Un progetto di legge della Cantabria guida l’Europa nella protezione dei neurodiritti: le implicazioni per il lavoro nell’era delle neurotecnologie

Interventi ADAPT

| di Lavinia Serrani

Bollettino ADAPT 21 luglio 2025, n. 28

La Regione Autonoma spagnola della Cantabria si avvia a introdurre una normativa pionieristica in materia di salute digitale e neurodiritti, con l’obiettivo di disciplinare l’utilizzo delle neurotecnologie e dei dati cerebrali, nonché di garantire trasparenza, controllo umano e non discriminazione nell’impiego dell’intelligenza artificiale in ambito sanitario, e non solo.

Per secoli, l’attività cerebrale ha rappresentato un ambito inviolabile della soggettività umana, sottratto a ogni forma di osservazione esterna. Tuttavia, lo sviluppo recente di neurotecnologie accessibili al consumo di massa – dalle fasce che monitorano l’attività cerebrale a dispositivi per videogiochi che leggono le onde neurali – ha reso possibile la raccolta e l’elaborazione di neurodati anche al di fuori del contesto clinico. Tali tecnologie generano dati cerebrali il cui statuto giuridico non è ancora chiaramente definito nel diritto europeo.

In tale contesto, la Regione della Cantabria ha presentato un progetto di legge sulla salute digitale che mira a garantire la tutela dei cosiddetti “neurodiritti”, con particolare attenzione al trattamento dei dati neurologici e all’uso dell’intelligenza artificiale in ambito sanitario. La proposta, destinata a fare scuola secondo quanto dichiarato dal Consigliere alla Salute César Pascual Fernández, sarà presentata in parlamento a settembre e potrebbe entrare in vigore entro il 2026.

Non mancano, invero, paesi che già hanno sperimentato e adottato leggi sui neurodiritti, come ad esempio il Cile e il Brasile, o anche alcuni stati americani come la California e il Montana. A livello europeo, tuttavia, sarà proprio la regione della Cantabria a fare da apripista, con l’ambizione dichiarata di innescare un “effetto domino normativo” in tutta la Spagna e, auspicabilmente, nel resto dell’Unione Europea.

Si tratterebbe, difatti, del primo intervento legislativo di questo tipo in Europa, potenzialmente idoneo a divenire un modello per future iniziative normative. Della necessità ed urgenza di un simile intervento, si da conto, peraltro, nella esaustiva ricerca dell’aprile 2024 ad opera della Neurorights Foundation dal titolo Safeguarding Brain Data: Assessing the Privacy Practices of Consumer Neurotechnology Companies, la quale ha evidenziato come tutte le principali aziende neurotecnologiche attive sul mercato si approprino dei dati cerebrali degli utenti, spesso senza alcun vincolo. Un rischio amplificato dalla capacità crescente dell’intelligenza artificiale di decodificare pensieri, intenzioni e linguaggio interno.

La normativa proposta si articola in diverse direttrici di intervento. In primo luogo, viene offerta una definizione e disciplina delle neurotecnologie: vengono inquadrati giuridicamente tutti quei dispositivi o sistemi finalizzati a misurare o influenzare l’attività cerebrale, tra cui impianti neurali, dispositivi ottici, magnetici, acustici o basati su nanoparticelle.

Viene poi stabilito che i neurodati siano qualificati alla stregua di dati sanitari: si prevede, in altri termini, che i dati derivanti da dispositivi neurotecnologici siano sottoposti alla medesima protezione riservata alle informazioni sanitarie, anche se generati al di fuori di contesti clinici formali.

Si istituisce, altresì, un Registro obbligatorio per l’intelligenza artificiale sanitaria: si tratta, in buona sostanza, di registro regionale degli algoritmi impiegati in ambito medico (pubblico e privato), contenente informazioni sui responsabili tecnici, sui bias noti, sui metodi di validazione e sui criteri di trasparenza.

Si pone l’attenzione, inoltre, sui diritti individuali contro decisioni automatizzate: i cittadini acquisiscono il diritto a ottenere spiegazioni sulle diagnosi automatizzate, rifiutarne l’applicazione esclusiva, e ricorrere contro esiti determinati unicamente da sistemi algoritmici, cui si aggiunge il divieto esplicito di qualsiasi trattamento discriminatorio derivante da output di intelligenza artificiale.

Viene poi introdotto un quadro giuridico regolatorio per l’uso dei dati sintetici, generati mediante modelli basati su dati clinici reali, consentendone l’impiego a fini di ricerca, innovazione e formazione, a patto che non possano essere ricondotti a una persona reale.

Importante, infine, anche la creazione di un Espacio de Datos Sanitarios Autonómico, che preveda l’integrazione delle informazioni cliniche digitali in un unico archivio interoperabile tra settore pubblico e privato a livello regionale, accessibile dai professionisti coinvolti nel trattamento.

Sebbene la legge sia concepita primariamente per l’ambito sanitario, le sue implicazioni per il diritto del lavoro sono significative, specialmente in considerazione del crescente utilizzo di dispositivi elettronici indossabili nei contesti occupazionali. In assenza di un quadro normativo chiaro, l’elaborazione e la conservazione di tali dati può comportare violazioni del diritto alla riservatezza, della libertà di pensiero, nonché problematiche relative alla parità di trattamento e alla non discriminazione algoritmica in ambito occupazionale.

L’inquadramento giuridico dei neurodati come dati sanitari e la previsione di garanzie in materia di decisioni automatizzate appaiono strumenti idonei a colmare un vuoto regolativo oggi particolarmente rilevante nel contesto della transizione digitale del lavoro. In un momento storico in cui algoritmi, biotecnologie e neuroscienze si fondono in applicazioni sempre più pervasive, la protezione del cervello come spazio giuridico appare non solo auspicabile, ma urgente.

Si tratta, dunque, di una normativa che non riguarda soltanto la salute, ma apre interrogativi fondamentali sul rapporto tra corpo, tecnologia e diritti nel contesto lavorativo. In un mondo in cui le neurotecnologie potrebbero entrare nelle imprese con la promessa di aumentare l’efficienza o monitorare il benessere dei dipendenti, sarà cruciale riconoscere nuovi limiti all’interferenza tecnologica nella sfera personale del lavoratore, riaffermando i principi di dignità, libertà e autodeterminazione in un contesto profondamente trasformato.

In un’epoca in cui la sorveglianza digitale nei luoghi di lavoro è in aumento e l’uso di dispositivi elettronici indossabili per monitorare produttività e stress psicofisico diventa sempre più diffuso, la regolamentazione di ciò che accade “nella testa” dei lavoratori rappresenta una sfida senza precedenti. Come sottolineato da Pedro Carrascal, direttore della Plataforma de Organizaciones de Pacientes (POP), «serve mettere nero su bianco i diritti digitali delle persone». La mente è, e deve restare, un territorio inviolabile – anche, e soprattutto, nel mondo del lavoro.

Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT

Responsabile Area Ispanofona

X@LaviniaSerrani