuzioni sociali. La proposta non è esclusa dai sindacati. Il ragionamento prosegue con alcuni dati: le persone che andranno in pensione da ora al 2030 saranno in numero di 6 milioni; un incremento dello 0,8% della contribuzione fino al 2027 consentirebbe di recuperare 12 miliardi e “costerebbe” 14 euro al mese per i percettori dello SMIC e 28 per quelli a livello del salario medio. Oppure abolire gli esoneri contributivi “inutili” recuperando 2 miliardi l’anno. In sostanza si propone di aumentare le entrate per non diminuire la spesa.

 

La seconda “traccia” è invero bizzarra: far pagare anche coloro che sono già in pensione, senza effettuare tagli ma agendo sulla rivalutazione al costo della vita. La proposta viene giustificata con due considerazioni che in Italia vengono trascurate: la pensione media non è distante dal salario medio; tra i pensionati il tasso di povertà è inferiore di quello degli attivi. Vi è poi una motivazione che sembra punitiva: il 57% dei pensionati è favorevole alle proposte del governo a fronte di un 39% dei lavoratori attivi. Pertanto se vogliono la bicicletta non esitino a pedalare. La “traccia” ha una valutazione elevata per quanto riguarda l’efficacia, molto scadente sul piano della fattibilità.

 

La terza “traccia” ha un contenuto innovativo: aumentare la quota finanziata a capitalizzazione, rispetto a quella a ripartizione, attraverso l’istituzione di “fondi pensione alla francese” stabilendo che obbligatoriamente una parte dei contributi per la pensione sia versata alle forme complementari.

 

La quarta “traccia” potrebbe essere raffigurata con la spada di Brenno: si tratterebbe di tassare i ricchi, attraverso un’imposta patrimoniale per finanziare le pensioni. Vi sono anche delle quantificazioni: un’imposta del 2% sul patrimonio dei 48 miliardari francesi porterebbe un’entrata di 11 miliardi. La proposta viene indicata come scarsamente efficace e fattibile. Non ci vuole molto a capire – per il suo contenuto giacobino – che proviene da persone vicine alla coalizione di Jean-Luc Mélencon. Ma che le sorti di milioni di futuri pensionati possano dipendere dalla ‘’spremitura’’ di una cinquantina di riccastri merita al massimo un sorriso di compassione.
 

La quinta “traccia” è riconducibile alla solita storia della flessibilità che trova adepti anche Oltralpe (régime de rétraite à la carte). Ciascuno dovrebbe andare in quiescenza quando preferisce; mentre il montante dei trattamenti sarebbe calcolato secondo criteri attuariali in relazione all’attesa media di vita. Occorrerebbe però prevedere dei meccanismi di solidarietà intragenerazionale – un sistema di contribuzione sociale incrementato dalle imprese – proprio per evitare che i lavoratori precari siano costretti a lavorare più a lungo.

 

La sesta “traccia” propone un sistema di governance che responsabilizzi le parti sociali perché nei regimi in cui avviene (Agirc-Arrco) i risultati sono positivi. Inoltre, viene giustamente suggerita una maggiore integrazione tra ripartizione e capitalizzazione.

 

La settima “traccia” potrebbe essere descritta col paradosso della montagna che va da Maometto. Per colmare il deficit sarebbe sufficiente aumentare di 10 punti l’attuale tasso di occupazione (in misura del 56%) dei lavoratori senior, affidando loro un ruolo di tutor e garantendo una formazione professionale per tutto l’arco della vita attiva. Non si deve dimenticare, infatti, che ben 2/3 dei francesi con più di 60 anni non sono in attività. L’invito è quella di cambiare mentalità.  Ma c’è poi tanta differenza tra questa proposta e quella di aumentare l’età pensionabile?

 

Va segnalato che le ultime proposte, anche quando sono ritenute di qualche efficacia, vengono giudicate scarsamente fattibili. Per chi scrive, comunque, è già un momento di consolazione accorgersi che, pur essendo dotati di molta fantasia, nessuno dei “cugini” d’Oltralpe intervistati si è avventurato sul terreno infido della c.d. separazione tra previdenza e assistenza. Come intona Carlo Gèrard nell’Andrea Chénier: “È vecchia fiaba che beatamente ancor la beve il popolo”. Almeno in Italia.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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