Legge di bilancio: (nuovi) diritti di precedenza sul lavoro agile. Prime riflessioni

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Bollettino ADAPT 8 gennaio 2019, n. 1

 

Tra le pieghe della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018) è comparsa anche, al comma 486 del suo articolo unico, una disposizione in materia di lavoro agile. Si tratta di una novella additiva rispetto all’originario art. 18 legge n. 81/2017, per cui il nuovo comma 3-bis del medesimo articolo dispone che «I datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità previsto dall’articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104».

 

Nonostante sia fuori discussione la condivisione del principio di fondo, la disposizione – lo diciamo subito – non convince pienamente né sul piano del metodo, né su quello del merito.

 

Quanto al primo profilo, è evidente che una siffatta formulazione – come anche la sua collocazione in legge di bilancio – non fa altro che evidenziare una mancata riflessione di fondo sul piano sistematico. È noto che la legge 81 ha appiattito la regolazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro “agile” sul livello individuale, obbligando datore di lavoro e lavoratore alla stipula di un apposito patto (modificativo e integrativo dell’originario contratto di lavoro subordinato), pur in assenza di accordi a livello collettivo o regolamentazioni aziendali. In dottrina si era persino evocata la fine dell’era del diritto del lavoro come strumento di protezione del solo “contraente debole” (M. Martone, Il lavoro agile nella l. 22 maggio 2017, n. 81: un inquadramento, in G. Zilio Grandi, M. Biasi (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, CEDAM, 2018, 461 e ss.), essendo qui le parti del rapporto individuale in grado di regolare in autonomia numerosi profili (dallo spazio ai tempi di lavoro, dal potere di controllo a quello direttivo e disciplinare), finora prerogativa di leggi inderogabili e contrattazione collettiva.

 

Al contrario, introdurre meccanismi di priorità che vincolano il potere di scelta datoriale significa spostare le valutazioni a livello di organizzazione di impresa e gestione del personale, che per essere ben governati forse necessiteranno (in futuro) quantomeno di regolamenti aziendali (non obbligatori) in grado di replicare e “procedimentalizzare” quanto previsto dalla disposizione in commento, altrimenti di difficile attuazione.

 

Spostandoci invece sul piano del merito, numerosi sono i profili di dubbio. In primo luogo, non si comprende la scelta dei destinatari (sole madri entro tre anni dal termine del congedo obbligatorio e genitori con figli con disabilità): vi sono infatti altre categorie di soggetti, già tutelati dall’ordinamento al pari di quelli citati, che restano di fatto esclusi. Si pensi al padre (anch’esso titolare di autonomo diritto al congedo), ai lavoratori disabili, ai lavoratori affetti da malattie croniche o oncologiche, lavoratori anziani, etc. In termini generali, laddove si introducono per legge elenchi di categorie di lavoratori selettivi, e perciò tassativi, il rischio è sempre quello di escludere soggetti meritevoli di pari tutela.

 

Peraltro, nella prassi vi sono già diverse esperienze di contrattazione collettiva a livello aziendale (sulla prima esperienza contrattual-collettiva si veda, in generale, AA.VV., Il “lavoro agile” nella contrattazione collettiva oggi, WP n. 2/2016, ADAPT University Press), che dimostrano il grado di attenzione verso la tutela di particolari soggetti, anche verso una platea ben più ampia di quella identificata dal Legislatore. Basti il riferimento all’accordo Zurich, che introduce grado di priorità per lavoratori malati o con familiari malati; l’accordo Crèdit Agricole Cariparma, che si riferisce prioritariamente a lavoratori disabili, in stato di gravidanza, con doveri di cura di figli di età inferiore a 8 anni; l’accordo ENI, che privilegia neomamme, neopapà, genitori con figlio in adozione/affidamento pre-adottivo (per una specifica mappatura cfr. E. Dagnino, M. Menegotto, L. M. Pelusi, M. Tiraboschi, Guida pratica al lavoro agile dopo la legge n. 81/2017, ADAPT University Press, 2017, spec. 114-117).

 

In seconda battuta, non è chiara la natura del diritto e i termini entro cui farlo valere. Può valere il momento della presentazione delle domande (non è certo obbligatorio per il datore di lavoro effettuare graduatorie con scadenze prestabilite)? Oppure potrà farsi strada la (assurda) lettura per cui nei tre anni successivi al termine del congedo non potrà essere concesso ad altri lavoratori, sulla falsa riga del diritto di precedenza per i rapporti a termine (art. 24 decreto legislativo n. 81/2015) sulle future assunzioni a tempo indeterminato? Nel secondo (infausto) caso si addiverrebbe ad una ingiustificata compressione dell’autonomia del fare impresa.

 

Si pensi all’ipotesi di lavoratore che chiede oggi di addivenire ad un patto di lavoro agile, gli viene legittimamente concesso e l’anno successivo, in forza del comma 3-bis, una madre nel frattempo rientrata dal congedo, avanzi sua richiesta: si genereranno certamente difficoltà sul piano organizzativo (in numerosi regolamenti o accordi aziendali è prevista la necessaria presenza di almeno un lavoratore in azienda o un limite massimo di lavoratori agili per reparto/ufficio).

 

E qui viene in luce un terzo elemento di perplessità: la totale assenza di qualsivoglia riferimento alla necessaria compatibilità di tale diritto da un lato con le oggettive esigenze organizzative e/o produttive dell’impresa, e dall’altro con le mansioni cui la lavoratrice / il lavoratore sono adibiti.

 

Infine viene alla mente una possibile ricaduta su di un elemento essenziale ed assai rilevante dell’accordo di lavoro agile, ovvero il diritto di recesso (G. Franza, Lavoro agile: profili sistematici e disciplina del recesso, in Dir. rel. ind., n. 3/2018, 773 e ss., secondo il quale «l’effettività della modalità di lavoro agile risulta inevitabilmente condizionata dalle regole di cessazione dell’accordo»), e – elemento a ciò strettamente connesso – la durata del medesimo patto.

È prevedibile infatti che il datore di lavoro si accordi con il lavoratore nell’individuare ipotesi legittimanti il recesso coincidenti con la perdita dello status di cui alla novella, come ad esempio: la perdita della condizione di disabilità del figlio; lo spirare dei tre anni dal termine del congedo.

 

Tale termine pare infatti essere periodo entro cui avanzare richiesta ed entro cui garantire lo svolgimento della prestazione in modalità agile; richiesta che quindi potrebbe essere legittimamente accolta anche a condizione del riconoscimento del diritto al recesso una volta scaduto tale arco temporale. Considerazione che peraltro farebbe preferire un termine calcolato dalla nascita (o adozione) del figlio ed entro un pre-stabilito numero di anni di età anagrafica dello stesso (come avviene ad esempio per il divieto di licenziamento o le dimissioni assistite).

 

Un ultimo profilo merita di essere almeno accennato. Anche con questo intervento si ripropone il grande quesito circa il rapporto tra (nuova) legge e (previgente) contrattazione collettiva (su tale rapporto, in generale, di recente cfr. i saggi e gli interventi contenuti in Aa.Vv., Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro post-statutario, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Napoli, 16-17 giugno 2016, Giuffrè, 2017). Riflessione che di recente si è posta sia con il Jobs Act, che dopo il c.d. decreto dignità, ma anche con la legge n. 81/2017 (cfr. M. Tiraboschi, Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, in Dir. rel. ind., n. 4/2017, spec. 946-953) ed in particolare avendo riguardo alla nozione legale di “lavoro agile” (art. 18) fondata sull’alternanza fra presenza all’interno e all’esterno dei locali aziendali, spesso distante dalle definizioni di fonte negoziale. Certamente dispiegheranno piena efficacia pattuizioni che già oggi prevedono categorie di destinatari privilegiati più ampie (v. supra). Infausta invece la sorte di clausole non conformi alla novella, che prevedono sistemi di accesso e preferenza che non contemplano le categorie di cui al nuovo comma 3-bis, sempreché non intervengano accordi integrativi in tal senso.

 

A ben vedere, si tratta di una “invasione di campo” che – pur mossa da nobili ragioni – finisce per irrigidire le dinamiche agili dell’organizzazione d’impresa, spostando il piano degli interventi tutto a favore della conciliazione, senza che siano immaginati correttivi a tutela della competitività, pure a fronte dell’equilibrio tra le due finalità imposto dallo stesso art. 18 co. 1 legge n. 81/2017, a seguito del quale la stessa novella è collocata.

 

Marco Menegotto

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@MarcoMenegotto

 

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