Sindemia e agilità: cambiano i simboli del lavoro*

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Bollettino ADAPT 6 dicembre 2021, n. 43
 
Cosa stiamo imparando dalla crisi? Prima di tutto, che la pandemia ha risvegliato una “sindemia”, ossia un insieme di problemi (e opportunità) che non riguardano solo la salute, ma anche l’ambiente, l’economia e gli assetti generali della nostra organizzazione sociale. È come se il virus si sia propagato nel corpo vivo della società con pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata.
 
Non c’è dubbio, il presente dell’emergenza, con la sua imprevedibilità, anticipa il futuro, in primis accelerando l’innovazione digitale. Lo fa, ad esempio, con un forte incremento del lavoro a distanza reso possibile dalle tecnologie. È, questa, una modalità di lavoro alternativa a quella tradizionale legata alla presenza fisica dei lavoratori. Al punto che cambia il simbolo del lavoro: non più la tuta blu o il colletto bianco (indossato in azienda), ma il personal computer usato (anche in pigiama) fuori dall’ufficio.
 
È noto che il “lavoro agile” era già previsto dalla legge n. 81/2017. Ma restava un fenomeno di nicchia, praticato soprattutto nelle grandi aziende di alcuni settori (per es. finanziari), con il vezzo di un nome (che suona, ma non è) inglese, smart working.

Con l’emergenza sanitaria, per contenere la diffusione dei contagi, il lavoro a distanza diventa ­– in modo improvviso e improvvisato – un fenomeno di massa, forzato e semplificato rispetto alla legge prima ricordata, per lo più nelle forme di telelavoro da casa. Il cambiamento avviene con una straordinaria capacità di adattamento di aziende, pubbliche e private, e lavoratori. Spesso, però, senza la consapevolezza della rivoluzione organizzativa e culturale ad esso collegata. La (vera) agilità scardina gli elementi fondamentali del lavoro subordinato del ‘900: scompaiono i vincoli di orario e di luogo di lavoro; la valutazione (e la retribuzione) non si basano più sulla classica ora di lavoro, ma si prendono in considerazione le fasi, i cicli e gli obiettivi.
 
Due anni dopo, è tempo di mettere ordine. Bisogna disporre le eredità pandemiche secondo criteri sistematici, nel rispetto di principi logici e razionali per un funzionamento sostenibile e inclusivo del mercato del lavoro, in sintonia con le indicazioni dell’Unione europea.

L’esperienza pandemica, che abbiamo finora accumulato, ci consente di raccogliere le principali evidenze per programmare il futuro. Lo sviluppo digitale di aziende, che riguarda tanto i manager quanto i lavoratori, è un fattore cruciale per sostenere la competitività del sistema economico. Se così è, non si può dimenticare la necessità di adeguate infrastrutture digitali e di una formazione non solo digitale ma attenta alla sostenibilità, all’inclusione, al benessere organizzativo e sociale.

Ed ancora, nel mondo del lavoro, emerge con forza l’importanza dell’ambiente e del territorio. In questo contesto, qual è la situazione del lavoro agile in Friuli Venezia Giulia?
 
I dati dell’indagine sulle economie regionali della Banca d’Italia (presentati un mese fa) sono sintetici, ma illuminanti. Segnalano che, da noi, il ricorso al lavoro da remoto è stato più contenuto non soltanto rispetto al Nord Est (che guida la sperimentazione del lavoro agile), ma anche al resto del Paese. La quota è inferiore vuoi per ragioni settoriali, dato il ruolo più rilevante delle imprese manifatturiere (anche dell’industria pesante) rispetto alla minore occupazione nei servizi a elevata intensità di conoscenza. Vuoi per il basso grado di digitalizzazione delle imprese. Vuoi per il ritardo nella connettività delle famiglie e delle reti, specie nelle aree montane a bassa densità abitativa.
 
Il lavoro agile, inoltre, ha aumentato le diseguaglianze del mercato del lavoro: per grado di istruzione (più laureati), per ruolo (più dirigenti, quadri e impiegati), per genere (più donne, specie nelle pubbliche amministrazioni), per età (più lavoratori con età elevata).

Se questa è la fotografia della situazione sul territorio regionale, bene ha fatto l’assessora regionale al lavoro, Alessia Rosolen, a promuovere un intervento finanziario per supportare e indirizzare meglio le future evoluzioni del lavoro da remoto. È però importante che nell’attuazione di questo progetto si tenga conto delle citate evidenze che sono desumibile dall’esperienza della pandemia. L’auspicio è che davvero il lavoro diventi agile, o (se si preferisce) anche smart, sostenibile e inclusivo per tutti i ruoli “telelavorabili” e su tutto il territorio, specie quello che finora è stato più trascurato.
 
Marina Brollo

Ordinaria di diritto del lavoro

Università degli Studi di Udine

@MarinaBrollo
 
*Pubblicato anche su Il Messaggero Veneto del 5 dicembre 2021

Sindemia e agilità: cambiano i simboli del lavoro*
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