Il braccialetto di Amazon, facciamo chiarezza

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A tenere banco nel dibattito politico e sindacale degli ultimi giorni è stato senza dubbio il nuovo episodio della serie Amazon. Oggetto del contendere: il braccialetto elettronico brevettato dal colosso americano che consentirebbe un efficientamento dell’attività dei picker all’interno degli immensi magazzini della società attraverso la triangolazione dei dati relativi al posizionamento del lavoratore e dei pacchi da ritirare. Il dibattito, che ha già coinvolto alcuni giuslavoristi, si è soffermato sulle possibilità di controllo continuo dei lavoratori e sulla legittimità dell’introduzione di questo strumento nell’attività degli impianti italiani ai sensi delle normative vigenti.

 

In primo luogo occorre sottolineare come non si tratti di uno strumento già in uso e come le informazioni che le cronache giornalistiche hanno riportato non consentono di approfondire le concrete modalità di utilizzo previste, ma soltanto ciò che risulta tecnologicamente possibile. In assenza di una chiara ricostruzione dei diversi aspetti necessari per la valutazione della legittimità d’uso di un tale strumento, si ritiene, però, fondamentale cercare di fare chiarezza rispetto al quadro normativo vigente, anche sulla scorta della più recente casistica in tema.

 

A questo proposito occorre sottolineare come le discipline alla luce delle quali vagliare la legittimità di apparecchiature che consentono il controllo delle attività dei lavoratori afferiscano a due ambiti diversi. Da un lato la disciplina giuslavoristica dello Statuto dei lavoratori: art. 4 – come recentemente riformato nell’ambito del Jobs Act – e, per alcuni aspetti, art. 8. Dall’altro la normativa in materia di protezione dei dati personali: al di là del d.lgs. n. 196/2003 importanti riferimenti in questo ambito sono contenuti nelle fonti sovranazionali (particolare rilievo assumerà l’applicazione del Regolamento europeo 2016/679 in materia di trattamento dei dati personali).

 

L’art. 4 Stat. lav. prevede che l’introduzione di strumenti dai quali derivi anche la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori sia condizionata ad una procedura concertativo-autorizzativa (accordo sindacale o autorizzazione) e sia possibile laddove risponda ad esigenze produttive, organizzative, di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori o del patrimonio aziendale. Tali vincoli vengono meno laddove venga introdotto uno strumento che, pur avendo tali potenzialità di controllo, viene utilizzato per rendere la prestazione lavorativa (strumenti di lavoro). Le informazioni (i dati) provenienti dagli strumenti – tanto quelli di lavoro, quanto quelli introdotti per le esigenze sopra richiamate – possono essere utilizzati a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro qualora l’azienda abbia provveduto a fornire adeguata informazione su modalità di utilizzo degli strumenti e sull’effettuazione dei controlli e se trattati in osservanza della disciplina sulla privacy. L’introduzione della categoria degli strumenti di lavoro ed il regime di utilizzabilità dei dati rappresentano l’aspetto di maggior rilievo dell’azione di riforma, dal momento che in precedenza le tutele sopra richiamate trovavano applicazione per tutti gli strumenti e che – a fronte di un divieto espresso di controllo a distanza dei lavoratori – l’utilizzo dei dati provenienti da queste forme di controllo a fini disciplinari era stato escluso.

 

Anche a seguito della riforma, pur nell’assenza di un divieto espresso, uno strumento predisposto al fine del controllo a distanza dei lavoratori deve ritenersi vietato. Non è, però, il caso di specie.

 

Occorre allora interrogarsi sulla riconducibilità all’una o all’altra categoria di strumento. Da questo punto di vista si può sottolineare come le prime interpretazioni – provenienti dal Garante privacy e dall’Ispettorato del lavoro – abbiano confermato la posizione di quella dottrina che in sede di primo commento, rilevando la natura eccezionale della disposizione che introduce la categoria degli strumenti di lavoro, sosteneva la necessità di una interpretazione restrittiva. Si può citare, a questo proposito, il provvedimento del Garante n. 479 del 16 novembre 2017, laddove si parla addirittura di indispensabilità per la prestazione lavorativa (si trattava di un software di gestione code, per cui tale circostanza era esclusa).

 

Per questa ragione, i sistemi di tracciamento e geolocalizzazione sono stati di norma esclusi, in termini generali e salvo eccezioni, tanto dal Garante (si vedano, per esempio, i provvedimenti del Garante n. 138 del 16 marzo 2017 e n. 247 del 24 maggio 2017) quanto dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (si veda, Circolare INL n. 2/2016) dalla categoria degli strumenti di lavoro.

 

La difficoltà applicativa della distinzione come prospettata dal legislatore permane, ma l’orientamento prevalente ci porterebbe a ritenere che un software come quello prospettato nel caso Amazon, con finalità di efficientamento della produzione, e che rappresenta una funzionalità ulteriore rispetto a quella di indicazione dell’ordine e della sua localizzazione, possa essere ricondotto alla categoria di strumenti che per ragion organizzative e produttive consentono anche il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (art. 4 co. 1 Stat. lav.) con relativa applicazione della procedura e delle esclusive finalità di utilizzo.

 

Resta da capire se il trattamento di dati richiesto da uno strumento di quel tipo possa essere conforme alle discipline privacy ed eventualmente in quale forma. In primo luogo occorre ricordare che ai sensi degli artt. 3 e 11 co. 1 del Codice privacy i trattamenti devono essere conformi ai principi di liceità, correttezza, necessità, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità.

Da ciò, da un lato la necessità di impostare gli strumenti informatici utilizzati «in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità» (principio di minimizzazione dei dati, art. 3 d.lgs. n. 196/2003), dall’altro di impostare il trattamento dei dati personali in modo tale che l’eventuale attività di monitoraggio non sia continua (come ricorda il già citato provvedimento n. 247/2017 e come sottolinea anche la Raccomandazione CM/Rec(2015)5 del Consiglio d’Europa, §16.1) e che la conservazione del dato sia limitata allo stretto necessario. È, ancora, la casistica affrontata dal Garante che ci rende consapevoli di come sia tecnologicamente possibile e anche preferibile un sistema di tracciamento che utilizzi dati anonimi e che laddove non si renda necessaria per ragioni legittime una conservazione dei dati, provveda all’eliminazione dello stesso.

 

La panoramica, qui brevemente tratteggiata ci permette di affermare che, sebbene sia innegabile che una apertura al controllo dei lavoratori sia stata operata a seguito della riforma dell’art. 4 Stat. lav. soprattutto in punto di utilizzabilità dei dati, le tutele previste dalla normativa in materia di protezione dei dati personali consentono di escludere la legittimità di trattamenti deumanizzanti come quelli prospettati da alcune prime ricostruzioni della vicenda. Risultano, quindi, da escludere quelle ricostruzioni relative al caso Amazon che prefigurano la possibilità (o, meglio, la legittimità) in Italia di un Grande Fratello in azienda.

 

Rimane, di sfondo, la questione delle nuove enormi potenzialità d’uso dei dati prodotti nei contesti aziendali e dei possibili rischi per i lavoratori. Al contempo, come sottolineano riflessioni portate avanti a livello europeo molte sono anche le modalità d’uso degli stessi per finalità di tutela dei lavoratori con particolare riferimento alla loro salute e sicurezza (EU-OSHA, Monitoring Technology: The 21st Century’s Pursuit of Well-Being?. Discussion paper, 2017).

 

Una maggiore consapevolezza su tali potenzialità è necessaria. Al contempo si renderebbe fondamentale una maggiore trasparenza rispetto al tipo di attività posta in essere e alle modalità di utilizzo dei dati nell’ambito delle organizzazioni aziendali. In questo senso non si può nascondere una preoccupazione rispetto al venir meno della procedura concertativa per gli strumenti di lavoro. Nei nuovi contesti produttivi le modalità di gestione dei dati, non solo per il controllo, ma per processi decisionali, spesso automatizzati, nell’ambito della gestione delle risorse umane (people analytics) e dell’organizzazione del lavoro crea un nuovo ambito di necessario confronto tra parte datoriale e sindacale al fine di una gestione degli stessi in vista dei migliori interessi delle diverse parti coinvolte.

 

Emanuele Dagnino

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@EmanueleDagnino

 

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