Sindacati e transizione energetica: cosa si è fatto e cosa ancora manca

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Bollettino ADAPT 19 giugno 2023, n. 23
 
Nell’ambito dei lavori dell’Osservatorio ADAPT sulla transizione ecologica ci siamo già occupati delle declinazioni del concetto di “giusta transizione” (Che cosa si intende per “giusta transizione”? Accezioni e complessità, oltre lo slogan, in Bollettino ADAPT 12 aprile 2023, n. 14) e delle politiche pubbliche (nazionali ed europee) volte a governare gli effetti della transizione energetica (Le politiche pubbliche per una transizione giusta: diversi i limiti da superare, in Bollettino ADAPT 15 maggio 2023, n. 18). Col presente contributo ci concentreremo ora sulle posizioni dei sindacati sul tema e sulle pratiche che questi hanno messo in campo. Ad aiutarci saranno, ancora una volta, gli esiti della ricerca documentale e delle interviste a 11 esperti e 14 sindacalisti1 condotte dai ricercatori di ADAPT nell’ambito del progetto europeo Next Step: Transition”.
 
Nonostante una comune accresciuta consapevolezza che la strada per una transizione verde nel settore dell’energia è stata intrapresa a livello comunitario e nazionale, i sindacati dei cinque paesi presi in esame nel progetto di ricerca (Belgio, Bulgaria, Germania, Italia e Spagna) non sempre condividono gli stessi approcci e orientamenti rispetto al tema. Da un lato, in paesi come l’Italia, la Germania, il Belgio e la Spagna, le federazioni sindacali del settore energetico considerano la transizione verde una questione centrale, se non prioritaria, nelle loro agende e sebbene alcune economie siano più dipendenti dal carbone rispetto ad altre (tutte comunque sostenute in larghissima parte da combustibili fossili), vi è una comune volontà di accompagnare un processo di riconversione giudicato ormai inevitabile, avendo cura delle relative implicazioni sui lavoratori soprattutto in termini di occupazione, formazione e salute e sicurezza. In tutti questi casi, emerge al contempo una certa visione produttivistica, che si sostanzia nelle preoccupazioni di qualche sindacato sulle reali prospettive di competitività e crescita offerte dalla transizione energetica, senza le quali verrebbe compromesso il nostro intero modello economico. Dall’altro, in Bulgaria, dove è ancora molto forte la dipendenza dal carbone e sono incerte le politiche pubbliche per una giusta transizione, i rappresentanti sindacali intervistati manifestano timori anche maggiori per gli effetti economici e sociali della conversione ecologica, faticano ad individuare alternative sostenibili che soddisfino il fabbisogno energetico e dichiarano di non sostenere la transizione in quanto foriera di una perdita rilevante di posti di lavoro. Questo orientamento si riflette nell’astensione del sindacato bulgaro dal mettere in campo azioni di sensibilizzazione e formazione sul tema per i suoi rappresentati, nonché, complice la mancanza di costanza e trasparenza da parte dell’attore pubblico, in una partecipazione sporadica o inefficace a procedure e ad organi tripartiti per la consultazione e la costruzione congiunta di iniziative nazionali e locali per la giusta transizione.
 
Diversamente, altrove, sono state realizzate dal sindacato, in particolare a livello confederale, iniziative di approfondimento e informazione, sfociate in: studi sull’impatto del cambiamento climatico in alcuni settori e territori, come quelli del progetto MAVETJ (Mapa de vulnerabilidad del empleo para una Transición Justa: análisis de sectores productivos y desarrollo de capacidades y oportunidades en adaptación al cambio climático) della confederazione spagnola UGT; corsi di formazione e linee di indirizzo per la gestione della transizione verde nelle aziende e nei settori, come quelle intitolate Taking steps towards a just transition at company/sectoral level through social dialogue promosse dalla confederazione belga ACV-CSC in partnership con altri sindacati in Europa; e veri e propri dipartimenti interni alle organizzazioni sindacali e specializzati sui temi della sostenibilità ambientale, come l’area di azione e ricerca UGT en Verde creata dal sindacato spagnolo. Non sono mancati nemmeno iniziative e documenti di policy prodotti congiuntamente da sindacati e associazioni datoriali dei settori dell’energia, come il manifesto “Lavoro ed energia per una transizione sostenibile”, promosso nel 2021 da Confindustria Energia assieme alle organizzazioni sindacali FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL, UILTEC-UIL, che traccia alcune linee guida per una giusta transizione energetica in Italia. Azioni simili sono state portate avanti anche dalle federazioni sindacali europee. Del 2018 è il progetto Skill2Power condotto dalle parti sociali europee del settore elettrico per fare luce sui bisogni di riqualificazione dei lavoratori impattati dalla transizione ecologica e dalla digitalizzazione; mentre del 2021 è il manifesto di IndustriAll Europe dal titolo Nothing About Us Without Us, che sostiene l’imprescindibile coinvolgimento dei lavoratori nella definizione, regolazione e attuazione delle politiche per la sostenibilità ambientale. Da questo punto di vista, però, pare ci sia ancora molta strada da fare tanto a livello comunitario quanto nazionale e non solo con riferimento alla già citata Bulgaria. Raramente, in tutti i paesi considerati, i sindacati sono coinvolti a monte dei processi decisionali, sin dalla definizione degli obiettivi da raggiungere. Più spesso, possono essere integrati nella gestione delle implicazioni economiche e sociali di percorsi e obiettivi già tracciati.
 
Tra gli esempi positivi di una governance collettiva della transizione (quantomeno con riferimento ai suoi effetti sull’economia e il mercato del lavoro), vi è il caso della Spagna, la cui Strategia nazionale lanciata nel 2019 ha implicato la sottoscrizione di due accordi quadro nazionali di settore (il primo riferito alle miniere di carbone e il secondo relativo agli impianti a carbone), nonché la stipula dei cosiddetti “Accordi per una giusta transizione” (13 firmati al momento). Concepiti come uno strumento di gestione tripartita della transizione a livello locale, questi patti definiscono un elenco di misure (nuovi investimenti, azioni formative e di orientamento e reinserimento lavorativo, ecc.) per il sostegno alla riconversione economica, all’occupazione e alla popolazione dell’area interessata. In Germania e Belgio, invece, il sindacato è coinvolto in diversi organi consultivi a livello federale e regionale. Esemplificativi, in questo senso, sono la cosiddetta “Commissione Carbone”, istituita nel 2018 dal governo tedesco, che portò alla definizione di un piano per porre fine alla produzione di energia a carbone e di una serie di raccomandazioni, e il Consiglio per l’ambiente e la natura delle Fiandre in Belgio, costituito nel 1995 con poteri di analisi e formulazione di proposte e suggerimenti sui temi dello sviluppo sostenibile, dell’energia e delle risorse naturali. In Italia, un caso interessante di pianificazione condivisa dello sviluppo, favorito dalle specificità del tessuto politico e sociale del territorio, è il “Patto per il Lavoro e il Clima” della regione Emilia-Romagna, sottoscritto nel dicembre 2020 da oltre 50 soggetti (incluse le rappresentanze sindacali), che si sono impegnati a perseguire diversi obiettivi, tra cui quello della transizione ecologica, implementando misure ad hoc nel campo, ad esempio, degli investimenti in ricerca e sviluppo, anche sulla mobilità sostenibile e le energie rinnovabili, della prevenzione al dissesto idrogeologico, del sostegno all’economia circolare e del miglioramento nella gestione e nel riciclo dei rifiuti.
 
Scendendo al livello aziendale, buone pratiche di gestione congiunta della transizione sono state rilevate soprattutto in Germania, anche grazie ai presidi offerti dalla contrattazione e dalla codeterminazione che sono ancora forti nel settore dell’energia. Sono esemplificativi, a questo proposito, i piani di pensionamento anticipato e riqualificazione dei lavoratori avviati da Currenta, fornitore di energia presso i siti di Chempark (tra i più grandi parchi chimici d’Europa), insieme ai suoi rappresentanti dei lavoratori. L’azienda è infatti in procinto di abbandonare la produzione di energia a carbone, per passare al gas ed eventualmente all’idrogeno, e si prevedono ripercussioni importanti sul piano occupazionale. Misure di formazione per oltre 26.000 lavoratori nonché di sostegno finanziario e di ricollocazione in altre aziende del territorio sono state invece favorite, a partire dal 2007 con la graduale dismissione delle miniere di carbone, dalla collaborazione tra l’azienda tedesca RAG, la rappresentanza dei lavoratori e le Camere di Commercio e dell’Industria delle aree interessate.
 
Qualche esperienza positiva di coinvolgimento del sindacato, non connessa però a specifici progetti di riqualificazione verde, è riscontrabile anche in Spagna, dove la contrattazione collettiva aziendale è talvolta riuscita, come nel caso del gruppo Repsol, a potenziare i diritti di informazione e consultazione delle rappresentanze dei lavoratori anche sulle tematiche ambientali e ad introdurre la figura del delegato all’ambiente, incaricato di collaborare con la direzione aziendale alla promozione di iniziative ecosostenibili, monitorare il rispetto della normativa sul tema e contribuire all’organizzazione di corsi di formazione per i lavoratori. Anche in Italia, la contrattazione collettiva che ha affrontato il tema della sostenibilità si è spesso concentrata, come in Eni, sulle procedure di informazione e consultazione e sui diritti e le prerogative dei rappresentanti dei lavoratori per la salute, la sicurezza e l’ambiente. In aggiunta, sono stati negoziati premi di risultato connessi ad indicatori di sostenibilità ambientale, come la riduzione delle emissioni climalteranti in Saipem. Un vero e proprio progetto di riconversione, gestito congiuntamente dalla direzione aziendale e dalla rappresentanza sindacale in Italia, è stato, a partire dal 2015, il programma “Futur-e” di Enel, finalizzato alla riqualificazione di 23 centrali termoelettriche e di un’ex area mineraria verso nuove opportunità di sviluppo sostenibile. Il progetto ha costituito un banco di prova del modello partecipativo costruito in Enel e in particolare, degli accordi sulle relazioni industriali, il ricambio generazionale e la mobilità funzionale e geografica sottoscritti tra il 2012 e il 2013. Grazie a queste intese, è stato possibile gestire la riconversione dei siti interessati attraverso il prepensionamento del personale più anziano, la riqualificazione e la ricollocazione interna di oltre 900 dipendenti. Il coinvolgimento degli stakeholder delle aree interessate è stato invece funzionale alla ricerca di nuove idee di valorizzazione economica e sociale dei siti industriali. Nonostante qualche gap informativo comunque evidenziato dal sindacato, il programma “Futur-e” è oggi riconosciuto a livello internazionale come un modello inclusivo di economia circolare.
 
Complessivamente, è indiscutibile l’accresciuta consapevolezza delle organizzazioni sindacali, soprattutto in Europea occidentale, circa gli impatti che la transizione energetica può avere sulle condizioni di lavoro, in particolare dal punto di vista occupazionale, di salute e sicurezza e formazione. Così come cominciano ad aumentare, anche grazie al sostegno eventualmente offerto dal quadro istituzionale, le esperienze di gestione condivisa e congiunta di riconversione di alcuni siti e aree industriali in diversi paesi europei. Tuttavia, anche in questi casi, il sindacato sembra mantenere una posizione di reazione, per quanto costruttiva con riferimento alla gestione delle implicazioni sociali e lavoristiche, rispetto a orientamenti e direttrici di sviluppo stabiliti dalle aziende o dall’attore pubblico. Questo approccio subalterno, secondo alcuni esperti intervistati, sarebbe attribuibile alla persistenza di un dilemma che affligge la gran parte delle associazioni dei lavoratori, divise tra il riconoscimento dell’urgenza della transizione verde (che è forte soprattutto ai livelli apicali delle strutture organizzative) e la necessità di far fronte alle preoccupazioni dei rappresentati circa la perdita di posti di lavoro e i radicali cambiamenti nelle attività e condizioni lavorative (che è sentita soprattutto nelle sedi aziendali e territoriali delle strutture di rappresentanza); dilemma ancor più concreto per le organizzazioni che operano tanto nell’ambito dei combustibili fossili quanto nei settori delle energie rinnovabili. Si tratta di una concettualizzazione dicotomica della salute e del benessere delle persone che ha tradizionalmente separato, anche negli ordinamenti giuridici nazionali, la sfera della sicurezza occupazionale da quella della salute umana e che adesso interagisce positivamente con l’approccio unilaterale di molti governi e imprese in Europa, impedendo al sindacato di abbracciare un’idea piena di “giusta transizione” e giocare un ruolo di prima linea nel ripensamento del nostro modello di sviluppo. Così, ad esempio, preoccupandosi di difendere, a Nord del nostro pianeta, i posti di lavoro e gli incrementi di produttività, i sindacati europei possono momentaneamente trascurare il rischio che le dinamiche di approvvigionamento delle fonti rinnovabili perpetuino gli stessi squilibri di potere della fornitura di combustibili fossili, allontanandoci dallo sviluppo di processi produttivi realmente inclusivi e democratici.
 
Ilaria Armaroli

ADAPT Research Fellow

@ilaria_armaroli
 
Sara Prosdocimi

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena

@ProsdocimiSara
 
1 Dal lato degli esperti, sono stati intervistati Valeri Apostolov (Università di economia nazionale e mondiale, Bulgaria), Kris Bachus (Università Cattolica di Leuven, Belgio), Alexander Bendel (Università di Duisburg-Essen, Germania), Simone Claar (Università di Kassel, Germania), Nadja Dörflinger (Istituto federale per la salute e sicurezza occupazionale, Germania), Béla Galgóczi (ETUI, Belgio), Anne Guisset (Università Cattolica di Leuven, Belgio), Vassil Kirov (Accademia bulgara di scienze, Bulgaria), Oscar Molina (Università Autonoma di Barcellona, Spagna), Serena Rugiero (Fondazione Di Vittorio, Italia) e Paolo Tomassetti (Università “La Statale” di Milano, Italia). Con riferimento ai rappresentanti sindacali, sono stati intervistati Jakob Embacher (EPSU), Vanya Grigorova (CL Podkrepa, Bulgaria), Franz-Gerd Hörnschemeye (IG BCE, Germania), Antonio Ingallinesi (FEMCA-CISL, Italia), Manuel Jaramillo Sánchez (UGT-FICA, Spagna), Geeroms Jurgen (ACV-CSC BIE, Belgio), Michael Kunter (IG BCE, Germania), Gabriella Lanni (FLAEI-CISL, Italia), José Mesa Ortega (UGT-FICA, Spagna), Nikolai Popnikolov (SMF Podkrepa, Bulgaria), Etienne Schelstraete (ACV-CSC BIE, Belgio), Inias Smit (ACV-CSC BIE, Belgio), Vladimir Topalov (SMF Podkrepa, Bulgaria) e Corinna Zierold (IndustriAll Europe).

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