Il fair recruitment secondo l’ILO. Il paradosso degli immigrati competenti e “sprecati”

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Bollettino ADAPT 3 giugno 2019, n. 21

 

Il 22 maggio 2019 l’International Labour Organization ha pubblicato il documento General Principles and Operational Guidelines for Fair Recruitment, un manifesto indirizzato ai legislatori nazionali e alle parti sociali al fine di promuovere e garantire condizioni eque in materia di reclutamento dei lavoratori, compresi i migranti. Intendendo con reclutamento tutto ciò che concerne il procedimento di assunzione del lavoratore – dalla pubblicità della posizione lavorativa, alle modalità di selezione e alle forme con cui si perfeziona il rapporto di lavoro – l’ILO afferma che ciascun momento debba essere informato al rispetto dei diritti umani e intorno ai principi di dignità del lavoro, di trasparenza nelle forme e nei contenuti del rapporto di lavoro, di non discriminazione, di libertà sindacale e di organizzazione dei lavoratori. Nelle assunzioni transfrontaliere, ad esempio, i datori di lavoro devono applicare le leggi e i contratti collettivi applicabili nei paesi di origine, transito e destinazione sempre in un’ottica di favor lavoratoris.  E ancora, proseguendo nell’esemplificazione, i termini e le condizioni dell’occupazione di un lavoratore devono essere specificati in modo chiaro e puntuale, preferibilmente attraverso contratti scritti contenenti informazioni proprie del rapporto di lavoro, quali il luogo, l’orario e la mansione. Nel caso di lavoratori migranti ne discende che i contratti debbano essere redatti in una lingua che il lavoratore possa comprendere.

 

Come anticipato, l’ILO si rivolge a tutti gli attori del mercato del lavoro – lavoratori, datori di lavoro, servizi pubblici e intermediari privati – e, soprattutto, ai governi. Plurimi sono gli inviti che l’Organizzazione rivolge a quest’ultimi e di seguito se ne riportano i più significativi.

 

In primis, i governi dovrebbero rispettare e incentivare il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro di organizzarsi e di contrattare collettivamente, mirando all’ampliamento del numero di settori coperti dalla contrattazione collettiva.

 

In secundis, in capo al legislatore nazionale spetterebbe l’onere di eliminare tutte quelle spese che i lavoratori, tanto più se stranieri, devono sostenere per cercare e trovare lavoro. L’obiettivo è quello di trasferire tali costi di transazione – visite mediche, vaccinazioni, assicurazioni, prove di abilitazione e qualificazione professionale e/o linguistica, trasferimenti, attrezzature, viaggi, alloggi, trafile burocratiche – dal lavoratore privato al soggetto pubblico.

 

In tertiis, in un’epoca di forti (e spesso drammatiche) immigrazioni, l’ILO invita i governi a concludere degli accordi bilaterali o multilaterali sulla migrazione di manodopera, architettando meccanismi di supervisione del reclutamento dei lavoratori migranti.

 

Sempre nell’ottica delle assunzioni di migranti appare molto interessante l’affondo che la dichiarazione svolge in riferimento ai movimenti di persone con un livello medio o alto di competenze: in queste ipotesi, infatti, spesso e volentieri si concretizza il rischio del brain waste, intendendo con esso il fenomeno per cui un migrante viene occupato al di sotto delle sue capacità e competenze tecnico-professionali.

 

Secondo gli studiosi del Migration Policy Institute (2013) si dovrebbe guardare all’integrazione non come un punto fisso che può essere raggiunto, ma come l’attitudine dei membri di una società di rafforzare, su base continuativa, la capacità di vivere valorizzando le diversità e di tendere al cambiamento. In tal senso, lo “spreco di cervelli” e la conseguente sottoccupazione o peggio disoccupazione dei professionisti stranieri affonda le sue radici negli ostacoli connessi al riconoscimento delle esperienze accademiche straniere. Tale impedimento alla mobilità internazionale di professionisti qualificati e all’integrazione degli immigrati ed il conseguente spreco di capitale umano rappresenta una perdita non solo per la qualità della vita delle persone migranti, ma anche per i datori di lavoro e per l’economia delle comunità accoglienti.

 

Quanto sollevato dall’ILO è, di fatto, confermato dal dato nazionale. Con riferimento alle forme di impiego dei lavoratori stranieri in Italia, la quasi totalità dei lavoratori stranieri svolge un lavoro alle dipendenze e più del 70% ricopre la posizione di operaio. La segmentazione professionale, con una netta preponderanza di profili prettamente esecutivi tra la forza lavoro straniera, è chiara e confermata dalla scarsa presenza di occupati impiegati in ruoli dirigenziali: appena lo 0,4% degli occupati stranieri è dirigente e lo 0,7% quadro a fronte dell’1,9% e del 5,8% degli italiani. La mancata coerenza tra competenze formali e mansioni ricoperte è un elemento caratterizzante l’odierno mercato del lavoro italiano e si riconferma anche rispetto ai lavoratori stranieri. Suscita particolare interesse l’educational mismatch dei laureati, rispetto al quale non fanno eccezione neppure i possessori di competenze tecnico-scientifiche, al momento le più appetibili e ricercate sul mercato.

 

Stante ai dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulle comunicazioni obbligatorie per il 2017, il 90% degli italiani con un titolo STEM (acronimo per Science, Technology, Engineering, Mathematics) svolge una funzione high skill (dirigenti, professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e pertanto formalmente coerente, così come più dell’80% dei lavoratori in possesso di un titolo non STEM (lauree umanistiche); nel caso degli extracomunitari le percentuali scendono al 26,0% in un caso e al 24,4% nell’altro. Il 47,5% dei laureati Extra UE con titolo STEM, inoltre, è impiegato in qualifiche low skill (operai specializzati, artigiani, agricoltori), a fronte dell’1,8% degli italiani e del 21,9% dei lavoratori comunitari. A livello settoriale tale educational mismatch dei laureati Extra UE è ancora più elevato. Infatti, una quota elevatissima di occupati sovra-istruiti rispetto alla mansione svolta viene riscontrata non solo in agricoltura, ma anche in settori quali commercio, edilizia e industria.

 

Secondo l’ILO Il fenomeno può trovare parziale risoluzione nell’adozione di accordi intergovernativi volti a facilitare il riconoscimento delle qualifiche straniere. La particolare attenzione che l’ILO dedica alla migrazione dei lavoratori è sintomatica di un fenomeno in consistente crescita – l’incidenza percentuale dei lavoratori stranieri sul totale degli occupati è pari al 10,5% – e può rappresentare un momento di svolta. La Dichiarazione, infatti, potrebbe essere un primo step, seppur (di) soft (law), verso una necessaria correzione della globalizzazione che, tra i tanti suoi effetti (ora positivi, ora contraddittori), richiede, se attenta alla dignità della persona, una piena ed effettiva parità di tutti i lavoratori nel mondo.

 

Giorgio Impellizzieri

ADAPT Junior Fellow

@Gimpellizzieri

 

Annalisa Scarlino

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@annalisascarli1

 

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