Le posizioni delle parti sociali sulla legge delega approvata dal Parlamento in materia di salari e contrattazione collettiva
Bollettino ADAPT 30 settembre 2025, n. 33
È stato approvato in via definitiva il DDL n. 957 contenente le “Deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione“. La legge, approvata prima dalla Camera il 6 dicembre 2023 e dal Senato il 23 settembre 2025, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, decreti volti ad assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi; contrastare il lavoro sottopagato; stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali e contrastare i fenomeni di concorrenza sleale.
L’iter parlamentare
Questa notizia ci riporta immediatamente al tema del salario minimo che aveva caratterizzato il dibattito pubblico e sindacale nel 2023 (a cui avevamo dedicato il numero di un Bollettino ADAPT speciale, disponibile qui). Un tema non certo nuovo se si pensa che già il Jobs Act conteneva una delega al Governo – mai attuata – per introdurre il salario minimo per legge (art. 1, co. 7, lett. g), Legge n. 183/2014). Successivamente, anche nella XVIII legislatura furono presentati diversi disegni di legge in tal senso: il DDL Laus (n. 310 del 3 maggio 2018), il DDL Catalfo (n. 658 del 12 luglio 2018) e il DDL Nannicini (n. 1132 dell’11 marzo 2019), per nessuno dei quali si è mai conclusa la fase istruttoria (per un’analisi delle proposte in materia di salario minimo proposte nella XVIII legislatura, si veda D. Porcheddu, Il dibattito sul salario minimo legale in prospettiva italiana ed europea, ADAPT University Press, 2020).
La legge delega appena approvata ha iniziato il suo iter parlamentare proprio con la proposta di legge presentata a luglio del 2023 dalle opposizioni per introdurre il salario minimo per legge. La PDL n. 1275 del 4 luglio 2023 dal titolo “Disposizioni per l’istituzione del salario minimo” con primo firmatario Giuseppe Conte (M5S) aveva provato ad introdurre l’obbligo di applicazione dei minimi contenuti nei contratti collettivi comparativamente più rappresentativi e, parallelamente, un limite legale ai minimi contrattuali per impedire che questi scendessero sotto una certa soglia. Il testo stabiliva che il trattamento economico minimo orario (TEM) non potesse essere inferiore a 9 euro lordi, mentre il trattamento economico complessivo orario (TEC) – comprensivo di TEM, ex indennità di contingenza e tredicesima – non potesse essere inferiore a quello garantito dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nel settore di riferimento.
Per valutare la proposta di introdurre questa doppia forma di salario minimo, il Governo ha incaricato il CNEL di presentare osservazioni e fare proposte alternative per incrementare i salari. Il documento presentato dal CNEL nell’ottobre 2023, frutto del lavoro istruttorio della Commissione dell’Informazione e approvato dall’Assemblea, ha ribadito l’importanza di valorizzare il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva nella determinazione dei trattamenti economici minimi, dando indicazioni su come perseguire tale obiettivo. Questo documento ha trovato largo seguito negli emendamenti alla proposta di legge.
Il testo originario della proposta di legge, passato al vaglio della Commissione Lavoro alla Camera, è stato infatti integralmente modificato (già a partire dal titolo). Le opposizioni, di conseguenza, hanno ritirato la loro firma. L’esito è una proposta di legge delega al Governo (A.C. 1275-A e abb.-A) sui “trattamenti retributivi equi e giusti”. Il testo, approvato prima dalla Camera il 6 dicembre 2023, è stato approvato in via definitiva dal Senato a settembre 2025. Sebbene durante l’esame parlamentare ci siano stati dei tentativi di modificare alcuni articoli, il testo è rimasto sostanzialmente immutato.
La posizione delle parti sociali
Chiaramente, l’analisi di un DDL che, per la materia trattata, rischia di incidere in modo significativo sulle prerogative storiche delle parti sociali, non può prescindere dall’analisi delle loro opinioni relativamente alle disposizioni nello stesso contenute, espresse nelle memorie presentate dinanzi alla competente Commissione al Senato e qui di seguito riassunte.
| CGIL | Posizione piuttosto critica. Si denuncia innanzitutto la mancanza di coordinamento con la Direttiva europea sui salari minimi adeguati (2022/2041) sottolineando come il testo del DDL n. 957 rischi di indebolire, invece di rafforzare, la contrattazione leader di settore. In questo senso, viene severamente criticata l’adozione del criterio del “contratto maggiormente applicato” per la determinazione del trattamento economico minimo complessivo, considerata come un incentivo all’applicazione di contratti minori e scarsamente tutelanti nei confronti dei lavoratori. Sulla medesima scia, viene poi evidenziata l’assenza di adeguati strumenti di sostegno economico ai rinnovi contrattuali – come, ad esempio, incentivi o la detassazione degli aumenti salariali. Si esprime poi un netto rifiuto all’uso della contrattazione di secondo livello come strumento per l’adeguamento della retribuzione all’aumento dei costi della vita anche su base territoriale, vista come preludio al ritorno delle c.d. “gabbie salariali”. Critiche arrivano anche sul fronte degli appalti e subappalti, essendo l’impianto del DDL giudicato regressivo rispetto alla normativa esistente. |
| CISL | Riscontro positivo sullo spirito del DDL n. 957 – pur evidenziando la presenza di alcuni elementi di criticità, e auspicando che l’adozione dei futuri decreti legislativi coinvolgano direttamente le parti sociali. |
| UIL | Rifiuto dello strumento della delega legislativa per interventi in materia retributiva, a cui sarebbe invece da preferirsi una legge ordinaria, adottata in seguito a un confronto con le parti sociali. La definizione del trattamento economico complessivo minimo fornita dal DDL viene giudicata ambigua e non in linea con la definizione data dal Patto per la fabbrica: secondo il parere della Confederazione, la determinazione di un elemento così rilevante deve rimanere prerogativa esclusiva delle parti sociali. Si rilevano posizioni in linea con la CGIL in merito all’introduzione del criterio del “contratto maggiormente applicato” e il potenziale uso della contrattazione di secondo livello come strumento per l’adeguamento della retribuzione all’aumento dei costi della vita, anche su base territoriale. |
| Confcommercio | Messa in luce di una questione tecnica: i dati UNIEMENS non sono ritenuti attendibili per determinare i contratti più applicati, poiché il codice CCNL nei flussi è usato solo per calcolare i minimali contributivi, basati per legge sui contratti delle organizzazioni più rappresentative. Ciò significa che un datore di lavoro potrebbe, in linea teorica, dichiarare un CCNL per fini contributivi e applicarne un altro, anche con inferiori tutele. Viene inoltre respinta l’idea di incentivi legali ai rinnovi, ritenendoli inefficaci e privi di reale impatto sulle relazioni industriali. |
| Confesercenti | Critica al criterio del contratto maggiormente applicato, in quanto di difficile attuazione per la mancanza di un sistema certo e verificabile di rilevazione. Critiche anche agli incentivi legali ai rinnovi, ritenuti di scarsa efficacia. |
| ANCE | Approvazione del criterio del contratto più applicato purché accompagnato a riferimenti espressi al principio di rappresentatività. L’associazione si mostra favorevole agli incentivi ai rinnovi contrattuali, ma esprime perplessità in merito al potenziale intervento diretto del Ministero del Lavoro in materia salariale, ritenendolo potenzialmente lesivo degli spazi di autonomia contrattuale delle parti sociali. |
| Confartigianato e CNA | Perplessità sull’introduzione del criterio del “contratto maggiormente applicato”, giudicato quale potenziale fonte di contenzioso, similmente alla definizione relativa al trattamento retributivo complessivo minimo. Inoltre, si solleva un problema di coordinamento delle disposizioni in materia di appalti contenute nel DDL con l’art. 29, comma 1-bis, del d.lgs. 276/2003, il quale individua il criterio della maggiore rappresentatività comparata come parametro per la determinazione del trattamento economico da attribuire al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto. Sono invece valutate positivamente la promozione della contrattazione di secondo livello, le misure di trasparenza e le azioni contro il dumping. |
| Confprofessioni | Riserve sul criterio del contratto maggiormente applicato. Una simile trasformazione presupporrebbe, infatti, l’introduzione di perimetri contrattuali chiari che oggi, a parere dell’associazione, non esistono; per questo, Confprofessioni sottolinea la necessità che le parti sociali siano pienamente coinvolte nel processo di innovazione del sistema retributivo, e siano definiti, a livello legislativo, criteri certi per misurare la rappresentatività degli attori contrattuali. Positivi, secondo Confprofessioni, il rafforzamento della contrattazione di secondo livello e gli incentivi ai rinnovi contrattuali, sebbene con alcune riserve: l’intervento diretto del Ministero del Lavoro nei settori privi di rinnovi contrattuali rischia di porsi in contrasto con l’articolo 39 della Costituzione, che tutela l’autonomia delle parti sociali. |
| Conflavoro | Giudizio positivo. Si riconoscono nel DDL elementi già presenti in una propria proposta di legge. |
| UNSIC (Unione nazionale sindacale imprenditori e coltivatori) | Giudizio positivo. Viene sottolineato come elemento particolarmente rilevante la promozione dello sviluppo della contrattazione di secondo livello. |
| Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro | Individuazione di un nodo critico, ossia l’assenza di una soglia legale di tutela salariale, che potrebbe contribuire invece a salvaguardare, dal punto di vista economico, anche aree notoriamente fragili sul piano della copertura contrattuale (es. lavoro domestico, assistenza alla persona etc.). Allo stesso tempo, i Consulenti ribadiscono la necessità che il fulcro della regolazione retributiva resti in capo alla contrattazione collettiva maggiormente rappresentativa. In positivo, sostengono invece la valorizzazione della contrattazione di secondo livello come strumento per compensare la perdita del potere d’acquisto, soprattutto attraverso i premi di produttività. |
Conclusioni
Il DDL n. 957, sebbene apparentemente di portata meno dirompente rispetto alla versione presentata originariamente dalle opposizioni, contiene comunque una serie di elementi che potrebbero incidere significativamente sull’attuale impianto a tutela delle retribuzioni adeguate costruito da legislazione, giurisprudenza e ordinamento intersindacale italiano.
La portata innovativa di tali elementi, tuttavia, dipenderà dalle modalità con cui essi saranno declinati all’interno dei decreti legislativi adottati da parte del Governo, nonché dal livello di importanza che verrà attribuita ai profili di criticità ad essi relativi rilevati dalle organizzazioni datoriali e sindacali in fase di esame del DDL.
Si rilevano infatti diffuse perplessità riguardo l’introduzione del nuovo criterio del “contratto collettivo maggiormente applicato”, la possibilità di differenziazione retributiva per base territoriale per mezzo della contrattazione aziendale e il potenziale intervento ministeriale nel caso di intempestivi rinnovi contrattuali.
Il Governo ha sei mesi per recepire i principi contenuti nella delega e chiarire, all’interno dei propri decreti legislativi, i dubbi interpretativi espressi dalle parti sociali.
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
Ricercatrice ADAPT Senior Fellow
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@fedechirico