Vaccinazioni Covid in azienda: una prova di maturità per il paese

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Bollettino ADAPT 22 marzo 2021, n. 11

 

Negli ultimi giorni il dibattito pubblico italiano si è concentrato in modo piuttosto rilevante sulla possibilità, o addirittura secondo alcuni operatori del settore la necessità, che le aziende scendano in campo per dare un sostegno alla campagna vaccinale in contrasto alla pandemia Sars-Covid-2.

 

Nonostante il piano vaccinale sia tutt’ora in capo allo Stato, la prima regione italiana a rompere gli indugi e a presentare un protocollo indicante i principi generali è stata la Lombardia attraverso la deliberazione N. XI/4401 avvenuta durante la seduta del Consiglio Regionale svoltasi lo scorso 10 marzo. Il presente protocollo è stato in seguito sottoscritto da due associazioni datoriali, Confindustria Lombardia e CONFAPI, e dall’associazione nazionale medici d’azienda e competenti ANMA. Risulta immediatamente chiaro come questo primo passaggio non sia stato condiviso dai sindacati, in quanto nessuna sigla sindacale ha sottoscritto il documento. Le OO. SS. non hanno sottoscritto tale protocollo, tuttavia, non sono mancati, seppur in numero ridotto, nei mesi precedenti appelli, volti a porre attenzione su specifici settori, particolarmente colpiti dalla pandemia1 2. Ad ogni modo, uno dei tratti di rilevo di tale protocollo è certamente l’origine del processo, infatti è stata l’istituzione pubblica a proporre al mondo privato la sottoscrizione di questo documento e non si è trattata di una concertazione industriale poi ratificata in un secondo momento dalla Regione.

Il metodo utilizzato incarna sensibilmente il principio di sussidiarietà verticale, laddove l’ente pubblico si accorge che un’attività di interesse pubblico può essere oggetto di una cooperazione virtuosa fra ente statale e soggetti privati. Dunque, in questo caso si ritiene che questa presa di posizione sia di estrema importanza politica e culturale per addivenire all’esito positivo programmato vista la pubblicazione del protocollo in oggetto.

 

Gli elementi principali di questo progetto sono contenuti nello schema di accordo e nel documento “Allegato 1” denominato “Principi generali e requisiti per consentire in sicurezza l’estensione della campagna vaccinale anti-Covid19 alle aziende produttive lombarde”.

Iniziando l’analisi dallo schema di protocollo, all’interno dell’Art.1, come già trattato, viene esposto da Regione Lombardia il motivo originario di genesi del piano, ossia, a partire dal Piano strategico nazionale è emersa la necessità di creare sinergie per conferire maggiore efficienza alla campagna vaccinale all’interno dei confini regionali. Anche nel dettato dell’Art. 2 “Oggetto e finalità” sono contenute importanti indicazioni. In primo luogo, colui che guiderà operativamente le operazioni di inoculazione sarà il medico aziendale competente, il quale potrà somministrare il vaccino solamente a quei lavoratori iscritti al Sistema Sanitario regionale lombardo. Gli obiettivi da perseguire sono due, aumentare le sedie erogatrici in cui è possibile aderire alla vaccinazione e secondariamente facilitare e abbreviare l’attesa a quei cittadini che hanno un impiego lavorativo. A differenza di quanto previsto dalla Regione Veneto, il legislatore lombardo non ha previsto criteri di priorità fra l’insieme dei lavoratori, è probabile che questo punto sarà definito in un secondo momento, in cui, si spera, questo progetto entrerà nel vivo.

A seguire viene indicata la titolarità di questo piano di estensione della campagna vaccinale, la quale avverrà sotto l’egida della Direzione Generale dell’assessorato Welfare d’intesa con il Comitato Esecutivo.

Ultimo punto da evidenziare inerisce agli oneri finanziari necessari all’espletamento di tale servizio. Fatta salva la fornitura delle dosi, tutte le risorse economiche che si renderanno necessarie saranno da intendersi a carico delle imprese. Tali spese non sono specificate, tuttavia è plausibile rintracciarle nei compensi dovuti al medico competente, al personale che lo coadiuva e costi organizzativi generali.

 

All’interno dell’Allegato 1 redatto da Regione Lombardia è utile soffermarsi sulla figura del medico competente, la quale risulta essere il cardine operativo del procedimento. Quest’ultimo viene definito con estrema chiarezza il responsabile di tutto il percorso vaccinale. Il medico, infatti, oltre a dover conoscere e quindi a dover trasmettere agli interessati le informazioni inerenti alla somministrazione, deve organizzare e conseguentemente avere a disposizione in loco, tutto ciò che servisse nel caso in cui si dovesse verificare un’emergenza (reazione allergica, stato confusionale, ecc..). Secondo quando riportato, il medico incaricato deve essere messo nelle condizioni di avere strumentazione e personale idoneo per poter fare fronte, non solo al normale processo di vaccinazione, ma anche poter contrastare in via iniziale eventuali emergenze. Tale prassi era già stata indicata dal Protocollo stilato dalle parti sociali per la sicurezza nei luoghi di lavoro del 14 marzo 2020, poi rivisto in data 24 aprile 2020.

 

A stretto giro su tale tematica ha mosso i primi passi anche la Regione Veneto attraverso la Proposta n. 426/2021, il cui fulcro è il documento denominato “Allegato A”.

Tale proposta presenta numerose analogie con quella lombarda, tuttavia non mancano elementi in cui il documento formulato da Regione Veneto presenti delle specificazioni ulteriori; durante la trattazione mi soffermerò solo su queste ultime.

In fase di premessa, accanto all’obiettivo di velocizzare la campagna vaccinale aprendo all’apporto delle imprese, viene aggiunto un secondo obiettivo come quello di sostenere le attività economiche e produttive. Si vedrà soltanto col tempo se ciò determinerà una differente modalità di azione oppure si è trattato esclusivamente di un fatto formale. Riguardo alla figura del medico competente, si prevede che egli sia affiancato da personale di strutture pubbliche o convenzionate messe a disposizione dal servizio sanitario regionale.

Altro elemento da evidenziare risulta essere la classificazione dei soggetti, che anche all’interno della medesima azienda possiedono una via preferenziale. Regione Veneto propone come criterio da utilizzare quello della “stratificazione del rischio interno”. Certamente è una specificazione degna di nota, tuttavia resta da domandarsi se questa attività non rischi di occupare troppo tempo, visto che l’elemento della rapidità non è di sicuro secondario in questo percorso.

Terza ed ultima indicazione significativa contenuta nella proposta veneta è quella di estendere la vaccinazione anche ai familiari dei lavoratori aderenti che per età o categoria di rischio rientrano nel piano nazionale e regionale. Quest’ultimo aspetto non risulta essere di facile contestualizzazione, tuttavia ricade ampiamente nel tentativo di creare una proficua cooperazione fra struttura pubblica e imprese.

 

In conclusione, il presente documento presenta diverse questioni aperte riferibili sia a fattispecie tecniche sia riguardo a una generale attitudine di operare congiuntamente e in modo proficuo da parte di mondi diversi.

In ordine agli aspetti procedimentali, potrebbe verificarsi il rischio che le PMI siano state poste in posizione di svantaggio rispetto a realtà più grandi dimensionalmente, le quali possono usufruire di spazi adeguati e personale maggiormente qualificato per affrontare sfide così importanti.

Un altro punto non ben definito risulta essere quello di una suddivisione in fasce delle aziende per poter dare avvio al progetto, privilegiando magari quelle realtà in cui i dipendenti sono tenuti ad operare in presenza, in quanto la loro mansione non consente di agire da remoto. Solo per fare qualche esempio potrebbe essere conferita priorità agli operatori della GDO, al settore facility (pulizie e logistica) e a quello dei pubblici esercizi. Discorso a parte occorre farlo per il settore turistico e fieristico, duramente colpiti dalla pandemia in corso, anche in vista della prossima stagione estiva affinché possa costituire un importante trampolino di lancio per la ripresa economica dell’Italia.

 

Dopo questo focus su alcune criticità emerse dall’approfondimento della documentazione ad oggi disponibile, un esito positivo dipende principalmente da due fattori, quali la quantità dei vaccini disponibili e dalla capacità e volontà del nostro Paese di condurre i cittadini fuori da questa tremenda pandemia e aprirsi a una nuova fase di sviluppo. Se il numero dei vaccini dipende parzialmente dall’Italia, il secondo punto è assolutamente terreno interno. A questo livello verrà giocata la sfida, ovvero se e come le relazioni industriali e la concertazione saranno in grado di far cooperare tutti gli attori chiamati a giocare questa partita: enti pubblici in tutte le sue ramificazioni, associazioni datoriali e associazioni dei lavoratori. L’accelerazione del percorso vaccinale è l’unica strada per uscire dalla palude del Covid, pertanto si auspica che le relazioni fra i soggetti decisori non siano di intralcio, ma di aiuto e speranza.

 

Pietro Giovannini

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@GIOVANNINI_P

 

1 Comunicato stampa – Avviso comune per la tutela dei lavoratori e delle imprese del settore del commercio – 01 febbraio 2021

2 Verbale settore turismo e pubblici esercizi – 26 febbraio 2021

 

Vaccinazioni Covid in azienda: una prova di maturità per il paese