“La Buona scuola” è legge: troppi compromessi, ma con qualche buona novità

Si è concluso l’iter della riforma del sistema scolastico cominciato il 3 settembre 2014 con la presentazione del documento “La Buona Scuola” e finalmente giunto al termine con il voto della Camera il 9 luglio 2015. Una riforma nata con l’obiettivo di ridisegnare a 360 gradi la scuola italiana, supportata dalla più vasta consultazione pubblica mai avvenuta in Europa, ma che nel corso dei mesi ha subito diversi ridimensionamenti e ha perso l’iniziale carica innovativa.

 

Il testo votato oggi è il risultato di un’azione forse eccessiva di compromesso che di fatto ha deluso quasi tutte le parti in campo: i “riformisti” perché si sono illusi che dopo le prime iniziative del Governo la riforma potesse essere davvero una leva di cambiamento del sistema; ma anche i “conservatori” perché la riforma apporta delle modifiche che comunque incidono, anche se con meno decisione rispetto alle intenzioni originarie, su tematiche che da sempre sono state tabù per il sistema scolastico italiano (si pensi alla valutazione degli insegnanti e alla chiamata diretta).

 

Tra le novità più importanti va sottolineato il riconoscimento della valenza educativa del lavoro che di fatto, grazie all’alternanza obbligatoria, diventa parte integrante dell’attività didattica nelle nostre scuole. Si tratta di una duplice svolta, sia culturale che normativa. Culturale perché l’alternanza scuola-lavoro è stato uno dei pochi temi che ha messo d’accordo tutti nel complesso dibattito sulla riforma scolastica: presidi, insegnanti, studenti, famiglie, sindacati, associazioni datoriali. Poche (e scientificamente inefficaci) sono state le resistenze ideologiche: un passo in avanti molto significativo rispetto alle frenate degli ultimi anni (si pensi al Decreto Carrozza del 2013).

 

Non c’è dubbio che si sia verificata una prima, reale, svolta normativa: l’alternanza scuola-lavoro è obbligatoria per 400 ore nell’ultimo triennio degli istituti tecnici e professionali, per 200 ore nell’ultimo triennio dei licei. In attesa dei decreti che la renderanno effettiva, è ormai chiaro il riconoscimento del diritto dell’imparare lavorando che permetterà agli studenti di vedersi aperte le porte delle imprese, delle associazioni, delle istituzioni e di tutti quegli ambienti extra-scolastici che possono contribuire alla loro crescita formativa e al loro orientamento. Nella stessa direzione vanno i laboratori territoriali, una maggiore semplificazione degli ITS e gli investimenti su informatica e lingua inglese.

 

Viene espulso invece da “La Buona Scuola” l’istituto dell’apprendistato. Inizialmente inserito come strumento contrattuale per mettere in pratica la metodologia dell’alternanza scuola-lavoro l’apprendistato (anche quello c.d. “scolastico”) è ora interamente regolato dal decreto 81/2015. Fermi i dubbi culturali e normativi sull’inserimento dell’apprendistato nel testo di riforma delle tipologie contrattuali, la scelta di eliminare i richiami all’apprendistato nella riforma scolastica (il nome dell’istituto non compare mai nel testo) si può ritenere opportuna viste le premesse: come a suo tempo rilevato infatti, la previsione dell’apprendistato nel decreto 2294 presentato alla Camera è stata scritta in modo tale da generare diversi dubbi interpretativi sul coordinamento col Jobs Act.

Più in generale, dal settembre 2014 al luglio 2015 (ddl 2994 alla Camera e ddl 1934 al Senato) sono state molte le modifiche all’impianto iniziale del progetto di riforma. Le modifiche hanno inciso sulle principali questioni su cui si è acceso il dibattito parlamentare ed extra-parlamentare nei mesi scorsi.

 

Le principali novità in sintesi:

 

Valutazione e premialità insegnanti. Sulla valutazione degli insegnanti, inizialmente attribuita al solo preside e in seguito ad una commissione allargata a uno studente e un genitore, la riforma approvata dispone che la valutazione sarà responsabilità di una commissione così composta: preside, due docenti del collegio dei docenti, un docente del consiglio di istituto, uno studente, un genitore, un membro esterno nominato dall’Ufficio Scolastico Regionale. Per evitare dunque la presunta deriva decisionista del “preside-sceriffo” il Parlamento fa una scelta per una maggiore collegialità che tuttavia renderà molto più complicato un’effettiva selezione degli insegnanti da premiare o da non premiare. Anche perché se nell’iniziale versione de “La Buona Scuola” gli scatti di anzianità cedevano finalmente il posto agli scatti di merito, gli ultimi testi passati per Camera e Senato, così come quello appena approvato, mostrano un evidente dietro-front: si torna ai soli scatti di anzianità ma sarà possibile premiare gli insegnanti attingendo da un fondo per il merito che sarà di 200 milioni all’anno.

 

Chiamata diretta insegnanti. Anche in questo caso domina una certa prudenza. La chiamata diretta prevista dall’iniziale versione del ddl alla Camera (con il preside che seleziona i docenti iscritti in un apposito albo territoriale) sarà operativa soltanto dal 2017. Nel frattempo si prevede l’assunzione di 102mila insegnanti precari programmata in quattro fasi che è stato uno dei veri motivi che hanno permesso alla riforma di arrivare fino alla fine. Nel piano “La Buona Scuola” gli insegnanti precari da assumere erano inizialmente 150mila. L’aspetto positivo è che da dicembre 2016 in poi la professione di insegnante nella scuola statale si potrà esercitare solo a seguito di un concorso pubblico: si può considerare definitivamente abbandonato il sistema delle GAE (Graduatorie ad Esaurimento).

 

Alternanza e didattica laboratoriale, ITS. Oltre all’alternanza scuola-lavoro obbligatoria nella scuola superiore previsto l’aumento, a parità del quadro orario complessivo, delle ore dedicate alle attività laboratoriali e interdisciplinari che aumenteranno in proporzione rispetto alle attività didattiche legate alle singole discipline. Per gli ITS si punta ad una maggiore uniformità della Governance e ma anche ad una maggiore flessibilità nel collegamento con le filiere territoriali: ai fini del riconoscimento della personalità giuridica le fondazioni ITS dovranno essere infatti dotate di un patrimonio, uniforme per tutto il territorio nazionale, non inferiore a 50.000 euro. In ciascuna regione sarà invece possibile attivare nello stesso ITS corsi di diversi settori disciplinari comunque legati alle vocazioni produttive del territorio.

 

School bonus. La decontribuzione fiscale (credito di imposta dal 50% al 65%) per imprese e soggetti privati che possono contribuire al finanziamento delle scuole è stata via via appesantita da misure che hanno l’obiettivo di garantire una più equa ridistribuzione. Nel progetto iniziale c’era maggiore liberalità per le imprese e più autonomia per le scuole: i fondi sarebbero stati utilizzati per potenziare e riqualificare istituti scolastici e laboratori, acquistare nuove tecnologie e per mantenere aperta la scuola anche di sera. Col passaggio alla Camera la destinazione dei fondi è stata vincolata alla sola manutenzione della struttura scolastica (e non ad attività didattiche). Infine nell’ultima versione approvata è stato definito un tetto massimo per le donazioni (100mila Euro per ciascun periodo di imposta). Previsto inoltre un sistema di ridistribuzione: il 10% di quanto viene ricavato dallo school bonus è inviato al Miur che lo ridistribuisce nelle scuole più svantaggiate.

 

Alfonso Balsamo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

@Alfonso_Balsamo

 

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“La Buona scuola” è legge: troppi compromessi, ma con qualche buona novità
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