Sharing economy e lavoro: cosa dice l’Europa?

Con la Comunicazione COM(2016)356 – A European agenda for the collaborative economy la Commissione Europea prende posizione sull’ampiamente dibattuto tema della sharing economy, enucleando linee guida e orientamenti di tipo legale e di policy diretti alle autorità pubbliche, agli operatori del mercato e ai cittadini interessati.

 

Prima ancora di analizzare i diversi profili trattati, con particolare riferimento a quelli con ripercussioni lavoristiche, occorre sottolineare come la Commissione abbia optato per l’adozione di uno strumento di soft law, nell’intervenire su questa tematica oggetto di discussioni molto accese. Come sottolineato all’interno della Comunicazione si tratta, quindi, di uno strumento non vincolante per gli Stati Membri. Ciononostante è sicuramente un intervento di estremo interesse che oltre ad offrire un’analisi sulle modalità applicative delle normative europee rilevanti suggerisce alcuni possibili indirizzi per le attività di regolamentazione interna.

 

In primo luogo da sottolineare l’uso dell’espressione collaborative economy. Data la confusione definitoria che ancora permea la tematica, è utile chiarire la working definition utilizzata all’interno della comunicazione: «con l’espressione economia collaborativa si fa riferimento a quei modelli di business in cui le attività sono agevolate dall’uso di piattaforme collaborative che producono un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni e servizi spesso forniti da privati». Tre sono gli attori coinvolti: coloro che forniscono beni e servizi (provider), che possono operare in via occasionale o professionale; coloro che ricevono i beni e servizi (user); l’intermediario che rende possibile il contatto tramite una piattaforma online. Le transazioni possono avere o meno fine di lucro.

 

In via introduttiva, si riconosce che l’economia collaborativa può rappresentare un importante fattore per la crescita economica e la creazione di impiego, nonché per le possibilità di scelta dei consumatori e per un uso sostenibile delle risorse nella direzione di una economia circolare. Allo stesso tempo si sottolinea che il quadro legale attuale è incerto e limita il suo sviluppo e che potrebbe essere sfruttato per evitare l’applicazione di discipline dirette alla salvaguardia del benessere pubblico. La comunicazione, di conseguenza, nell’affrontare i diversi profili, cerca di mantenere una posizione di equilibrio tra un approccio abilitante verso le opportunità e le promesse del fenomeno e uno volto alla tutela della posizione dei diversi soggetti interessati (operatori del mercato, consumatori e lavoratori).

 

Gli aspetti chiave individuati sono quelli relativi ai requisiti di accesso al mercato, ai regimi di responsabilità, alla protezione dei consumatori, allo status dei lavoratori che operano sulle piattaforme e al trattamento fiscale. Numerosi sono i profili di interesse rispetto alla posizione dei lavoratori dentro e fuori dalla piattaforma: di particolare rilievo quelli connessi ai requisiti di accesso al mercato e allo status giuridico dei lavoratori.

 

Rispetto alla tematica dei requisiti di accesso, la questione riguarda l’applicabilità degli stessi tanto alla piattaforma quanto a coloro che grazie alla stessa forniscono servizi.

 

Quanto ai secondi, la comunicazione ricorda che ai sensi della disciplina europea requisiti di accesso, licenze ed autorizzazioni possono essere imposte a fornitori di servizi soltanto laddove essi siano non discriminatori, finalizzati al perseguimento di un obiettivo di interesse pubblico e proporzionati rispetto a tale fine. Nella loro opera di monitoraggio rispetto al permanere della ragionevolezza dei vincoli posti, le autorità nazionali dovranno, secondo la Commissione, considerare le specifiche caratteristiche del nuovo modello economico e il principio secondo cui «divieti assoluti e restrizioni quantitative di un’attività costituiscono normalmente misure di extrema ratio». Uno strumento utile per valutare l’applicabilità dei vincoli relativi all’accesso al mercato è quello di distinguere attività occasionali e professionali: a fronte delle diverse discipline applicate negli Stati membri, si sottolinea la ragionevolezza dell’imposizione di soglie quantitative (riferibili tanto ai guadagni, quanto a limiti temporali).

 

Quanto alle piattaforme, si afferma che la sottoposizione delle stesse ai limiti e alle autorizzazioni di accesso al mercato dipende dalla natura dell’attività prestata: laddove la piattaforma offra un servizio di tipo informatico, le limitazioni sono escluse, se non in via eccezionale. Diversamente in alcuni casi, si può ritenere che la piattaforma non si limiti ad offrire un servizio di intermediazione, ma che essa stessa fornisca il tipo di servizio intermediato: in questo caso potrà essere tenuta a rispettare le condizioni di accesso.

Per determinare quando ci si trovi in questa seconda ipotesi, si deve fare riferimento al livello di controllo ed influenza che la piattaforma ha sul fornitore del servizio, con particolare attenzione alla fissazione del prezzo della transazione, alla determinazione di condizioni chiave rispetto al rapporto tra fornitore e consumatore (modalità della prestazione e sua obbligatorietà per esempio) e alla proprietà delle risorse fondamentali per la fornitura del servizio. Altri criteri che possono essere presi in considerazione all’interno di questa analisi necessariamente casistica riguardano l’assunzione dei rischi e dei costi relativi all’attività e la presenza di un rapporto di lavoro tra piattaforma e lavoratore.

 

Risulta interessante collegare questo ragionamento ad un punto qualificante della Comunicazione rispetto al lavoro nella sharing economy, ovvero quello relativo alla classificazione dei lavoratori. Analizzando i criteri proposti dalla Commissione per valutare la presenza di un rapporto di lavoro subordinato nell’ambito dell’economia collaborativa ai sensi della disciplina europea, si può riscontrare come il ragionamento sui criteri per determinare il livello di controllo sul fornitore sia sostanzialmente omogeneo rispetto a quello relativo ai criteri che vengono riconosciuti anche dalla Commissione, come quelli chiave per la valutazione dell’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente a livello europeo. La subordinazione, secondo la Comunicazione si riscontra, laddove il fornitore del servizio opera «sotto la direzione della piattaforma collaborativa, determinando quest’ultima la scelta dell’attività, la remunerazione e le condizioni di lavoro».

 

In questa senso si può leggere una continuità con le diverse cause intentate contro le aziende della sharing economy, tanto sui profili lavoristici che su quelli della concorrenza: la soluzione ruota intorno alla valutazione del servizio offerto dalla piattaforma. Il caso più famoso è quello di Uber: si tratta di un mero servizio informatico di intermediazione oppure l’azienda fornisce un servizio di trasporto? La Comunicazione nel fornire questa chiave di lettura esplicita una via per pervenire alla soluzione – particolarmente interessante l’indicazione relativa alla retribuzione – e allo stesso tempo evidenzia quel genetico legame che esiste tra le discipline della concorrenza e quelle lavoristiche.

 

La Commissione aggiunge altri due criteri per valutare la presenza di un rapporto di lavoro: la natura del lavoro, che deve essere non meramente marginale o accessoria (requisito di carattere quantitativo, non di per sé decisivo) e la presenza di una remunerazione (profilo che configura la rilevanza giuridica del lavoro prestato, determinando la riconduzione a rapporti di lavoro o di mera cortesia).

 

La Comunicazione, invece, pur riconoscendo l’impatto del fenomeno “sharing economy” sulle discipline lavoristiche, non si esprime nel merito delle soluzioni per affrontare le nuove sfide da questo sollevate. Da un lato ricorda come la macrotematica della trasformazione del lavoro e dei suoi effetti sulla normativa sia al momento affrontata nell’ambito della consultazione pubblica relativa all’European Pillar of Social Rights. Dall’altro richiama la necessità che gli Stati membri verifichino l’adeguatezza delle proprie discipline per rispondere alle differenti necessità di lavoratori subordinati ed autonomi impegnati nell’economia collaborativa e alla innovativa natura dei modelli di business utilizzati dalle piattaforme, nonché a fornire delle indicazioni rispetto all’applicabilità delle normative lavoristiche in essere al lavoro nella sharing economy. È questo il nodo fondamentale affinché la collaborative economy possa avere quello sviluppo responsabile auspicato dalla stessa Commissione.

 

Proprio quello relativo al trattamento del lavoro, d’altronde, è il profilo di debolezza che si aveva avuto modo di sottolineare rispetto alla proposta di legge italiana sulla sharing economy (cd. Sharing Economy Act).

 

Le linee guida si offrono, dunque, come strumento importante per il legislatore italiano per fare un check della propria attività in questo ambito.

Se sotto alcuni aspetti, esse offrono maggiore solidità e indirizzi di interesse per quanto già in discussione (anche al di là della proposta: si pensi alle discipline di settore come nell’ambito dei trasporti), le esigenze sottolineate dalla Comunicazione in tema di lavoro richiamano il legislatore ad una attenzione specifica al profilo della disciplina giuslavoristica del lavoro nella economia della collaborazione.

 

Vedremo come i legislatori, non solo quello italiano, reagiranno a questi impulsi della Commissione.

 

Emanuele Dagnino

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@ EmanueleDagnino

 

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