India: al via una vasta riforma del lavoro contestata dai sindacati

Interventi ADAPT

| di Poonam Chand, Abhijot Singh

Bollettino ADAPT 9 dicembre 2025, n. 43

Negli ultimi anni l’India ha avviato una delle più vaste e ambiziose riforme della legislazione del lavoro della sua storia moderna, con l’obiettivo di superare un sistema normativo estremamente frammentato, complesso e spesso incoerente. Prima della riforma, infatti, il quadro giuridico indiano era costituito da oltre quaranta leggi separate, approvate in periodi storici differenti e caratterizzate da definizioni, procedure, criteri di applicazione e meccanismi sanzionatori non uniformi. Questa frammentazione aveva prodotto notevoli difficoltà sia per i lavoratori – spesso esclusi da molte tutele – sia per le imprese, che si trovavano ad affrontare un sistema di compliance oneroso, ridondante e scarsamente prevedibile. Il governo ha quindi deciso di riunire tutto in quattro codici più chiari e più moderni, con l’obiettivo di semplificare il sistema e renderlo più adatto all’economia di oggi. Da quello che emerge leggendo i documenti ufficiali e la stampa indiana, l’intenzione non è solo quella di ridurre la burocrazia, ma anche di includere categorie di lavoratori che in passato erano quasi invisibili dal punto di vista normativo, come i gig workers, i rider delle piattaforme, i lavoratori informali e molti migranti interni che cambiano città per trovare lavoro. La riforma, però, ha suscitato fin da subito molte proteste da parte delle principali confederazioni sindacali indiane (INTUC, AITUC, CITU), che accusano il governo di aver creato un sistema troppo favorevole alle imprese. La stampa indiana e internazionale ha dato molto spazio a queste proteste, che mostrano come la riforma continui a essere al centro di un confronto molto acceso e tutt’altro che risolto.

Il primo codice da considerare è il Code on Wages, che rappresenta il cuore della riforma economica. La legge introduce un sistema salariale molto più semplice e uniforme, eliminando le sovrapposizioni normative del passato. Estende i diritti relativi al salario minimo e al pagamento puntuale a tutti i lavoratori, compresi quelli del settore informale. Una delle novità più significative è il floor wage nazionale, un salario minimo di base stabilito dal governo centrale, sotto il quale gli Stati non potranno scendere. Questo permette una maggiore armonizzazione e riduce disparità territoriali. Il nuovo codice risponde anche alla necessità di eliminare burocrazia superflua, favorendo imprese più efficienti e lavoratori più tutelati. Oltre alla semplificazione, il Code on Wages introduce criteri più severi per il pagamento digitale dei salari, metodi uniformi per il calcolo delle componenti retributive e meccanismi di revisione periodica dei minimi. Il floor wage nazionale obbliga gli Stati a un riallineamento verso l’alto, creando un sistema salariale meno vulnerabile a politiche locali troppo basse e aumentando la protezione dei lavoratori informali.

Dal canto loro, però, i sindacati criticano il Code on Wages perché il floor wage nazionale sarebbe troppo basso per garantire salari dignitosi. Contestano anche che il governo centrale assuma troppo controllo, riducendo il ruolo della contrattazione collettiva. Temono che la semplificazione favorisca le imprese, permettendo deroghe che limitino gli aumenti reali. Inoltre, i sindacati ritengono che i criteri di calcolo dei minimi restino poco chiari e che manchino meccanismi di controllo efficaci, lasciando i lavoratori, soprattutto informali, ancora vulnerabili.

Un secondo codice da considerare è l’Industrial Relations Code, che aggiorna profondamente le regole su sindacati, controversie industriali e licenziamenti collettivi. Accorpa normative storiche, come il Trade Unions Act del 1926, introducendo definizioni più ampie di “lavoratore” che tengono conto anche delle nuove forme di impiego, tra cui gig workers e lavoratori delle piattaforme. Un cambiamento importante è l’innalzamento della soglia oltre la quale serve l’autorizzazione governativa per i licenziamenti collettivi: da 100 a 300 dipendenti. Secondo il legislatore, questo permette alle imprese di operare con maggiore flessibilità, pur mantenendo strumenti per la tutela dei lavoratori e la riduzione dei conflitti. Il Codice riforma anche i criteri di riconoscimento sindacale, introducendo soglie più definite per stabilire la rappresentatività. Le commissioni di conciliazione vengono rafforzate per evitare conflitti prolungati, mentre la procedura per gli scioperi viene resa più stringente con obblighi di preavviso più lunghi.

Queste previsioni sono tra le più contestate dai sindacati, che temono una riduzione del loro potere negoziale. I sindacati, infatti, criticano l’Industrial Relations Code perché ridurrebbe in modo significativo lo spazio di intervento delle organizzazioni dei lavoratori. Contestano soprattutto che le nuove regole sulla rappresentanza rendono più difficile per i sindacati mantenere un ruolo forte nella negoziazione collettiva. Ritengono anche che le procedure più rigide per gli scioperi limitino la capacità di mobilitazione, indebolendo la voce dei lavoratori nei processi decisionali. Infine, sostengono che queste misure possono tradursi in rapporti di lavoro meno stabili e in un potere contrattuale più debole, soprattutto nei settori dove i sindacati sono già fragili.

Il terzo codice è il Code on Social Security, che rappresenta forse il passo più innovativo della riforma. Il codice punta a rendere il welfare realmente universale, con la possibilità di trasferire i contributi tra Stati e settori, garantendo continuità anche a chi cambia spesso lavoro. Per la prima volta, inoltre, lavoratori della gig-economy, rider, autisti di piattaforme digitali, freelance e micro-lavoratori accedono a tutele come previdenza, assicurazione, maternità e pensione. La stampa indiana, come riportato dal Times of India, ha sottolineato come questo codice rappresenti un segnale forte verso l’inclusione di nuove categorie professionali finora escluse da molte protezioni formali. Il Codice prevede un registro nazionale dei lavoratori delle piattaforme, finanziato da contributi delle imprese digitali e dallo Stato. Vengono introdotti anche schemi assicurativi obbligatori e strumenti per garantire continuità contributiva a chi cambia frequentemente impiego o città, un fenomeno molto diffuso in India.

I sindacati, però, hanno sollevato dubbi anche sul Code on Social Security, perché ritengono che le tutele per i gig-workers risultano parziali e poco finanziate. In particolare, contestano i contributi troppo bassi richiesti alle piattaforme digitali, che rischiano di lasciare molti costi ai lavoratori o allo Stato. Temono inoltre che il registro nazionale resti inefficace senza controlli, e che il sistema crei diritti meno forti rispetto a quelli dei lavoratori tradizionali.

Infine, l’ultimo codice è l’Occupational Safety, Health and Working Conditions Code, che unifica numerose normative relative a fabbriche, miniere, cantieri, orari di lavoro e ferie. In particolare, il codice introduce standard minimi uniformi per salute e sicurezza, rendendo più chiaro ciò che ogni datore di lavoro deve garantire. Questa parte della riforma punta ad aggiornare norme in alcuni casi risalenti a decenni fa, rendendo gli ambienti di lavoro più sicuri e moderni, e assicurando che anche i settori non organizzati possano beneficiare di tutele adeguate.

In questo caso, invece, i sindacati hanno apprezzato l’unificazione delle norme sulla sicurezza, ma hanno criticato il Code perché gli standard minimi restano spesso generici, lasciando troppo margine di discrezionalità ai datori di lavoro. Le rappresentanze dei lavoratori temono inoltre che i settori non organizzati ricevano controlli e applicazioni limitati, riducendo l’efficacia delle tutele. Alcuni sindacati sostengono che le sanzioni previste siano insufficienti a garantire il rispetto delle norme, soprattutto nelle piccole imprese o nei cantieri.

In conclusione, i quattro Labour Codes rappresentano un passaggio decisivo nel tentativo del governo indiano di modernizzare un sistema normativo storicamente frammentato, poco chiaro e scarsamente applicato. La riforma introduce nuove tutele, amplia l’accesso alla protezione sociale anche per lavoratori finora esclusi (come i gig workers) e mira a rendere più semplice e prevedibile il quadro regolatorio per imprese e lavoratori. Al tempo stesso, però, i sindacati hanno evidenziato alcuni elementi critici, come l’aumento della soglia per la quale è necessaria l’autorizzazione per procedere ai licenziamenti collettivi e le nuove regole sulla rappresentanza sindacale, che potrebbero rendere più complicato per i sindacati organizzarsi e mantenere un ruolo forte all’interno delle aziende. Ci sono poi molte preoccupazioni anche per i gig workers, che secondo i sindacati continuano ad avere tutele deboli rispetto alla precarietà del loro lavoro. Infine, viene criticata l’idea di aumentare la flessibilità per le imprese, perché potrebbe tradursi in più contratti brevi, più turnover e un minor potere contrattuale per i lavoratori.

La valutazione complessiva sulla riforma resta quindi complessa. I dati sul mercato del lavoro mostrano negli ultimi anni un aumento dei livelli occupazionali, ma tali dati non riflettono necessariamente un miglioramento delle condizioni salariali o della qualità dell’occupazione. L’espansione dell’occupazione, infatti, è dovuta in parte anche alla crescita dell’economia informale e non sempre corrisponde a un aumento dei salari medi o alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Le critiche delle organizzazioni sindacali – che temono un indebolimento della contrattazione collettiva, standard minimi troppo bassi e controlli insufficienti – non possono essere ignorate e mettono in luce le possibili contraddizioni della riforma. I Labour Codes, pur segnando un importante avanzamento sul piano della semplificazione normativa, mostrano ancora margini di incertezza nella tutela effettiva dei lavoratori, soprattutto nei settori più vulnerabili.

La riuscita della riforma dipenderà, in ultima analisi, dalla sua concreta attuazione: dall’efficacia dei controlli, dalla capacità delle istituzioni di far rispettare le norme e dall’evoluzione dei salari e della qualità dell’occupazione nel medio periodo. Solo osservando questi elementi sarà possibile valutare se la riforma avrà davvero raggiunto l’obiettivo di modernizzare il mercato del lavoro indiano garantendo, al tempo stesso, protezione adeguata ai lavoratori e stabilità alle imprese.

Poonam Chand

Studentessa di #DirLav2025, Dipartimento di Economia “Marco Biagi”

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Abhijot Singh

Studente di #DirLav2025, Dipartimento di Economia “Marco Biagi”

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

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