Retribuzione oraria e salario minimo legale: l’importanza di comprendere la fonte e la generazione dei dati

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Bollettino ADAPT 24 luglio 2023, n. 28
 
Colpisce il dato di quasi 3 milioni di lavoratori che avrebbero una retribuzione oraria inferiore a 9 euro lordi, secondo la nota dell’ISTAT relativa all’audizione alla XI Commissione in tema di salario minimo (cfr. ISTAT, Audizione del Dirigente il Servizio Sistema integrato lavoro, istruzione e formazione dell’Istat, 2023 p. 13), ripreso da moltissimi commentatori, sindacalisti e politici.
 
Per questo motivo, abbiamo cercato di comprendere nel dettaglio come è stata stimata (perché si tratta di una stima) questa retribuzione oraria sia studiando l’allegato statistico alla nota dell’audizione, sia consultando la nota metodologica della Retribuzione oraria delle posizioni lavorative dipendenti del settore privato extra-agricolo (citata nella memoria della audizione), i cui dati sono stati utilizzati per calcolare le retribuzioni orarie lorde.

 
La retribuzione oraria a cui si riferisce l’ISTAT non è un dato rilevabile come tale, come per esempio i minimi tabellari dei CCNL, ma è calcolata dall’ISTAT su dati RACLI (Registro annuale su retribuzioni, ore e costo del lavoro a livello Individuale) come rapporto tra la retribuzione lorda annua e le ore retribuite a carico del datore di lavoro (Glossario e nota metodologica, Retribuzione oraria delle posizioni lavorative dipendenti del settore privato extra-agricolo, ISTAT, 2021, p. 2).

 
La retribuzione lorda annua è a sua volta definita come somma di «salari, stipendi e competenze accessorie in denaro, al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali, a carico del datore di lavoro. In questo contesto, nelle statistiche basate sul registro RACLI, coincide con le retribuzioni imponibili ai fini contributivi erogate secondo il principio di cassa. Include la retribuzione per ore di lavoro straordinarie ossia svolte oltre le ore ordinarie».

 
Anche se nel testo della nota si fa riferimento a questa definizione di retribuzione lorda annua, nelle tabelle dell’allegato statistico (a partire dalla tavola 4, p. 26) viene specificato che nel numero medio di ore retribuite non sono (correttamente) considerate le ore di lavoro straordinario. Quindi, si presume anche nel calcolo delle retribuzioni non siano stati conteggiati gli importi relativi agli straordinari e che le retribuzioni annue siano state depurate della retribuzione per gli straordinari, cosa che tuttavia è possibile soltanto stimando il numero di ore di straordinario (perché non si tratta di un dato amministrativo) e stimando la retribuzione delle ore di straordinario.
 
Con riferimento al calcolo delle ore retribuite, la citata nota metodologica specifica che «le ore retribuite a carico del datore di lavoro comprendono sia le ore lavorate, ordinarie o straordinarie, sia le ore retribuite e non lavorate per ferie, festività, malattia a carico del datore, etc. Sono invece escluse le ore di assenza non retribuite a carico del datore di lavoro, come gli scioperi o i permessi non retribuiti, e le assenze per cui il lavoratore percepisce soltanto un’indennità a carico degli enti di assistenza e previdenza per congedo per maternità, malattia, infortuni, etc.».
 
Facendo riferimento a questi ultimi eventi citati (in particolare a maternità, malattia), occorre sottolineare che nella retribuzione imponibile ai fini contributivi sono comprese eventuali integrazioni a carico del datore di lavoro per le ore di malattia, di maternità o anche di cassa integrazione. Ci si chiede quindi in questi casi come siano conteggiate le relative ore integrate, dal momento in cui è specificato che sono escluse le ore di assenza per le quali il lavoratore percepisce soltanto indennità a carico degli enti di assistenza e previdenza. Nel caso in cui le ore integrate dal datore di lavoro fossero conteggiate tra le ore retribuite, si avrebbe la situazione per cui sarebbero conteggiate ore retribuite non pienamente, cioè non secondo la “normale retribuzione oraria”, perché nella retribuzione sarebbero calcolate soltanto le integrazioni (la differenza tra la retribuzione oraria normalmente spettante e quanto erogato dagli enti previdenziali) a carico del datore e non la retribuzione piena appunto. Se questo fosse vero, determinerebbe l’effetto di abbattere la retribuzione oraria, poiché appunto sarebbero conteggiate ore non pagate al 100% della retribuzione spettante, ma retribuite soltanto per la parte di integrazione a carico del datore, importo molto inferiore rispetto alla retribuzione piena. In sostanza, in questo caso il livello della retribuzione oraria non sarebbe calcolata soltanto sulla base di quanto normalmente spettante al lavoratore, ma dalle vicende del rapporto di lavoro (sospensioni o riduzioni orarie) o dagli eventi che riguardano il lavoratore (malattia, infortunio, maternità).
 
Con riferimento, poi, al conteggio delle ore retribuite al fine del calcolo delle retribuzioni orarie, emerge che le ore retribuite si basano soltanto su stime; infatti, la nota metodologica afferma che «La stima delle ore retribuite a carico del datore di lavoro richiede un trattamento più complesso delle informazioni presenti nelle fonti amministrative, in quanto in esse non è disponibile una misura immediatamente utilizzabile a fini statistici» (Glossario e nota metodologica, Retribuzione oraria delle posizioni lavorative dipendenti del settore privato extra-agricolo, ISTAT, 2021, p.3).
 
Le ore retribuite sono calcolate come differenza tra le ore lavorabili e le ore non retribuite, ma sia le ore lavorabili sia le ore non retribuite non sono un dato effettivo rilevato, ma si tratta di un dato stimato, peraltro basato su molteplici stime (Glossario e nota metodologica, Retribuzione oraria delle posizioni lavorative dipendenti del settore privato extra-agricolo, ISTAT, 2021, p. 3 e 4).

 
Questo significa che mentre il dato delle retribuzioni annue è un dato amministrativo (prevalentemente INPS, Glossario e nota metodologica, Retribuzione oraria delle posizioni lavorative dipendenti del settore privato extra-agricolo, ISTAT, 2021, p. 2), il dato delle ore retribuite è un dato stimato frutto di molteplici calcoli. Questo però non è un aspetto secondario. Poiché la retribuzione oraria è il rapporto tra le retribuzioni annue e le ore retribuite, una variazione della stima delle ore retribuite incide in modo rilevante sul risultato della retribuzione oraria e una sovrastima delle ore retribuite determinerebbe una sottostima della retribuzione oraria.
 

In ogni caso, se le stime della retribuzione oraria fossero così confermate, sorgerebbe un dubbio circa la regolarità e l’effettività della applicazione dei minimi contrattuali (cfr. F. Lombardo, M. Tiraboschi, Conoscere per deliberare: quale impatto per lavoratori, sindacati e imprese di un salario minimo legale a 9 euro? in Bollettino ADAPT 3 luglio 2023 n. 25). Ma da questo problema di effettività non sarebbe al riparo neanche un eventuale salario minimo legale.

 
Silvia Spattini 
Direttrice ADAPT
@SilviaSpattini

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