La transizione scuola-lavoro in Italia: tra disorientamento e insoddisfazione

Interventi ADAPT

| di Arianna Zanoni

Bolllettino ADAPT 27 ottobre 2025, n. 37

Qualche settimana fa è stato pubblicato da INAPP un policy brief, a commento dell’indagine Plus 2024, dal titolo esplicativo: La (difficile) transizione scuola-lavoro dei giovani. Il paper offre spunti interessanti per riflettere sulle azioni e le dinamiche che dovrebbero favorire la transizione dei giovani dal sistema scolastico e formativo a quello del mondo del lavoro nel nostro Paese.

Occuparsi degli strumenti che accompagnano i giovani nel proprio inserimento lavorativo è un tema di particolare rilevanza e urgenza se si considera che l’Italia registra il più basso tasso di occupazione giovanile e uno dei più alti tassi di NEET in Europa secondo l’ultimo rapporto annuale Istat dello scorso maggio, in un mercato del lavoro che sembra più pronto ad accogliere lavoratori adulti rispetto a quelli più giovani in uscita dai percorsi scolastici (in tema vedi Lo stato di salute del lavoro in Italia, uno sguardo all’ultimo Rapporto annuale Istat in Bollettino ADAPT n. 20, 26 maggio 2025).

L’indagine a cui fa riferimento il policy brief ha convolto un campione di giovani tra i 18 e i 29 anni occupati e in cerca di occupazione e quello che ne emerge è una panoramica sulle loro percezioni e il loro rapporto con il mondo del lavoro che ormai stiamo imparando a conoscere: i giovani italiani non sono soddisfatti delle opportunità di lavoro, della retribuzione che ricevono, si sentono scarsamente orientati e percepiscono un disallineamento tra la loro formazione e le richieste del mercato del lavoro.

A questo proposito il report evidenzia una stretta relazione tra contesto familiare, divario di genere, titolo di studio, provenienza geografica e le percezioni che i giovani hanno della transizione scuola-lavoro.

Contesto familiare

In prima istanza il documento sottolinea come il contesto familiare di provenienza giochi un ruolo di primo livello sia nella percezione che nelle aspirazioni dei giovani nei confronti del lavoro: se in generale il 44% pensa che lavorare sia solo un modo per guadagnare, per il 29% è una necessità e per il 26% rappresenta un’occasione per realizzarsi, incrociando i dati con il contesto familiare i numeri cambiano in maniera interessante, portando al 30% la quota di ragazzi che reputa il lavoro un mezzo di realizzazione quando provenienti da un milieu favorevole contro uno scarso 18% per quei ragazzi con background familiare “inferiore”.

Relativamente alle difficoltà che incontrano i giovani in fase di inserimento lavorativo rilevano in particolare: la mancanza di idee chiare sulle possibilità lavorative, l’insoddisfazione nei confronti delle offerte di lavoro trovate e a carenza di opportunità lavorative (per il 24, 7% che sale al 34,1% per i ragazzi con background più debole).

Divario di genere

Analizzando le differenze tra uomini e donne emerge che sono gli uomini a fare più fatica ad orientarsi nel mondo del lavoro e a trovare servizi di orientamento (quando li trovano poi li giudicano in maniera più negativa rispetto alle donne). Queste differenze di genere sono particolarmente rilevanti nella fascia 25-29 anni, probabilmente perché è la fase a cui corrisponde, per gli studenti, l’uscita dal sistema di formazione e il conseguente ingresso nel mercato del lavoro.

Titolo di studio

Anche il titolo di studio ha un’influenza importante non solo sulle prospettive di lavoro, ma sulle stesse percezioni e aspirazioni dei giovani. Seppur con percentuali diverse in base al titolo di studio – per cui la categoria dei ragazzi con il solo diploma di terza media resta quella più fragile – in generale buona parte dei giovani registra difficoltà nell’individuare servizi di orientamento adeguati (sull’adeguatezza dei servizi di orientamento gli universitari sono i più critici) e offerte di lavoro soddisfacenti, oltre a una scarsa conoscenza delle possibilità lavorative (percentuali che aumentano al diminuire del livello di istruzione). Gli studenti universitari in particolare reputano le offerte di lavoro insoddisfacenti per motivi legati al sotto inquadramento o alla scarsa coerenza con i percorsi di studio o con le loro aspettative. Lo skill mismatch(ossia il disallineamento tra le competenze in uscita dai percorsi scolastici e quelle richieste in entrata nel mercato del lavoro) invece è prevalentemente avvertito da giovani con titolo di studio inferiore, che faticano a trovare posizioni lavorative in linea con le competenze in uscita dal proprio per corso di studi.

Analisi territoriale

Dall’analisi territoriale emerge infine il ruolo del contesto territoriale – che sappiamo essere particolarmente eterogeneo nel nostro Paese – nell’influenzare le dinamiche legate alla transizione scuola-lavoro.

In particolare si rileva che i giovani con licenza media provenienti dal Nord-Est mostrano la percentuale più alta di disorientamento. Per i giovani con diploma di secondaria superiore il Nord-Est resta la zona in cui le offerte di lavoro sono considerate meno soddisfacenti. È invece nel Mezzogiorno che si trova la maggior parte dei giovani in situazione di disorientamento tra gli studenti laureati, nonostante pare ricevano maggiore supporto dai servizi di orientamento e placement. Mentre il Nord-Ovest sarebbe l’area caratterizzata da offerte di lavoro più soddisfacenti per i laureati.

Se esistono diversi fattori che influiscono sui percorsi e sulle percezioni dei giovani all’ingresso del mercato del lavoro, c’è un sentimento, quello legato all’insoddisfazione lavorativa, che si manifesta trasversalmente e la cui principale causa è l’inadeguatezza salariale: i giovani lamentano infatti retribuzioni troppo basse, non in linea con le proprie competenze o con le mansioni svolte, o semplicemente con le proprie condizioni di vita. Salari troppo bassi impattano quindi in maniera importante sul grado di soddisfazione lavorativa dei giovani e conseguentemente sulla loro motivazione e sulle loro scelte professionali.

Insoddisfazione che cresce nelle coppie con figli e ancora di più nelle coppie senza figli, a conferma di come una retribuzione insufficiente rappresenti per i giovani un ostacolo concreto alla pianificazione del proprio futuro. Il tema della conciliazione e della distanza casa-lavoro è invece particolarmente problematico per le coppie con figli.

Nonostante lo smartworking non rientri, se non in minima parte, tra i fattori che influenzano il livello di soddisfazione lavorativa, si rileva una maggiore importanza attribuita da parte delle donne ai ritmi di lavoro e alla conciliazione vita lavoro, probabilmente a causa di una cultura che fa ricadere ancora sulle il lavoro di cura e familiare, rendendole più sensibili alla necessità di disporre di una maggiore flessibilità rispetto agli uomini.

Se si guarda invece alla categoria dei giovani laureati il livello di insoddisfazione lavorativa risulta prevalentemente determinato dall’incoerenza delle offerte di lavoro rispetto al proprio titolo di studio, portando così alla luce il ruolo dell’educational mismatch nella transizione università-lavoro.

Nelle conclusioni il Policy Brief si concentra sulle possibili soluzioni da implementare al fine di costruire un sistema stabile che garantisca un ingresso di qualità nel mercato del lavoro per i giovani, abbandonando l’approccio emergenziale che ancora caratterizza il processo di transizione scuola-lavoro in Italia.

L’orientamento (di qualità e personalizzato) diventa una leva centrale sia in ottica preventiva che di accompagnamento al lavoro a cui si somma, soprattutto per gli studenti laureati, la necessità di migliorare l’integrazione tra formazione e mondo del lavoro attraverso programmi di placement strutturati (in ADAPT lo sosteniamo da tempo, si vedano Placement universitario: ancora un miraggio per gli studenti e le aziende italianeinBollettino ADAPT 20 aprile 2017;Il placement universitario: un patto per l’occupabilitàinBollettino ADAPT 14 giugno 2017;) e la valorizzazione dei dottorati industriali: strumenti ancora altamente sottovalutati rispetto al loro potenziale (si veda Dottorati industriali: un nuovo modo di fare università nel XXI secolo inBollettino ADAPT n. 40, 2 novembre 2020). In questo senso rileva particolarmente il possibile ruolo degli uffici di Career Service, presenti ormai in tutti gli atenei pubblici e privati italiani. Questi servizi universitari che mirano a supportare e accompagnare gli studenti nel percorso universitario verso il loro futuro inserimento nel mercato del lavoro, sono però scarsamente fruiti da parte degli studenti.

A questo si somma anche l’alta frammentazione dell’offerta orientativa universitaria dovuta alla mancanza di uno standard nazionale e che spesso dipende dalle sensibilità della governance di ateneo. In questo contesto è più che mai evidente che i Career Service, offrendo opportunità gratuite di orientamento e formazione agli studenti universitari, nonché rappresentando uno strumento dalle grandi potenzialità nel favorire un maggiore connubio tra percorsi di studio e mercato del lavoro, dovrebbero rappresentare un caposaldo in materia di orientamento su cui è necessario investire più risorse.

Un maggiore raccordo tra formazione e mondo del lavoro è fondamentale anche per rispondere a skill mismatch e educational mismatch, senza snaturare scuole, università e istituzioni formative con programmi “al servizio” delle necessità del mercato, ma che sappiano piuttosto preparare gli studenti ad affrontare il cambiamento, ad acquisire una maggiore flessibilità e disporre di quelle competenze trasversali fondamentali per navigare in un mondo del lavoro in costante cambiamento e evoluzione. Aggiornare i percorsi di studio è sicuramente importante e rappresenta senza dubbio una buona pratica da applicare a qualsiasi processo che abbia alla base un lavoro di ricerca. Tuttavia, questo non è sufficiente per colmare skill e educational mismatch poiché la rapidità con cui il mondo del lavoro cambia rende indispensabile un aggiornamento continuo delle competenze tecniche, compito a cui scuola e università, per loro natura e funzione, non possono rispondere in modo tempestivo.

Al contempo, soprattutto se si considera il tema dell’educational mismatch, appare evidente che un raccordo tra formazione e lavoro non si possa verificare unilateralmente, ossia senza uno sforzo da parte del mondo produttivo, a sua volta chiamato a dotarsi di una maggiore adattabilità per riuscire ad accogliere i giovani lavoratori creando percorsi di inserimento che siano realmente in grado di valorizzare le loro competenze.

Per far fronte all’insoddisfazione lavorativa infine, proprio alla luce dei dati riportati dal report, in un sistema che funziona e che sia in grado di assorbire il capitale umano, non possono mancare interventi strutturati a garanzia della qualità dell’occupazione, sia in termini di stabilità contrattuale che in un’ottica di conciliazione vita-lavoro, e di sostegno ai salari in ingresso: fattori chiave per permettere alle giovani generazioni di lavoratori di immaginare il proprio futuro e la propria vita dentro e fuori dal lavoro. 

Garantire ai giovani un inserimento lavorativo soddisfacente e di qualità, infatti non è soltanto una necessità primaria per garantire una maggiore sostenibilità nel tempo del mercato del lavoro, ma è prima di tutto un tema di dignità e di giustizia sociale.

Arianna Zanoni

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

X@AriZanoni