La Legge 3 ottobre 2025, n. 149: il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica

Interventi ADAPT, Salute e sicurezza

| di Martina Zaccaria

Bollettino ADAPT 24 novembre 2025, n. 41

Lo scorso 24 ottobre 2025 è entrata in vigore la Legge 3 ottobre 2025, n. 149, recante «Disposizioni per la prevenzione e la cura dell’obesità» (G.U. n. 235 del 9 ottobre 2025). Nel solco delle principali iniziative internazionali e comunitarie – tra cui la Strategia sui problemi di salute correlati all’alimentazione, al sovrappeso e all’obesità, definita dalla Commissione europea nel maggio 2007 – l’Italia si colloca oggi come il primo e unico Paese al mondo a dotarsi di una legislazione specifica sull’obesità.

La presente legge riconosce formalmente l’obesità come malattia cronica, progressiva e recidivante, conferendo dignità a questa condizione e contrastando lo stigma sociale che la accompagna. Supera così l’idea, ancora diffusa, che la patologia derivi unicamente da una scelta volontaria della persona e stabilisce i principi fondamentali per la prevenzione e il contrasto dell’obesità adulta e infantile, al fine di garantire la tutela della salute e il miglioramento delle condizioni di vita delle persone affette. In tale prospettiva, individua strumenti di governance territoriale capaci di assicurare un’assistenza uniforme, equa e prossima ai cittadini, in attuazione dell’articolo 32 della Carta costituzionale.

In Italia oltre 25 milioni di persone sono in eccesso di peso, di cui circa 6 milioni in condizione di obesità, pari al 12% dell’intera popolazione. Il fenomeno interessa prevalentemente gli adulti: più del 46% di tutti gli italiani maggiorenni, corrispondenti a 23 milioni di persone. Anche tra i più giovani la situazione desta preoccupazione: il 26,3 % dei minori italiani tra i 3 e i 17 anni, ovvero 2 milioni e 200.000 persone, presentano problemi di peso. Secondo il World Obesity Atlas, se le misura di prevenzione e cura non miglioreranno, entro il 2035 l’impatto economico globale del sovrappeso e dell’obesità potrebbe raggiungere i 4,32 trilioni di dollari all’anno.

Entrando nel dettaglio, l’atto legislativo si compone di sei articoli che delineano un approccio integrato alla gestione dell’obesità, fondato su interventi di prevenzione, diagnosi, presa in carico, cura e su azioni di informazione e sensibilizzazione rivolte alla collettività.

L’articolo 1 enuncia i principi e le finalità della legge, riconoscendo formalmente l’obesità come malattia cronica e prevedendone l’inserimento nel Piano nazionale della cronicità, approvato dall’accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15 settembre 2016.

L’articolo 2 dispone l’inserimento delle prestazioni relative alla diagnosi, cura e prevenzione dell’obesità nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) di cui al D.P.C.M. 12 gennaio 2017. Si tratta del punto più atteso dell’intervento legislativo, volto a garantire un accesso uniforme alle cure su tutto il territorio nazionale.

Tuttavia, il nodo principale resta quello della effettiva implementazione delle disposizioni previste. L’aggiornamento dei LEA dovrà infatti comprendere tutte le prestazioni necessarie per una presa in carico multidisciplinare del paziente con obesità: dalle visite e le analisi specialistiche ai nuovi farmaci oggi in via di diffusione fino alla chirurgia bariatrica e alla prescrizione medica dell’attività sportiva.

Ad oggi, però, l’obesità non risulta ancora inserita nell’elenco delle patologie contenuto nell’allegato 8 del medesimo decreto con la conseguente preclusione ai pazienti dell’accesso gratuito alle prestazioni sanitarie fondamentali per la diagnosi e la cura. Tale lacuna rappresenta un ostacolo concreto alla piena realizzazione dei diritti riconosciuti dalla legge.

Proseguendo la lettura della norma, l’articolo 3 istituisce un programma nazionale per la prevenzione e la cura dell’obesità. Esso persegue diversi fini: l’adozione di iniziative volte a sostenere l’allattamento al seno per prevenire l’obesità infantile, la responsabilizzazione dei genitori nella scelta di un’alimentazione equilibrata per i figli e l’incoraggiamento di attività scolastiche ed extracurriculari orientate a uno stile di vita corretto. Particolare rilievo assume la previsione di misure volte ad agevolare l’inserimento delle persone con obesità nelle attività lavorative, riconoscendo il valore della dimensione sociale e relazionale nella cura della patologia.

Per l’attuazione di tali interventi è autorizzata una spesa pari a 700.000 euro per l’anno 2025, 800.000 euro per l’anno 2026 e 1,2 milioni di euro a decorrere dall’anno 2027. Ulteriori 400.000 euro annui, a decorrere dall’anno 2025, sono destinati alla formazione e all’aggiornamento in materia di obesità e sovrappeso degli studenti universitari, dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta e del personale del Servizio sanitario nazionale che intervengono nei processi di prevenzione, diagnosi e cura dell’obesità.

Ancora, l’articolo 4 istituisce presso il Ministero della Salute un Osservatorio per lo studio dell’obesità, con funzioni di supporto alla redazione del programma nazionale di cui all’articolo 3, nonché di monitoraggio, studio e diffusione degli stili di vita sani. L’articolo 5 prevede uno stanziamento di 100.000 euro annui, a decorrere dall’anno 2025, per sostenere campagne di informazione, educazione e sensibilizzazione rivolte alla popolazione. Infine, l’articolo 6 reca le disposizioni finanziarie, stabilendo la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della legge.

La legge, in definitiva, rappresenta un importante punto di svolta sul piano del riconoscimento giuridico e sanitario della obesità. Tuttavia, la sua piena efficacia dipenderà dall’aggiornamento dei LEA e dall’attuazione coordinata delle misure previste, condizioni indispensabili per tradurre i principi normativi in benefici concreti per i cittadini.

È infatti evidente che il crescente fenomeno dell’obesità e del sovrappeso solleva questioni rilevanti anche nel mercato del lavoro. Oltre ai costi diretti legati alle spese mediche e assistenziali, si registrano costi indiretti riconducibili a ridotti livelli di produttività, più alti tassi di assenteismo e presentismo, nonché a un maggiore rischio di infortunio sul posto di lavoro. Questi fattori contribuiscono a generare forme di discriminazione sia nella fase di ingresso nel mercato del lavoro che durante lo svolgimento del rapporto di lavoro (Silvia Fernandez Martinez, Obesità e licenziamento: quali sfide alla luce della giurisprudenza comunitaria?, in Bollettino Adapt del 18 maggio 2015, n. 19).

Un rilevante contributo per inquadrare il tema proviene dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. C. giust 18 dicembre 2014, C-354/13, Fag og Arbejde (FOA) v. Kommunernes Landsforening (KL)), causa 354/13 pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Essa ha precisato che l’obesità, pur non costituendo di per sé un handicap, può rientrare nel concetto di disabilità previsto dalla Direttiva 2000/78 qualora determini durature limitazioni fisiche, mentali o psichiche che, in interazione con barriere di diversa natura, ostacolano la persona interessata alla piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori. La pronuncia consente di equiparare obesità e disabilità nei casi in cui tale condizione impatta nello svolgimento della prestazione lavorativa. Ne deriva un rafforzamento della tutela dei lavoratori con sovrappeso e una maggiore attenzione alla necessità di adattare le condizioni lavorative alle specifiche esigenze delle persone affette da malattie croniche.

Come già osservato, dunque, lo stato di salute dei lavoratori incide in modo significativo sulla loro effettiva capacità di partecipazione al mercato del lavoro. L’obesità, infatti, può compromettere sensibilmente la capacità lavorativa e, in molti casi, aumentare l’esposizione a specifici rischi professionali. Inoltre, alcune condizioni organizzative, come il lavoro a turni o un contesto lavorativo particolarmente stressante, possono favorire l’insorgenza o l’aggravamento della patologia.

La complessità del fenomeno emerge chiaramente anche nella casistica giurisprudenziale che da tempo riconosce come alcune mansioni possano incrementare l’esposizione del lavoratore obeso a specifici rischi professionali o contribuire all’aggravamento della patologia, fino a favorire l’insorgenza di ulteriori disturbi. Emblematica, in tal senso, è la sentenza del Tribunale di Rimini del 14 luglio 2022, in cui, sulla base delle risultanze della CTU, il giudice ha esaminato il fenomeno delle vibrazioni trasmesse al corpo intero negli autisti di autobus, ampiamente documentato nella bibliografia medica. È stato accertato che la prolungata attività di autista di autobus di linea urbana costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo della patologia del rachide. Nel caso di specie, l’obesità del lavoratore – il cui indice di massa corporea era pari a 37,3 – è stata riconosciuta come concausa nella determinazione del danno, avendo contribuito a rendere il soggetto più vulnerabile agli effetti delle vibrazioni e allo sviluppo della patologia.

Nell’ottica delineata, ben si comprende come il luogo di lavoro debba assumere un ruolo strategico nella prevenzione dell’obesità e nella promozione della salute. Occorre quindi promuovere programmi di educazione alimentare per ridurre l’incidenza delle malattie croniche e migliorare il benessere dei lavoratori. Parallelamente, le imprese sono chiamate ad adottare misure organizzative e strutturali in grado di accogliere e tutelare i lavoratori affetti da obesità.

In proposito, un ruolo fondamentale è svolto dall’attività di sorveglianza sanitaria aziendale, in coerenza con quanto previsto dal D. Lgs. 81/2008, che richiama la necessità di considerare tutti i rischi (art. 28), l’attenzione all’ergonomia del posto di lavoro (art. 174, comma 1) e l’adattamento delle misure di prevenzione alle esigenze dei lavoratori appartenenti a “gruppi particolarmente sensibili al rischio” (art. 183).

Nella medesima prospettiva, infine, sono da leggere interessanti best practices sviluppate dalla contrattazione collettiva e orientate alla promozione di stili di vita sani. Un esempio significativo è rappresentato dall’accordo integrativo dell’azienda Beretta che individua nella sana alimentazione un obiettivo strategico aziendale (cfr. G. Benincasa, E. Massagli (a cura di), Indicazioni di policy, buone pratiche e fonti bibliografiche, in AA.VV., Il sistema prevenzionistico e le tutele assicurative alla prova della IV Rivoluzione Industriale, vol. VI, Adapt University Press, 2021, p. 76). Tra le iniziative attuate spicca il Semaforo della Salute: un sistema di emoticon di colore verde, giallo e rosso applicate sui vetri dei banchi mensa per segnalare l’apporto calorico medio delle pietanze, accompagnato dall’offerta di snack salutistici nei distributori automatici. L’impegno di Beretta si è esteso anche all’attivazione dello Sportello della Sana Alimentazione presso il quale una dietista professionista è disponibile due volte al mese per offrire consulenze. Sono stati inoltre installati due maxischermi e un totem informativo che, attraverso il software di ristorazione “Risto Cloud”, forniscono dettagli sul menù proposto settimanalmente. Questo modello rappresenta un esempio virtuoso di integrazione tra benessere organizzativo, prevenzione e responsabilità sociale d’impresa, in linea con i principi del D. Lgs. 81/2008 e con le moderne politiche di promozione della salute nei luoghi di lavoro.

Alla luce di tali considerazioni, emerge l’esigenza di strumenti normativi e politiche aziendali che favoriscano il miglioramento degli ambienti lavorativi e l’adattamento delle mansioni alle esigenze dei lavoratori con obesità. Il luogo di lavoro può così trasformarsi in un presidio di salute e prevenzione, favorendo una cultura del benessere fondata sull’inclusione, sulla sicurezza e sulla produttività.

Martina Zaccaria
ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti
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