Politically (in)correct – Economia e lavoro: arriveranno, e quando, i Tartari dal deserto?

Bollettino ADAPT 24 ottobre 2022, n. 36

 

La guarnigione della Fortezza Bastiani avrebbe certamente preferito che i Tartari attraversassero quel deserto dal quale si attendeva il loro minaccioso arrivo, piuttosto che dover vigilare quel confine come se il nemico invisibile potesse presentarsi all’improvviso, ma si sapesse nello stesso tempo che ogni giornata sarebbe stata simile a tante precedenti, trascorse, anno dopo anno, a presidiare il nulla, a scrutare il vuoto. Certamente, quei militari erano consapevoli che i Tartari avrebbero portato con sé la guerra, la morte e le distruzioni. Ma nessun evento è più logorante e insostenibile dal dover dipendere da un fatto esogeno imprevisto e imprevedibile, sul quale è impossibile esercitare una qualche influenza.

 

Forse il paragone è azzardato e inopportuno, ma sono mesi – da quando la Russia ha aggredito l’Ucraina e si sono aperti e aggravati moltissimi fattori di crisi – l’opinione pubblica sembra essere in attesa di catastrofi destinate a provocare instabilità politica, crisi economica, disoccupazione e povertà, fino ad arrivare al rischio di quella guerra senza vincitori che l’umanità ha temuto e teme in relazione ai rapporti tra le potenze che dispongono dell’armamento nucleare. Da mesi siamo in attesa dell’Apocalisse sotto specie di crisi energetica e delle materie prime, di un’inflazione che riduce i redditi, di una povertà che attacca strati di popolazione sempre nuovi. Si parla di aziende che chiudono; di centinaia di migliaia di licenziamenti; sia la Confindustria che le organizzazioni sindacali chiedono ulteriori sussidi e aiuti anche se tutto ciò dovesse comportare quello scostamento di bilancio che sembra essere diventata – come durante la campagna elettorale – la misura che mette alla prova l’attenzione del governo per i problemi delle famiglie e delle imprese.

 

Abbiamo sentito nelle scorse settimane tessere elogi per Liz Truss, per aver dato corso ad una manovra di grandi dimensioni in deficit che ha determinato il crollo della sterlina e costretto la Banca d’Inghilterra a compiere acrobazie di carattere finanziario per evitare il peggio, tanto da costringere la premier Truss a dimissioni molto simili ad una fuga. Di fronte a queste profezie di sventura possiamo scegliere quale sia la linea di condotta più corretta. Ci fidiamo – come succede da anni – della percezione? Ci lasciamo convincere dai casi di persone in grave difficoltà che i talk show presentano come se la loro fosse una condizione generale? Oppure pretendiamo di vedere dei dati? Lo sappiamo. Le statistiche hanno dei limiti, soprattutto arrivano in ritardo in un contesto in cui le cose cambiamo nel giro di poche ore. Ma sono comunque più affidabili per i policy maker del “sentito dire”. Che cosa rivelano le statistiche? Nonostante tutto nel 2022 il Paese realizzerà una crescita superiore alle previsioni; la recessione – se ci sarà – è rinviata all’anno prossimo.

 

Nel corso dell’ultima conferenza stampa del governo Draghi dopo la presentazione del decreto Aiuti ter, il ministro Daniele Franco ha ricordato che “L’indebitamento resta al 5,6%, indicato nella Nadef e nel Def”, mentre le coperture del decreto derivano dalle maggiori entrate, dalla razionalizzazione delle poste di bilancio e dal meccanismo di compensazione applicato alle fonti rinnovabili.  “È fondamentale continuare a sostenere il settore produttivo, c’è incertezza a livello internazionale, ma è importante che la politica di bilancio continui a sostenere il settore produttivo. Se vi sarà un tasso adeguato di crescita, penso che la politica economica possa restare positiva, di sostegno alla crescita”, anche il prossimo anno, ha concluso Franco.

 

E l’occupazione? L’INPS ha pubblicato il 20 ottobre scorso il nuovo Osservatorio sul precariato (è un vezzo intitolarlo così?) con i dati aggiornati a luglio 2022. Si registra una crescita record per i contratti a tempo indeterminato, mai così forte dal 2015 e si conferma la ripresa ai livelli pre-pandemia. Mentre vi è un calo del 70 % delle ore di CIG autorizzate rispetto a settembre 2021. Come si legge nel comunicato riassuntivo dell’Istituto (in data 20 ottobre), nei primi sette mesi del 2022, infatti, si sono registrate oltre 5 milioni di assunzioni (che non sono necessariamente “nuove”), con un aumento del 21% rispetto al 2021. Lo sviluppo riguarda tutte le tipologie contrattuali, ma il dato che balza immediatamente agli occhi è la crescita record dei contratti a tempo indeterminato, più 33%, mai così alta dal 2015 (quando era in vigore un incentivo triennale fino a 8mila euro l’anno di decontribuzione a fronte delle nuove assunzioni).

 

Continua, poi, la forte crescita delle trasformazioni da tempo determinato, con un aumento significativo del 68% delle assunzioni. Sono in aumento, rispetto al 2021, anche le cessazioni dei rapporti di lavoro, quasi 4 milioni in totale, per tutte le tipologie contrattuali. Ciò nonostante, prosegue il comunicato, continua la crescita del valore del saldo su base annua, cioè la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni, che per luglio 2022 è pari a 609.000 posizioni di lavoro. Sono in aumento rispetto al 2021, infine, anche tutte le tipologie di rapporto di lavoro incentivato. Tuttavia, si rileva per il mese di luglio la flessione dell’Esonero Giovani e dell’Incentivo Donne, in entrambi i casi, attribuibile alla mancata proroga fino a dicembre 2022 della misura al 100%. La crescita delle assunzioni – secondo l’Inps – si rispecchia nel processo di riassorbimento delle ore di cassa integrazione. Rispetto a settembre del 2021, infatti, si registra un calo del 70 % delle ore di CIG autorizzate. Queste sono state in totale 35,6 milioni (121 milioni l’anno scorso), il 9 % in più rispetto ad agosto, mese che però, complice il periodo estivo, registra sempre una minore richiesta complessiva. Continua anche la riduzione del numero di ore autorizzate per la cassa integrazione per causali straordinarie e quelle concesse nei fondi di solidarietà, così come la CIG in deroga che cala quasi del 100% rispetto al 2021. Non dimentichiamo che il 2021 è stato l’anno del rimbalzo. Si dirà che questi sono dati che risalgono a luglio. Ed è vero. Come è vero che tutti gli istituti che si occupano del mercato del lavoro prevedono un calo nel quarto trimestre dell’anno. Ma è un processo dipendente da elementi esogeni e non comporta necessariamente situazioni drammatiche, a meno che il quadro geopolitico non precipiti.

 

Che la tendenza generale dell’occupazione volga al ribasso – almeno si comincia a ragionare di dati e non di percezioni – emerge anche dai programmi di assunzione del mese di ottobre, secondo l’indagine Excelsior, la quale prevede 477mila (153mila giovani con meno di 29 anni) assunzioni, 27mila in meno rispetto ad un anno fa (-5,4%). Si accentua la tendenza negativa per fine anno: 1,2 milioni di assunzioni nel trimestre ottobre-dicembre con un calo di 141mila rispetto a quelle attese (-10,4%). La tendenza al ribasso è lenta ma potrebbe costituire l’inversione di un ciclo positivo – per quanto riguarda le previsioni di assunzione – fino ad agosto, quando erano 285mila i lavoratori ricercati dalle imprese per e salvano a circa 1,3 milioni per l’intero trimestre agosto-ottobre. Le previsioni di assunzione delle imprese a settembre, pari a 524mila, cominciavano a segnare, non una slavina, ma un’inversione di tendenza (-2mila e -0,4%) rispetto all’anno precedente. Rimane però un aspetto da non trascurare, sia pure in una prospettiva di riduzione. Nonostante la flessione nelle previsioni di assunzione, raggiunge il 45,5% la quota di assunzioni che le imprese giudicano difficili da realizzare, un valore superiore di 9 punti percentuali rispetto a un anno fa. Il mismatch è ormai una costante: ad agosto la difficoltà di reperimento dichiarata dalle imprese riguardava complessivamente il 41,6% delle assunzioni programmate (8,9 punti percentuali in più rispetto all’anno precedente). Tra i settori che incontravano le maggiori criticità emergevano le industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (55,6% dei profili di difficile reperimento), quelle del legno e del mobile (53,7%) e le costruzioni (52,7%). A settembre continuava a crescere la difficoltà di reperimento segnalata dalle imprese, che interessava il 43,3% delle assunzioni programmate, in aumento di 7 punti percentuali rispetto a settembre 2021 quando il mismatch tra domanda e offerta di lavoro riguardava il 36,4% dei profili ricercati.

 

Il mismatch è certamente uno dei problemi più seri del nostro mercato del lavoro anche perché non viene valutato come tale e non si provvede ad affrontarlo. Se si consultano le proposte delle organizzazioni sindacali e i programmi elettorali di quasi tutti i partiti le priorità delle politiche del lavoro riguardano incentivi, fiscali e contributivi, a favore delle nuove assunzioni (siamo ormai arrivati al paradosso per cui le aziende vengono “pagate” per assumere), ma nessuno si occupa dei posti di lavoro che non vengono coperti, ormai da anni. Il che, in un periodo di crisi, aggiunge – oltre al caro bollette – un’ulteriore difficoltà al sistema delle imprese. In tutti i paesi esistono squilibri tra la domanda e l’offerta di lavoro: è un processo fisiologico quando cambiano le tecnologie e l’organizzazione del lavoro. Da noi è divenuta ormai una patologia del mercato del lavoro. Combinando questo trend con quello delle dimissioni volontarie tuttora in competizione con quello dei licenziamenti finiremmo per comprendere ancora meglio lo stress (e il senso di impotenza) della guarnigione della Fortezza Bastiani.  

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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