Condizioni e qualità della vita. Il Covid-19 e il divario di genere sul lavoro e a casa in una analisi dell’Eurofound

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Bollettino ADAPT 21 novembre 2022, n. 40
 
L’European Fondation for the Improvement of Living and Working Conditions  (EUROFOND) il 13 ottobre 2022 ha pubblicato il research report Living conditions and quality of life. Covid-19 pandemic and the gender divide at work and home in cui vengono esaminati i modelli pre-pandemici delle disuguaglianze di genere nell’Unione Europea nei settori del mercato del lavoro, del lavoro non retribuito e del benessere e analizza il loro impatto durante la recente crisi della COVID-19 così come le risposte politiche dei governi nazionali dell’UE per affrontare le disparità di genere. Nella parte finale del report (pp. 61-64), le autrici guardano a quelle che potrebbero essere i futuri sviluppi in Europa per quanto riguarda le disuguaglianze di genere, interpretando la crisi pandemica come una possibilità per future politiche promuovibili dall’Unione Europea e dagli Stati Membri.
 
Durante la prima fase pandemica, ci si aspettava che la crisi sul mercato del lavoro fosse più impattante per le donne piuttosto che per gli uomini e, infatti, i dati raccolti inizialmente da diversi paesi indicavano l’insorgere di una recessione femminile. Invece, a livello europeo, la pandemia ha avuto un effetto piuttosto neutro sul tasso di occupazione da un punto di vista di genere: nel 2019, il tasso di occupazione degli uomini era leggermente aumentato e raggiungeva il 79%, mentre quello delle donne era salito al 67%; il divario occupazionale, quindi, era di 12 punti percentuali. Per quanto riguarda i tassi dell’inattività economica degli uomini, questi sono stati moderatamente stagnanti (dal 18% al 16%), mentre quelli delle donne erano migliorati, diminuendo in modo più evidente dal 36% al 28%. Nel 2021 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stimava che a livello globale, l’occupazione femminile sarebbe diminuita del 4,2% tra il 2019 e il 2020, mentre quella maschile del 3,0%. Le statistiche che hanno coperto un arco di tempo più lungo, tuttavia, hanno rilevato un impatto occupazionale aggregato della pandemia nell’UE piuttosto equo dal punto di vista del genere.
 

Nonostante le donne abbiano più probabilità degli uomini di lavorare in quei settori che sono stati chiusi a seguito della diffusione del virus (per es. il settore turistico), analizzare il tasso di squilibrio di genere in altri settori permette di capire il motivo per cui le aspettative di una she-secession non si siano concretizzate. I motivi che hanno contribuito all’equilibrio tra i generi nell’impatto della crisi sul mercato del lavoro sono:

1. Nell’Unione Europea gli uomini hanno più probabilità di lavorare in quei settori c.d. non essenziali, mentre un gran numero di donne lavora in settori come la produzione alimentare, i servizi di pubblica utilità e di sanità etc., settori definiti essenziali;

2. Le donne hanno più probabilità di lavorare in settori in cui è possibile il telelavoro.
 
Ciò che è risultato ancor più evidente durante la pandemia, invece, è che gran parte della disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro è legata al divario nel lavoro non retribuito. Anche se negli ultimi anni in molti Stati Membri i tassi di occupazione femminile si sono avvicinati a quelli maschili, le donne continuano a sostenere la maggior parte del lavoro non retribuito: è questa discrepanza che ha prevalso durante la pandemia. L’allontanamento sociale e le misure per il contenimento dei contagi hanno fatto sì che molte attività (e nel periodo del lockdown tutte) dovessero essere svolte in casa, con la conseguenza che molti servizi divennero responsabilità delle famiglie, invece di essere forniti da enti esterni. Ciò ha accentuato ulteriormente la segregazione di genere nei compiti non retribuiti, con un aumento del tempo impiegato dalle donne in quei compiti di assistenza di bambini ed anziani, di preparazione dei pasti e di pulizia della casa. I dati pre-pandemici dimostrano che le donne europee svolgevano quasi il doppio delle ore di lavoro domestico -c.d. unpaid work– rispetto agli uomini; durante il periodo pandemico, nell’Unione Europea, la differenza di orario di lavoro settimanale, comprendente sia il lavoro retribuito che quello non retribuito, tra uomo e donna era di sette ore.
 
Come si è detto, le donne sono state sovra-rappresentate anche in quei settori in cui è stato maggiormente utilizzato il lavoro da casa ed è soprattutto in questi casi che si rinviene un drastico aumento del conflitto lavoro-vita privata, con un conseguente maggior livello di depressione, un più basso livello di ottimismo per il futuro e un più alto rischio di povertà o di esclusione sociale. Il 31% delle lavoratrici ha dichiarato di aver avuto “sempre” o “la maggior parte delle volte” difficoltà a concentrarsi sul lavoro a causa delle responsabilità familiari, nonostante entrambi i genitori lavorassero da casa. A questo scenario fanno eccezione quei nuclei familiari eterosessuali a doppio reddito in cui la donna non lavorava da remoto: qui la quota di ore spese nella cura dei figli è aumentata dal lato paterno ed è proprio in questi casi che si è notato uno scardinamento della tradizionale logica di suddivisione degli oneri domestici.
 
Analizzando il modo in cui gli squilibri di genere si sono evoluti o sono rimasti invariati durante la crisi Covid-19, sono interessanti le riflessioni proposte dalle autrici sui possibili sviluppi delle disuguaglianze di genere nell’Unione Europea: se una visione più pessimistica della questione crede che la pandemia abbia arrestato la contrazione del divario di genere -quando non l’ha addirittura accentuato-, secondo una visione più ottimistica il periodo di crisi e di ripresa è da interpretare come opportunità per stimolare un cambiamento sociale ed istituzionale negli Stati Membri dell’Unione Europea. È comunque fuor di dubbio che i piani di ripresa post-crisi debbano considerare ed affrontare in modo esplicito la disuguaglianza di genere, prendendo in considerazione fattori quali la segregazione di genere nei mercati del lavoro, le divisioni di genere nel telelavoro e nel lavoro ibrido e l’integrazione del genere nella definizione delle politiche -soprattutto in relazione al caregiving e ai servizi di assistenza. In riferimento a quest’ultimo punto, è necessario che ci sia una maggior inclusione delle donne in tutti i livelli del processo decisionale che porta alla discussione di policies più inclusive e, infatti, la Gender Equality Strategy sottolinea l’importanza dell’equilibrio di genere nella leadership di aziende, comunità e paesi. Si faccia anche caso che l’attuale quadro finanziario pluriennale dell’UE pone un forte accento sul mainstreaming di genere e che le disuguaglianze di genere sono prese in considerazione anche nel Next generation Eu, il quale pretende che le misure pianificate contribuiscano all’uguaglianza di genere e alle pari opportunità. Ancora, la European Care Strategy includerà raccomandazioni per il benessere di quei settori di lavoro in cui le donne sono sovra-rappresentate, come i caregiver informali, i lavoratori che si occupano di assistenza a lungo termine, dell’educazione e della cura della prima infanzia.
 
La pandemia ha aumentato in modo drastico il ricorso al telelavoro, strumento che da un lato ha il potenziale di migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, ma che dall’altro rischia di erodere il confine tra i due, senza considerare i più ampi effetti sulla progressione di carriera e sul benessere finanziario. Non si dimentichi, inoltre, che persone che hanno usufruito del lavoro da remoto hanno denunciato un orario di lavoro più lungo e meno definito e un senso di isolamento. Inoltre, in un contesto di scarso sostegno istituzionale alla genitorialità e all’assistenza, in particolare per quanto riguarda i compiti di cura dei bambini ad alta intensità di tempo, il lavoro da casa può sì offrire alle madri un meccanismo per mantenere le ore di lavoro retribuite, ma può comunque esacerbare le disuguaglianze nel lavoro non retribuito. Per questo diventa ancora più importante attivare politiche che prevedano servizi di assistenza di buona qualità, ma a prezzi contenuti. È proprio la pandemia che ha evidenziato come la fornitura di questi servizi consentano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, alla sicurezza economica e, in generale, al benessere.
 
Le politiche di genere devono anche essere in grado di far sì che i padri partecipino in modo più attivo e condividano in modo più equo i compiti di cura dei figli. Per questo diventano fondamentali le politiche di congedo parentale così come le pratiche aziendali nell’incoraggiare i padri ad usufruire del congedo retribuito. Intervenire su tali policies significa intervenire su norme sociali, cercando di cambiare tradizioni sessiste e atteggiamenti di genere.
 
Allo stesso modo, è fondamentale che l’uguaglianza di genere sia vista come un motore della ripresa post-pandemica e come parte della risposta alle sfide dei cambiamenti digitali, climatici e sociali. Infatti, le società che sono più egualitarie -anche sotto il profilo del genere- sono più coese. Wilkinson e Pickett hanno dimostrato che è la disuguaglianza il fattore che più influenza il welfare di una nazione (vedi K. Raworth, L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo, Edizioni Ambiente, 2017 p. 181).
 
Partendo dal presupposto che il rafforzamento dell’uguaglianza di genere consente alle società di realizzare al meglio il proprio potenziale, ne consegue che l’uguaglianza tra donne e uomini può fungere da motore della ripresa post-crisi e favorire il passaggio a un percorso di sviluppo più sostenibile per l’Europa. Il genere è collegato alle questioni climatiche ed elevati livelli di disuguaglianza nazionale tendono ad associarsi al peggioramento del degrado ecologico, in primis perché gli effetti del cambiamento climatico sono più dannosi per i gruppi svantaggiati (in cui le donne sono sovra-rappresentate), ma anche perché le donne svolgono un ruolo importante nella preparazione del cibo e nell’uso dell’energia in casa. Per questo incorporare una lente di genere è importante quando si sviluppano politiche che mirano a sostenere una giusta transizione.
 
Francesca Valente

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena

@valentefranc

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