Il costo e il danno del dumping contrattuale: perché si insiste sul terziario di mercato?
Bollettino ADAPT 6 ottobre 2025, n. 34
Diverse ricerche – alcune pionieristiche, per metodologie di analisi e chiavi di lettura proposte, altre “copia e incolla” più o meno sofisticati o maldestri di percorsi di ricerca avviati da altri – stanno giustamente attirando l’attenzione anche dell’opinione pubblica sul fenomeno dei c.d. contratti pirata, soprattutto nei settori del commercio, del turismo e dei pubblici esercizi.
Perché questa improvvisa attenzione sul dumping contrattuale nel terziario di mercato?
Per un verso lo spiega bene una recente ricerca pubblicata dal centro studi di Confcommercio, che evidenzia come la concorrenza sleale tra imprese giocata sulle retribuzioni dei lavoratori impatta anche sulle dinamiche della finanza pubblica con un danno alle casse dello Stato di centinaia di milioni di euro ogni anno per contributi non versati e tasse non pagate (qui la ricerca di Confcommercio).
Per l’altro verso, ben al di là dello stucchevole gioco dell’amico o nemico verso questo o quel sindacato, la funzione di queste ricerche è banalmente e molto semplicemente quella di denunciare una prassi intollerabile – per quanto da decenni perpetrata alla luce del sole – che consiste nel riconoscere, da parte di chi formalmente dichiara di essere al fianco dei lavoratori e si compiace di minimi tabellare ineccepibili, trattamenti retributivi complessivi minimi annuali che, grazie a furbizie e accorgimenti tecnici, risultano largamente al di sotto dei contratti storici con riduzioni dei compensi di lavoratori che oscillano tra i 3.000 e gli 8.000 euro annui (in tema, per una analisi dei 50 profili professionali più utilizzati nel terziario di mercato, letti in una ottica di comparazione tra diversi testi contrattuali, si rinvia a G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Fare contrattazione nel terziario di mercato, ADAPT University Press, 2025, voll I e II).
Parliamo di una fetta non marginale del nostro mercato del lavoro.
La contrattazione collettiva del c.d. “terziario di mercato” in senso stretto copre complessivamente ben 5,1 milioni di lavoratori, considerando il settore del commercio, della distribuzione, dei pubblici esercizi, il settore alberghiero, i servizi di vigilanza e immobiliari, i servizi tecnico-professionali, i servizi estetici e gli impianti sportivi.
Per contro, su oltre 1.000 contratti collettivi nazionali depositati nell’archivio pubblico del CNEL al 31 dicembre 2024, più di 250 ricadono nell’ambito del terziario, ma solo 37 registrano un effettivo grado di applicazione e cioè risultano applicati almeno l’1% del totale dei lavoratori del settore. Il resto dei CCNL ha un tasso di copertura irrisorio, trovando applicazione ad un numero sparuto di imprese e lavoratori, in zone peraltro geograficamente circoscritte.
Bene dunque la denuncia sul dumping retributivo a danno di singoli lavoratori, ma deve ora crescere la consapevolezza sulle radici più profonde di questo fenomeno che, il più delle volte, vede nella firma di un contratto nazionale di lavoro non l’espressione di una effettiva trattativa sindacale tra rappresentanze di interessi contrapposti o divergenti ma l’occasione, grazie al bollino pubblico “garantito” dal codice contratto, di entrare nel redditizio mercato dei servizi da erogare a imprese e lavoratori (dalla sicurezza, alla formazione e ai patronati) mediante sistemi bilaterali e altri organismi contrattuali che non risultano però radicati nel nostro sistema di relazioni industriali.
Ci pare questo il punto su cui avviare ora una nuova opera di piena trasparenza rispetto a spiegazioni di comodo che contestano queste ricerche in chiave “politica” e cioè contestando di voler così preservare, chissà con quale secondo fine, la posizione di “monopolio” della rappresentanza dei lavoratori da parte delle sigle sindacali storiche. Chi scrive ha avuto varie occasioni per denunciare, in maniera si spera costruttiva, i ritardi di parte del sindacato nel comprendere le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro, ma non ha mai perso consapevolezza che un conto è la rappresentanza di interessi sulla base di un vero mandato, da parte di imprese o lavoratori, mentre altra cosa è la vendita di servizi come se la rappresentanza fosse uno schermo per condurre attività che nulla hanno a che vedere con il principio di effettività della tutela e la libertà di impresa di cui, rispettivamente, agli articoli 39 e 41 della nostra Carta costituzionale.
Ricercatore in diritto del lavoro
Università eCampus
Università di Modena e Reggio Emilia
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@MicheTiraboschi