I venticinque anni dei Fondi interprofessionali per la formazione continua. Un compleanno amaro con in dono nuove linee guida creatrici di diritto?

Interventi ADAPT

| di Michele Tiraboschi

Bollettino ADAPT 17 novembre 2025, n. 40

È all’articolo 118 della legge 28 dicembre 2000, n. 388 che si deve l’avvio della esperienza dei fondi interprofessionali per la formazione continua in Italia. Siamo dunque entrati nel venticinquesimo anno dalla nascita di uno degli strumenti di maggiore interesse e potenzialità maturati nell’ambito delle politiche di concertazione di fine secolo scorso. Prima con il Protocollo Ciampi-Giugni del 23 luglio 1993 sulla riforma della contrattazione collettiva e il costo del lavoro e successivamente con il Patto per il lavoro del 24 settembre 1996.

Un parto travagliato, anche solo se si ripercorre il passaggio dalla ideazione alla attuazione, che registra una brusca svolta evolutiva (ma sarebbe meglio dire involutiva) con la riforma contenuta nel c.d. Jobs Act del 2015. È da questo momento, con l’attrazione dei fondi interprofessionali nella rete nazionale dei servizi per politiche del lavoro, che uno strumento nato dai sistemi di relazioni industriali per accompagnare la nuova grande trasformazione del lavoro viene ingabbiato dalle logiche pubblicistiche di governo del mercato del lavoro.

L’esperienza dei fondi interprofessionali per la formazione continua, più volte raccontata e documentata da chi scrive, suggerisce in effetti di ripensare profondamente l’azione dei fondi interprofessionali dentro le logiche di relazioni industriali e della bilateralità sindacale (ampia argomentazione in M. Tiraboschi, I fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua in Italia: bilancio di una esperienza, in Professionalità Studi, 2022). Non pare tuttavia di questa opinione il Ministero del lavoro che si appresta a varare delle corpose linee guida sui fondi interprofessionali che non solo confermano ma anzi accentuano l’ingombrante presenza dell’attore pubblico rispetto a dinamiche che, per rispondere alle esigenze di imprese e lavoratori, dovrebbero restare fortemente ancorate, in termini di supporto e strumentalità, ai principali sistemi di contrattazione collettiva.

Lo schema di rilancio della azione dei fondi interprofessionali, per restare aderenti alla felice intuizione dei patti di concertazione che li hanno ideati, sarebbe in effetti molti semplice. Il campo di applicazione dei contratti collettivi individua le categorie contrattuali e cioè i settori entro cui ciascun fondo dovrebbe essere abilitato a operare senza cioè indebite invasioni di campo rispetto al perimetro della propria rappresentanza ed effettiva rappresentatività. Il sistema di classificazione economica e inquadramento giuridico del personale di ciascun contratto collettivo trova poi nei fondi la leva strategica per la costruzione e manutenzione dei profili professionali e per l’aggiornamento delle competenze e delle professionalità dei lavoratori.

Non è questa la sede per tornare su un tema tanto centrale quanto trascurato per il rilancio della produttività e per la qualificazione del lavoro anche in termini di risposta alla questione salariare (rinvio sul punto a M. Tiraboschi, I sistemi di classificazione e inquadramento del lavoro oggi: una prospettiva di diritto delle relazioni industriali, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2024). E non è questo il momento di analizzare in dettaglio linee guida che, per quanto note agli addetti ai lavori e alle parti sociali (che hanno in taluni casi reso pubblici i loro commenti critici sulle proposte avanzate dal dicastero di via Flavia), non sono ancora state rese ufficiali dal Ministero del lavoro.

L’obiettivo del presente intervento è molto più mirato ed essenzialmente diretto a sindacare le basi giuridiche dell’intervento prospettato dal Ministero del lavoro che, diversamente dal passato, si avvia a creare nuovo diritto attraverso uno strumento di soft law come le linee guida.  Pensiamo, solo per fare un esempio, alla proposta di riferire il requisito della «maggiore rappresentatività» indicato dalla legge istitutiva dei fondi non a tutti gli attori del fondo ma «ad almeno una delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e ad almeno una delle organizzazioni dei lavoratori aderenti al fondo». Una ‘previsione normativa’, se così possiamo dire, visto che parliamo di semplici linee guida, che assume valenza di prassi creativa di diritto e che tuttavia è in palese contrasto con la lettera e la ratio dell’articolo 118 della legge 28 dicembre 2000, n. 388.

La questione in realtà è ancora più semplice e lineare nel senso che il Ministero del lavoro non è di per sé abilitato a definire linee guida in materia di fondi interprofessionali per la formazione continua come pure fatto a più riprese in passato (nel 2004 e poi nel 2018 dal ANPAL) senza che nessuno avesse alcunché da obiettare in ragione dei contenuti di linee guida tendenzialmente coerenti con le finalità indicate dalla legge.

L’articolo 118, comma 2, della legge 28 dicembre 2000, n. 388, nel testo modificato dall’art. 48 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dopo aver stabilito che «l’attivazione dei fondi è subordinata al rilascio di autorizzazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa verifica della conformità alle finalità di cui al comma 1 dei criteri di gestione, degli organi e delle strutture di funzionamento dei fondi medesimi e della professionalità dei gestori» dispone espressamente che presso il Ministero del lavoro è istituito, con decreto ministeriale, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, l’«Osservatorio per la formazione continua».

Ora, è l’Osservatorio a cui la legge affida espressamente «il compito di elaborare proposte di indirizzo attraverso la predisposizione di linee-guida e di esprimere pareri e valutazioni in ordine alle attività svolte dai fondi, anche in relazione all’applicazione delle suddette linee-guida».

L’Osservatorio é composto da due rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da due rappresentanti delle regioni designati dalla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, «nonché da un rappresentante di ciascuna delle confederazioni delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale».

Detto che la legge è chiara nell’affidare all’Osservatorio il solo compito di «elaborare proposte di indirizzo attraverso la predisposizione di linee-guida e di esprimere pareri e valutazioni in ordine alle attività svolte dai fondi», è altrettanto palese che, per la fonte normativa primaria, l’elaborazione delle linee guida è un atto frutto di concertazione istituzionale con gli attori sociali in modo del tutto coerente con l’origine e la finalità dei fondi.

A conferma di tutto ciò si può anche richiamare, a contrario, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 novembre 2023, n. 230 recante il Regolamento di riorganizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in vigore il 1° marzo 2024.

L’articolo 26, comma 1, lett. g), del DPCM dispone che la Direzione generale delle politiche attive del lavoro, dei servizi per il lavoro e degli incentivi all’occupazione «autorizza l’attivazione dei fondi interprofessionali per la formazione continua di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e autorizza l’attivazione dei fondi bilaterali di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276» ma nulla prevede al riguardo di ipotetiche linee guida che restano dunque quelle indicate dall’articolo 118, comma 2, della legge 28 dicembre 2000, n. 388. Diverso, sempre in termini di conferma testuale, è il caso del fondo per il diritto al lavoro dei disabili rispetto al quale l’articolo 26, lett. c), del già richiamato Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 novembre 2023, n. 230 affida espressamente alla Direzione generale delle politiche attive del lavoro il compito della «definizione delle linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità».

La ricostruzione sin qui fornita risulta confermata anche dal Position paper delle Parti Sociali costituenti il fondo Formazienda in merito alle priorità e ai criteri di aggiornamento del quadro regolatorio dei fondi paritetici interprofessionali (reperibile sui siti di Sistema Impresa e della Confsal e, per comodità di chi legge, anche a questo link). In questo documento si propone, giustamente, di dare operatività all’«Osservatorio per la formazione continua» al quale la norma di legge attribuisce il compito di elaborare proposte di indirizzo attraverso la predisposizione di linee-guida e di esprimere pareri e valutazioni in ordine alle attività svolte dai fondi, anche in relazione all’applicazione delle suddette linee guida. Ricordano infatti Sistema Impresa e Confsal che l’«Osservatorio per la Formazione continua» è stato istituito con decreto ministeriale n. 383/V/03 e che tuttavia l’Osservatorio è da tempo inattivo e che la sua composizione risulta obsoleta in quanto priva della presenza di alcune parti sociali maggiormente rappresentative.  

In altri termini, a legislazione vigente, il ripristino dell’Osservatorio è il passaggio giuridico necessario per procedere, in una sede di concertazione istituzionale con gli attori sociali, a definire, come espressamente disposto dalla legge istitutiva dei fondi, le linee guida sui fondi stessi.

Linee guida che, in ogni caso, non possono essere fonte creativa di diritto e tanto meno disporre adempimenti, obblighi, requisiti formali e sostanziali e procedure che non siano quelle già previste dalla fonte normativa primaria.

A venticinque anni dalla loro costituzione i fondi interprofessionali per la formazione continua necessitano indubbiamente di un ripensamento e di un rilancio, proprio in ragione del loro ruolo strategico nei moderni mercati transizionali del lavoro. E tuttavia questo rilancio necessita di una visione, che non si vede nelle prospettate linee guida, e di una forte condivisione con tutti i principali attori del nostro sistema di relazioni industriali, auspicabilmente solo quelli radicati nei sistemi di datoriali e sindacali comparativamente più rappresentativi. Affidare a semplici – e unilaterali – linee guida la riforma dei fondi è già di per sé indice della assenza di una visione e di una condivisione e, come abbiamo cercato di argomentare, anche di un solido fondamento normativo che non può che passare dalla riforma della legge istitutiva e non da prassi creative del diritto che sono solo il viatico per un deleterio contenzioso giudiziario.

Michele Tiraboschi

Professore Ordinario di diritto del lavoro

Università di Modena e Reggio Emilia

X@MicheTiraboschi