I diritti e le tutele di lavoratrici e lavoratori con malattia oncologica

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Bollettino ADAPT 20 marzo 2023, n. 11
 
Lavorare in un’organizzazione sindacale, comporta anche l’affrontare insieme alle proprie iscritte ed ai propri iscritti delle situazioni tanto delicate quanto complesse, perché se è vero che il sindacato è il luogo di rappresentanza di lavoratrici e di lavoratori, è ancor più vero che esso rappresenta la sede più prossima presso la quale questi vengono a chiedere assistenza ed aiuto durante periodi difficili. I lavoratori e le lavoratrici che si trovano a dover affrontare una malattia oncologica, al di là della fondamentale terapia medica, si trovano a dover far fronte a questioni che coinvolgono la sfera sociale, assistenziale e anche economica. Per questo motivo è necessario saper essere sì empatici, ma soprattutto pragmatici.
 
La salute è definita dall’art. 32 della Costituzione come diritto fondamentale dell’individuo e come interesse della collettività. L’art. 2110 del Codice civile prevede il diritto della lavoratrice o del lavoratore a non essere licenziato per il solo fatto di essere malato: in particolare, tale articolo prevede che in caso di malattia -così come in caso di infortunio, gravidanza o puerperio- la/il dipendente abbia diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro (c.d. periodo di comporto) fino ad un termine individuato dalla legge, dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità. La contrattazione collettiva individua l’estensione di tale periodo, identificando un termine che rappresenta il bilanciamento tra l’interesse della lavoratrice e del lavoratore alla conservazione del proprio posto di lavoro e quello datoriale di non dover sopportare oneri e conseguenze del protrarsi di un rapporto caratterizzato da assenze prolungate o intermittenti. Il contratto collettivo può prevedere due diverse ipotesi di calcolo del periodo di comporto: i. il comporto secco, con cui si intende il termine del periodo nel caso di un’unica malattia lunga; ii. il comporto per sommatoria, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di più malattie.
A seconda delle previsioni del contratto collettivo, l’estensione del periodo di comporto può variare con il variare dell’anzianità lavorativa e, allo stesso modo, può variare anche il trattamento economico. Per esempio, il CCNL per i lavoratori dell’industria alimentare prevede che le lavoratrici e i lavoratori con un’anzianità lavorativa fino a cinque anni compiuti avranno diritto alla conservazione del posto per sei mesi pagati al 100%, mentre per le/i dipendenti che presentano un’anzianità superiore ai cinque anni il periodo di comporto si estenderà fino a dodici mesi, di cui sei pagati al 100% e sei pagati al 50%. Sempre ai sensi di tale CCNL, per l’azienda cessa l’obbligo della conservazione del posto e del trattamento economico «qualora il lavoratore abbia raggiunto in complesso, durante i 17 mesi antecedenti, i limiti massimi» nel caso dei dipendenti con un’anzianità lavorativa uguale o inferiore a cinque anni e, «durante i 24 mesi antecedenti» per i lavoratori e le lavoratrici con un’anzianità superiore ai cinque anni, «anche in caso di diverse malattie».
 
Alcuni CCNL, inoltre, prevedono ulteriori forme di tutela, come per esempio il CCNL per il personale dipendente delle strutture sanitarie, il quale esclude dal periodo di comporto i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital o i giorni di assenza dovuti all’effettuazione delle c.d. terapie salvavita (es. emodialisi, chemioterapia ed altre ad esse assimilabili). Tale previsione ammette il diritto del dipendente all’intero trattamento economico. Ad ogni modo, quest’ipotesi potrebbe comunque non essere una tutela sufficiente, dal momento che pare che i giorni di assenza non siano da computare ai fini del periodo di comporto soltanto nei casi in cui le suddette terapie salvavita vengano svolte in ospedale, dimenticando, quindi, che trattamenti del genere possono costringere la malata o il malato a riposo anche per giorni successivi.
Terminato il periodo di comporto, fruite tutte le ferie e i permessi a disposizione, l’azienda potrà valutare di licenziare la lavoratrice o il lavoratore nonostante il permanere della malattia, fornendo comunque, a scopo precauzionale, una adeguata motivazione al riguardo.
 
Affinché non venga violato il diritto fondamentale alla salute, i contratti collettivi o gli accordi tra lavoratrice/lavoratore (o sindacato) e parte datoriale, possono prevedere la possibilità di richiedere un periodo di aspettativa non retribuita. La parte datoriale, tra l’altro, non può escludere questa opzione, a meno che non dimostri l’esistenza di motivi abbastanza seri tali da negare la fruizione dell’aspettativa.
Inoltre, l’art. 4 della L. 53/2000 ha introdotto la previsione di un periodo di congedo, continuativo o frazionato, di due anni, durante il quale «il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali» (Art. 4 2) L. 53/2000).
 
Quando si parla di malati oncologici, soprattutto se la persona in questione sta già usufruendo dell’aspettativa non retribuita, è importante guardare anche alla copertura economica che può essere offerta dai Fondi di Assistenza Sanitaria Integrativa; in particolare il Fondo Enfea, l’Ente Bilaterale costituito da CONFAPI, CGIL, CISL e UI dedicato ai lavoratori delle Piccola e Medie imprese, prevede da un lato che « In presenza di periodi di malattia, della durata continuativa di almeno 30 gg, che danno luogo al solo trattamento economico a carico dell’azienda nella misura del 50% (senza integrazione Inps), viene corrisposto un trattamento economico di sostegno al reddito al lavoratore, pari a € 400,00, per un massimo di 6 mesi.», dall’altro liquida, tramite UniSalute, le spese relative a chemioterapia e terapie radianti così come le visite, gli accertamenti diagnostici e le terapie farmacologiche.
 
Un’ulteriore forma di tutela, prevista sia dal CCNL per i lavoratori dell’industria alimentare, che dal CCNL per i lavoratori dipendenti della piccola media impresa alimentare, così come dall’art. 8 d.lgs. 81/2015, è quella di chiedere la trasformazione -anche solo per un determinato periodo- del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. In questo caso potrebbe essere necessario accordarsi con l’azienda, dal momento che non in tutte le realtà è congeniale una soluzione del genere.
 
Parallelamente, la lavoratrice o il lavoratore oncologico possono procedere al riconoscimento dello status di disabilità grave, status che dà diritto a: i. tre giorni di permesso mensile, eventualmente frazionabili in ore; ii. due ore al giorno. Nel caso del riconoscimento dell’invalidità civile, con riduzione delle capacità lavorative superiore al 50%, è possibile beneficiare -anche non continuativamente- di un congedo per cure retribuito per un periodo non superiore a 30 giorni.
A chi, a causa di infermità fisiche o mentali, viene riconosciuta una capacità ridotta a meno di un terzo può essere erogato l’assegno ordinario di invalidità, con cui si intende una prestazione economica di validità triennale compatibile con l’attività lavorativa. Oltre al requisito della ridotta capacità lavorativa, è necessario che la persona che fa domanda abbia maturato almeno 260 contributi settimanali di cui 156 nei cinque anni precedenti la richiesta.
A proposito di disabilità, la Corte d’appello di Napoli (sentenza 168/2023) ha recentemente rimarcato che la norma collettiva sul periodo di comporto (nel caso di specie 180 giorni nell’anno solare) è solo apparentemente neutra, dal momento che, quando le condizioni della persona affetta da tumore sono tali da comportare una disabilità, i giorni di malattia dovuti alla disabilità stessa non sarebbero da considerare ai fini del periodo di comporto. Infatti, in tali casi, sarebbero da adottare degli accorgimenti ragionevoli che tengano in considerazione della natura della malattia, senza applicare in modo pedissequo la regola collettiva che, appunto, non disciplina in modo differenziato il superamento del periodo massimo di malattia, dando luogo ad una discriminazione indiretta.
 
Terminato il periodo di trattamento attivo -che nella maggior parte dei casi prevede ed implica una presenza regolare, se non costante, in ospedale- e riapertasi la possibilità di rientro al lavoro, la lavoratrice o il lavoratore verranno sottoposti ad una visita medica da parte del medico competente d’azienda, il quale valuterà l’idoneità -o meno- di svolgere l’attività lavorativa. In questo caso, il medico dovrà tenere in considerazione le condizioni di lavoro nella struttura nonché il ruolo specifico della/del dipendete all’interno dell’azienda. In caso di inidoneità, è possibile raggiungere un accordo con la parte datoriale, dal momento che è diritto del dipendente chiedere il cambio di mansione per motivi di salute e, dove possibile, è dovere del datore di lavoro accogliere tale richiesta. Nel caso specifico la lavoratrice o il lavoratore potrà anche segnalare un reparto o un ruolo che non comporti l’incorrere di rischi alla salute, tenendo conto anche della propria evoluzione come persona. È importante, infatti, legittimare anche gli effetti che la malattia oncologica può provocare non solo sul corpo, ma anche sulla mente: una persona affetta da tale patologia tende a non sentirsi più la stessa persona che era prima ed è importante accettarlo così da ritrovare un benessere lavorativo.
 
Francesca Valente

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena

@valentefranc

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