Il “mercato” del c.d. “sesso professionale” tra intervento della Corte costituzionale e proposte di riforma legislativa

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Bollettino ADAPT 11 marzo 2019, n. 10

 

La Corte costituzionale, a seguito di discussione in pubblica udienza del 5 marzo 2019, ha dichiarato infondata (Comunicato stampa del 6 marzo 2019) la questione di legittimità costituzionale relativa ai reati di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione previsti dalla c.d. legge Merlin, di cui era stata investita dalla Corte di Appello di Bari con Ordinanza del 6 Febbraio 2018, resa nell’ambito del c.d. processo Tarantini in cui gli imputati sono accusati di aver organizzato, in favore dell’allora premier, incontri con escort «occasionalmente o professionalmente dedite alla prostituzione».

Seppure oggetto della decisione siano norme penali, le motivazioni del Giudice remittente non possono non indurre in chi si occupa di lavoro e di mercato del lavoro ad una riflessione sull’esistenza di un mercato professionale della prostituzione, sulla opportunità e sul fondamento di una sua legittimazione e su eventuali necessità, se non urgenze, di regolamentazione e tutela (peraltro anche manifestate da comitati per i diritti delle prostitute, la cui attività potrebbe anche essere vista come una proto-rappresentanza di una nuova categoria di lavoratori).

 

Il tema è attuale anche oltre i confini nazionali. Si ricordano in particolare due recentissime pronunce. Prima Conseil Costituzionnel in Francia, statuendo che la prostituzione, quand’anche resa in luogo privato tra adulti consenzienti, non rappresenta un atto di autonomia privata e libertà sessuale, né  di autonomia e libertà contrattuale, ma si colloca in una logica di sfruttamento e schiavizzazione dell’individuo.

Successivamente anche l’Audiencia Nacional spagnola si è pronunciata nel senso della illegittimità di un sindacato dei sex workers in quanto l’attività da questi esercitata costituisce un contratto nullo.

 

Non si intende in questa sede fornire una disamina esaustiva della questione del riconoscimento legale e della regolamentazione del mercato delle prestazioni sessuali (anche nell’ambito dell’assistenza ai disabili, fenomeno molto attuale ma invisibile agli occhi del legislatore), ma quantomeno tracciare il quadro della sua complessità e della sua evoluzione.

Come si vedrà in seguito, in campo c’è una delicata operazione di bilanciamento di diritti sullo sfondo di un mondo diverso da quello in cui la legislazione all’esame della Corte è stata adottata.

 

In attesa di conoscere le motivazioni della Corte Costituzionale, si riassumono di seguito le argomentazioni del Giudice d’Appello che rilevano in questa sede.

 

L’Ordinanza di rimessione: i punti chiave

 

Le argomentazioni della Corte d’Appello si fondano innanzitutto sulla necessità di considerare la differenza tra il contesto storico in cu la Legge Merlin fu adottata e quello attuale. In particolare si sottolinea che all’epoca dell’adozione della legge in esame, il fenomeno della prostituzione professionale non era «conosciuto e concepibile» nella maniera in cui lo è oggi, come emerge dalle circostanze fattuali oggetto del procedimento penale.

 

La questione di legittimità viene affrontata, in prima istanza, con riferimento alla violazione dell’art. 2 della Costituzione.

Con la sentenza n. 561/87 la Corte Costituzionale aveva sancito che la sessualità costituisce uno degli essenziali modi di espressione della persona umana e deve da ciò ricavarsi che esiste un diritto soggettivo assoluto alla sua disposizione, che rientra «tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire».

Secondo il Giudice d’Appello, da questo principio si può inferire che l’esercizio della prostituzione in modo libero, privo da coercizioni e senza forme di asservimento all’altrui potere organizzativo costituisce una modalità di autodeterminazione sessuale che si esplica nella scelta di dare una «veste contrattualistica allo scambio tra fisicità e lucro».

 

Viene a questo punto in rilievo anche la libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 della Costituzione, che costituisce un ulteriore parametro per il vaglio di legittimità.

La rilevanza penale delle condotte di reclutamento e favoreggiamento vengono lette dal Giudice a quo come un limite ad un interesse giuridico prevalente tutelato dalla Costituzione, quello appunto alla libertà di iniziativa economica ex art. 41, che impedirebbe lo sviluppo del settore al pari di altre forme imprenditoriali.

Ne deriverebbe, secondo il Giudice rimettente, una «ghettizzazione indebita del libero esercizio di una peculiare forma di lavoro autonomo che non trova giustificazione rispetto ad altre forme di professionalità riconosciute dall’ordinamento».

 

Per le ragioni sopra sintetizzate, il Giudice d’Appello ha ritenuto che l’antigiuridicità delle condotte di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione costituisca una limitazione alla piena realizzazione di diritti costituzionalmente tutelati.

Tali attività sono infatti interpretate dal Giudice rimettente come strumentali all’attività della prostituzione liberamente scelta; come una forma di intermediazione tra domanda e offerta delle prestazioni proprie del mercato del sesso, che può addirittura giovare a chi pratica la prostituzione dal momento che favorisce la realizzazione dello scopo di scambio lucrativo che liberamente chi esercita tale attività ha scelto di realizzare.

Né tantomeno varrebbe a sostegno della rilevanza penale delle condotte esaminate il fatto che offendano la morale pubblica, in quanto il bene giuridico tutelato dalla legge in esame non sarebbe quest’ultimo, ma proprio quella autodeterminazione che risulterebbe ora, calando la legge in un nuovo contesto economico e socio-culturale, repressa.

 

La Corte d’Appello analizza anche i profili di costituzionalità relativi alla determinatezza della fattispecie, così come quelli attinenti al principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., che seppur non privi di interesse si preferisce, per brevità, non esaminare in questa sede.

 

Proposte di riforma in Italia

 

Il tema è attuale anche sul fronte delle prospettive di riforma della legislazione nazionale sul punto e non si esclude che l’esito del recente giudizio di costituzionalità della Legge Merlin possa influenzarne l’evoluzione.

Si segnala in particolare il DDL n. 1047 del 7 febbraio 2019, ora in Senato in attesa di assegnazione.

Limitandosi ad una analisi estremamente sintetica, il testo prevede: il divieto di esercizio della prostituzione in luoghi pubblici o aperti al pubblico in comuni con meno di 10.000 abitanti; la previa autorizzazione del questore competente che provvederà all’iscrizione del richiedente in un apposito registro; alcune previsioni relative a controlli sanitari, misure contro la tratta delle persone e istituzione di gruppi speciali interforze; progetti di prevenzione e di recupero; casi specifici di non punibilità di condotte che agevolano l’esercizio dell’attività in luogo privato.

Se collochiamo il DDL nel contesto giuridico estremamente complesso che emerge dall’Ordinanza esaminata, sembrano apparire delle criticità.

La proposta legislativa sembra concentrarsi sugli aspetti più immediati, sul “qui ed ora”, senza tenere sufficientemente in considerazione una dimensione economica e professionale dell’attività di libera prostituzione, profili considerati quasi incidentalmente, collateralmente collegati al fenomeno. Non sembra chiaro che la scelta di legalizzare la prostituzione a determinate condizioni incida su un vero e proprio mercato, anche del lavoro e, magari, su quello di una copiosa mole di datisensibili”. Nella relazione di accompagnamento emerge inoltre quello che è forse un contrasto di fondo nella mente del legislatore: quello tra chi esercita la prostituzione e la «società civile», benché un sexworker – uomo o donna – sia comunque parte di quest’ultima.

 

Infine resta un dubbio sul tema dei controlli. Legalizzare il fenomeno implica che di pari passo si costituisca o si potenzi, non solo formalmente, un sistema di controlli di varia natura (sanitari, fiscali, contributivi, di salute e sicurezza sul lavoro), che si traduce in un maggiore sforzo anche in termini di risorse da parte dello Stato.

Il rischio è quello di realizzare una riforma priva, come spesso è accaduto in altri ambiti, di quella parte fondamentale per garantire il rispetto della legge e la tutela della dignità umana, collettiva e individuale, che è rappresentata dalla efficacia dei controlli e dalla effettività delle sanzioni in caso di infrazioni. Soprattutto, si rischia di ridurre una delicatissima questione di bilanciamento tra diritti fondamentali della persona e di emersione di istanze di tutela complesse, anche in termini di riconoscimento professionale, ad una questione prevalentemente di decoro urbano, di divisione tra prostitute e “società civile”, ancorando il tema a schemi vecchi, che sembrano riferirsi al mondo in cui la Legge Merlin ha visto la luce ma che essa stessa si prefiggeva di cambiare.

 

Antonella Mauro

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@a_mauro89

 

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