Le indicazioni delle organizzazioni internazionali sul telelavoro nell’emergenza Covid-19

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Bollettino ADAPT 29 giugno 2020, n. 26 

 

Dall’inizio della pandemia le istituzioni internazionali hanno condotto diversi studi per misurare l’impatto della crisi sul mercato del lavoro e i cambiamenti che la pandemia ha determinato sulle modalità di organizzazione del lavoro.

Nell’aprile 2020, un sondaggio online condotto da Eurofound dal titolo “Living, working and covid 19. First findings“ ha rilevato che più di un terzo della popolazione attiva in Europa ha iniziato a telelavorare a causa della pandemia. In precedenza solo il 5% della popolazione attiva dell’UE lavorava regolarmente da remoto. Inoltre, più di un quarto delle persone che lavora da remoto ha figli di età inferiore ai 12 anni e, nell’ambito di questa categoria, il 22% ha dichiarato di avere maggiori problemi di concentrazione rispetto alle altre categorie di lavoratori.

La percentuale di lavoratori che è passata a telelavorare è particolarmente alta nei paesi nei quali già si telelavorava prima dello scoppio della pandemia; in particolare nei Paesi Bassi, Lussemburgo e Danimarca più della metà della popolazione in età attiva è passata al telelavoro a causa del Covid-19. I paesi dell’Europa settentrionale e occidentale sono stati generalmente più veloci nella digitalizzazione dei luoghi di lavoro e nella realizzazione delle basi legislative che hanno consentito un passaggio agevole ad accordi di telelavoro. Inoltre, la cultura del lavoro diffusa in questi paesi – basata su progetti e sull’autonomia dei lavoratori – ha certamente favorito la diffusione del telelavoro rispetto a Paesi nei quali prevale una cultura del lavoro fondata su orari prestabiliti e stretta supervisione dei lavoratori.

 

Nel documento relativo alle politiche di contrasto al Covid-19 del maggio 2020 denominato “A policy framework for tackling the economic and social impact of the COVID-19 crisis l’ILO ribadisce che il telelavoro è uno strumento di fondamentale importanza sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori.

L’Ilo ricorda che la gestione efficace dei telelavoratori richiede un approccio basato sui risultati, l’identificazione degli obiettivi e dei risultati attesi, cercando di rendere le relazioni meno onerose.

È essenziale fornire ai telelavoratori e ai manager l’accesso a hardware e software adeguati (comprese app di telelavoro dedicate), supporto tecnico e formazione.

Tutte le parti coinvolte devono essere chiare sui risultati che devono essere raggiunti, le condizioni di lavoro, le ore in cui dovrebbero essere contattabili, oltreché sul monitoraggio dei risultati.

 

In un’altra ricerca condotta dall’ILO nell’aprile 2020 dal titolo “Working from home: estimating the worldwide impact” l’ILO ricorda che si deve tenere anche conto del fatto che l’adeguamento al telelavoro non è sempre così semplice. Infatti, mentre molte aziende hanno riconosciuto i vantaggi del telelavoro, alcune hanno avuto difficoltà a effettuare la transizione.

In Giappone, ad esempio,un sondaggio condotto dalla Japan Association for Chief Financial Officer prima dell’annuncio del 7 aprile dello stato di emergenza, ha consentito di rilevare che, mentre il 96% degli intervistati era d’accordo sull’importanza del telelavoro, il 31% delle aziende non era in grado di adottare il telelavoro perché i documenti non erano ancora digitalizzati e le regole e le procedure interne necessarie per il telelavoro non erano pronte.

Inoltre vi può essere minore ricorso al telelavoro in considerazione delle ripercussioni sulla riservatezza delle informazioni.

 

Vi è poi la questione della difficoltà di ricorso al telelavoro da parte delle piccole e medie imprese. L’Osservatorio argentino per le PMI ha riscontrato che l’uso del telelavoro da parte delle PMI è molto più contenuto rispetto alle grandi imprese. Solo il 55% delle PMI nel settore dei servizi, il 24% delle PMI nell’industria e il 23% delle PMI nel commercio al dettaglio utilizzano il telelavoro.

Le criticità del telelavoro in questo contesto emergenziale devono essere lette anche alla luce degli studi sul tema del telelavoro condotti dalle istituzioni internazionali prima dello scoppio della pandemia.

 

Occorre ricordare l’importante studio pubblicato dall’ILO nel novembre 2019 dal titolo “Teleworking in 21 century: An evolutionary perspettive”. Se da una parte emerge una certa correlazione positiva tra telelavoro e benessere dei lavoratori, una grave minaccia per il benessere dei lavoratori deriverebbe dalla mancanza di interazione sociale e solitudine (42%), nonché dalla mancanza di aiuto da parte dei colleghi durante il lavoro (30%). I lavoratori segnalano anche un indebolimento dei legami sociali e del supporto, nonché una diminuzione della lealtà e della motivazione dell’azienda. I risultati provenienti dalla Finlandia mettono in guardia sul fatto che che tale isolamento può essere collegato a livelli di burnout più elevati tra i telelavoratori.

 

Secondo l’ILO al fine di sfruttare appieno il potenziale delle nuove tecnologie e migliorare le condizioni di lavoro dei dipendenti che svolgono tale lavoro, è assolutamente indispensabile che i lavoratori siano giudicati in base ai risultati e che sia essi sia i datori di lavoro ricevano una adeguata formazione (In questo senso anche i 5 punti essenziali  per la gestione efficace del telelavoro elencati da J. Messenger, esperto dell’ILO in materia di orario di lavoro il 26 marzo 2020).

 

Dunque appare chiaro che la fase emergenziale ha aperto ancora nuove sfide per la salute e sicurezza dei lavoratori anche sul piano nazionale. In questo senso da una parte la consegna della informativa al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza prevista dalla normativa sul lavoro agile non deve far considerare esaurito l’assolvimento dell’obbligo di sicurezza ,dall’altra parte  la stessa contrattazione collettiva dovrebbe raccogliere la sfida posta da questa fase emergenziale per assumersi la responsabilità di considerare, oltre ai tradizionali rischi del lavoro da remoto (tra gli altri il rischio elettrico o la necessità di godere di pause),  anche altri rischi nuovi  che le recenti  ricerche hanno evidenziato, come il rischio da isolamento predisponendo adeguate soluzioni organizzative.

 

Paola de Vita

Dottore di ricerca in Relazioni di lavoro internazionali e comparate

 

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